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  1. #21
    Vittima del kali yuga
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    Il desiderio, è come un fuoco insaziabile. Grazie alla barca della conoscenza certamente varcherai tutto l'oceano del male (b. gità)
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    all'inizio della discussione troverai altri articoli fra cui quello di Blondet, ecco quello di Vaj

    Alle radici dell'Europa
    Di Stefano Vaj - Numero 9 del 01/01/1982

    L'ideologia tripartita degli indoeuropei
    Il più grande contributo di Dumézil al campo di ricerca di cui ci occupiamo resta comunque la scoperta della tripartizione funzionale come caratteristica identificante dell'ideologia indoeuropea. La scoperta, cioè, del fatto che non solo e non tanto i nostri progenitori praticassero una «divisione del lavoro» in tre ordini, o ripartissero la società e il loro pantheon in tre classi, ma che più in generale avevano definito, teorizzato questa divisione facendone un'ideologia, ovvero, secondo il senso già chiarito con cui lo studioso usa questo termine, una concezione globale dell'universo e dell'uomo e delle forze e tendenze che li creano e li sottendono, una riflessione sugli equilibri, le tensioni e i conflitti necessari al buon funzionamento del mondo come della città. del popolo degli dèi come di quello degli uomini. L'ideologia tripartita si staglia infatti nell'opera duméziliana come il mito principale e centrale, la trama stessa della cultura (indo)europea (21).
    La definizione delle «tre funzioni» è lineare. La prima è posta sotto il segno della sovranità, regale e sacerdotale. con tutto ciò che questo comporta. Innanzitutto la potenza, quindi la conoscenza, la saggezza, la magia, la guida dei popoli e la loro «messa in forma»; e di conseguenza la politica e il diritto, la «rappresentanza» religiosa ed esteriore della comunità. Essa mostra due aspetti fondamentali, tra loro intuitivamente legati: l'aspetto «giuridico», amministrativo, garante dell'ordine (universale e sociale), della continuità e del rispetto delle leggi e dei patti, della conservazione della comunità; nonchè l'aspetto «terribile», espansionistico, magico, decisionista e «politico» nel senso schmittiano del termine, che è rappresentabile come potenza risvegliata, in atto. Questi due estremi sono ben raffigurati in campo mitologico dalle diadi Mithra-Varuna, Dius Fidius-Juppiter, Tyr-Odino (22); o anche ad esempio da Numa Pompilio e Romolo. La sapienza e la giustizia sono i valori principali di questa funzione.
    La seconda funzione è riconducibile alla guerra, alla lotta, allo sforzo e alla forza fisica in tutti i suoi aspetti pacifici e militari, alle esigenze della difesa, allo sport e all'energia comunque impiegata. Incarna infatti l'eroismo, cioè il coraggio personale e lo spirito di sacrificio alla comunità, la prestanza, la bravura, l'agire valoroso. Marte, Ares, Indra, Thor, la maggior parte degli eroi delle letterature indoeuropee corrispondono a questo modello.
    Quanto alla terza, che può anche essere desunta negativamente dalle altre due, trova probabilmente il suo principio centrale ed originario nell'idea di fecondità, umana ed animale, cui si si è poi legato da un lato l'amore, la voluttà, i piaceri, dall'altro la fertilità (quindi l'agricoltura), la produzione, la ricchezza. La terza funzione viene ad essere così in relazione con l'idea stessa di quantità, di gran numero, e trova la sua regola nell'idea di temperanza, di moderazione, di limitazione. Non a caso gli dei che la rappresentano non sono mai singoli: vedi i gemelli Nàsatya o la triade Niòrdhr, Freyja, Freyr.
    Le tre funzioni, presenti nell'uomo come nell'ordine cosmico. sono legate a una quantità innumerevole di fatti e di nozioni, certo non ultimo il campo sociale. La questione della tripartizione della comunità è stata oggetto di ampie trattazioni riguardanti le sue realizzazioni ed echi storici anche tardissimi (per arrivare sino agli oratores, bellatores e laboratores medievali ed ad ai tre Stati della Francia prerivoluzionaria). E' d'altronde soprattutto in area indiana che la tripartizione ha un'espressione sociale estremamente netta. Il sistema delle caste. che arriva fino ad oggi in forma fossile sotto l'aspetto di una serie di tabù e di usanze vagamente ereditarie, trae origine dalla divisione degli invasori indoeuropei nelle classi dei brahmini, degli kshatrya, dei vaiçia, ai quali si aggiunge quella dei çudra, formata dalle popolazioni autoctone, che non ha altra funzione, secondo quanto ci dice il Rig-Veda, che quella di « servire gli ariani».
    In Iran, malgrado la riforma zoroastriana (23)_ I'Avesta lascia intendere il carattere originariamente tripartito della società indoiranica; e il poeta persiano Firdusi racconta ancora, verso il Mille, come il re leggendario Jamsed abbia istituito le classi degli arâsvan, arteshtar, vâstryôsh, confidando ad esse compiti e privilegi secondo il modello consueto (24).
    La società celtica, da quanto ne sappiamo attraverso le notizie di origine irlandese e le note di Cesare nel De bello gallico, era divisa in druidi, flaith (aristocrazia militare) e bo airig (uomini liberi possessori di buoi).
    Nel mondo latino, anche se è discussa l'esistenza storica di una tripartizione sociale, ritroviamo cenni di questa struttura nella tradizione delle tre tribù che hanno originato Roma: i Ramnes, i compagni di Romolo. i Luceres, i guerrieri etruschi di Lucumone. i Titienses. ovvero i sabini di Tito Tazio, ricchi allevatori di bestiame e vittime del ratto delle Sabine: ancora all'epoca della stesura dell'Eneide, d'altra parte, Virgilio dà un significato trifunzionale abbastanza trasparente ai popoli che si uniranno nella fondazione di Alba, assegnando ad Enea e al nucleo troiano la prima funzione, agli etruschi la seconda, ai latini la terza. Non c'è bisogno poi di ricordare come in Grecia l'ideologia tripartita, ben presente nei miti, trovi una delle più esplicite teorizzazioni etiche, politiche e psicologiche nell'opera di Platone.
    L'esempio greco. esempio di un mondo in cui una vera e propria strutturazione sociale secondo questa teoria è probabilmente scomparsa presto, mostra bene come sia fuorviante restringere il campo dell'ideologia tripartita alla sfera sociale. Essa assume invece l'aspetto di uno strumento di uso generalissimo, in vista dell'esplorazione della realtà etica e materiale. di un mezzo per mettere ordine nelle nozioni acquisite dalla comunità. A parte le applicazioni cosmogoniche, cosmologiche e religiose. alle tre funzioni si lega una teoria antropologica (uomini d'oro e d'argento, di ferro e di bronzo in Platone), una teoria fisiologica (cervello, cuore e sistema digerente), una teoria dei colori (bianco, rosso e nero), una teoria psicologica improntata alla dottrina delle "tre anime" (25).
    Parimenti, le calamità da cui Dario chiede ad Ahura-Mazda che sia protetto il suo impero, sono parimenti triplici: il tradimento, l'esercito nemico e la carestia. Esistono inoltre indizi che la medicina indoeuropea si dividesse originariamente in terapia magico-psicologica, terapia chirurgica e terapia farmacologica.
    Recentemente sono state dimostrate le influenze della tripartizione funzionale persino in campo giuridico: il diritto romano, che è per eccellenza creazione originale e particolare della latinità. contiene più di un'eco di questa struttura, come Lucien Gerschel ha brillantemente messo in luce. Chiunque si sia avvicinato alla romanistica ricorda ad esempio la particolarità dei tre testamenti: davanti ai comizi curiati. presieduti dal pontifex, davanti all'esercito in armi, o calatis comitiis; o tramite una vendita fittizia universale ad un emptor familiae (26). Si trovano infine spesso in Irlanda e presso gli Sciti talismani simboleggianti le tre funzioni in modo molto esplicito.
    Una domanda ci si è posti di fronte all'univocità di questi dati e riguarda l'originalità del sistema, il fatto cioè se la tripartizione non possa essere in realtà la struttura di ogni società umana e se essa non venga «scoperta» tanto più facilmente in quanto universale e « ovvia». Non sono, si dice, le tre esigenze fondamentali di ogni popolo quelle di essere governato, difeso e nutrito? Georges Dumezil ha risposto più volte e in modo estremamente chiaro a questa obiezione: «Nel mondo antico. né gli Egizi, prima dei contatti avuti con il Popolo del mare. né gli Asianici, nè gli Hurriti, popoli condotti essi stessi da aristocrazie indoeuropee o marcati dall'influenza degli indoeuropei; né i mesopotamici prima della dominazione dei Cassiti, altro popolo a componente indoeuropea; né più in generale i semiti. i siberiani o i cinesi, o qualunque altro popolo che non sia indoeuropeo o che non sia stato esposto a un'azione indoeuropea storicamente dimostrata e databile, ha mai messo una tale struttura come sostegno e spina dorsale nella sua ideologia o nella sua vita sociale» (27). E ancora: «Invano si sono ricercate. agli schemi concordanti di tripartizione sociale, repliche indipendenti nella pratica o nelle tradizioni delle società agro-finniche o siberiane. presso i cinesi o gli ebrei biblici, in Fenicia o nella Mesopotamia sumera e semita (...); ciò che si osserva, invece. sono sia organizzazioni indifferenziate di nomadi, ove ciascuno è nello stesso tempo combattente e pastore; sia organizzazioni teocratiche di sedentari, in cui un re-sacerdote. un imperatore divino è equilibrato da una massa frazionata all'infinito ma omogenea nella sua umiltà; sia ancora società in cui lo stregone non è che uno specialista tra molti altri. malgrado il timore che ispira la sua specialità. Né da vicino né da lontano. niente di tutto questo ricorda la struttura delle tre classi funzionali gerarchizzate. Non ci sono eccezioni » (28)

    (21) Per una sintesi degli studi duméziliani su questo tema rimandiamo a Georges Dumézil, L'idéologie tripartie des Indo-Européens, Latomus, Bruxelles 1958, cui fa in gran parte riferimento la parte del presente articolo dedicata alla tripartizione funzionale.

    (22) Tenuto conto dei problemi particolari che si legano alla figura "indebolita" di Tvr: cfr. Georges DuméziI, Gli dèi dei Germani, Adelphi, Milano 1980.

    (23) Sull'Iran e la riforma zoroastriana, cfr. il testo di Jean Varenne Zarathustra et la tradition mazdéenne, Seuil, Parigi 1966. Varenne, professore di sanscritto e civiltà indiana presso l'Università di Provenza e allievo di Dunézil, già presidente del GRECE, è stato uno dei maggiori specialisti degli «indoeuropei dell'est», ed un propugnatore del ricongiungimento del neopaganesimo europeo con l'induismo, di cui si è occupato tra l'altro in Le Tantrisme : mythes, rites, métaphysique, Albin Michel, Parigi 1997, e in Cosmogonies védiques, Arché, Milano 1982. Sempre in tema indoiranico ha pubblicato in italiano due saggi, "La religione vedica" e "L'induismo moderno" compresi nella Storia delle religioni a cura di Henri-Charles Puesch (Laterza. Bari 1977). E' animatore con Jean Haudrv di un neocostituito Institut des Etudes Indoeuropéens presso l'Università di Lione. che pubblica la rivista Etudes Indoeuropéennes [dopo la scomparsa di Jean Varenne e il pensionamento di Jean Haudry, quest'ultimo si è trasformato nella Société Internationale des Etudes Indo-Européens].

    (24) L'idéologie tripartie des Indo-Européens, op. cit.

    (25) Anima razionale, irascibile e concupiscibile, che del resto corripondono a dharma, kâma e artha.

    (26) Cfr. per tutti Carlo Alberto Maschi, Storia del diritto romano, Vita e Pensiero, Milano 1979. Ugualmente meritano di essere ricordate le tre forme del matrimonio (per confarreatio, tramite l'usus seguito ad una adprehensio di fatto della sposa, e mediante un gestum per aes et libram) o di affrancamento dello schiavo.

    (27) Georges Dumézil, Les dieux des Indo-Européens, PUF, Paris 1952. Si discute soltanto su alcuni aspetti della mitologia giapponese: vedi "La mythologie japonaise. Essai d'interpretation structurale" di Atsuhiko Yoshida, in Revuc d'Histoire des Réligions, n. 160, Parigi 1961; "Some Parallel between Greek and Japanese Myths", dello stesso autore, in Bulletin of the Faculty ed Humanities, Sei-Kei University: Taryo Obayashi, Nihon Shinwa no Kozu ("Struttura della mitologia giapponese"), Tokio 1974; e ancora di Atsuhiko Yoshida, Hikaku-Shinwagaku no Genzai (Bilancio della mitologia comparata), Tokio 1975.




    (28) L'idéologie tripartie des Indo-Européens, op. cit. [Tra le opere facilmente reperibili in italiano di Georges Dumézil all'atto della pubblicazione sul Web del presente articolo, oltre a quelle già citate: Riti e leggende del mondo egeo. Il crimine delle donne di Lemno (Sellerio); La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi. (Rizzoli); La saga di Hadingus. Dal mito al romanzo (Edizioni Mediterranee); Il monaco nero in grigio dentro Varennes. Sotie nostradamica-Divertimento sulle ultime parole di Socrate (Adelphi); Matrimoni indoeuropei (Adelphi); Il libro degli eroi (Adelphi).]

  2. #22
    goatrance14
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    L'India di Arriano

    Nato a Nicomedia, in Bitinia, attorno al 95 e. v., dove fu nominato sacerdote a vita di Demetra e Core, divinità protettrici della città, Lucio Flavio Arriano è noto soprattutto per aver sintetizzato e divulgato l’insegnamento del filosofo stoico Epitteto, del quale era stato seguace, in un Manuale o Encheirìdion e pubblicando inoltre otto libri, di cui quattro si sono conservati, di Conversazioni o Diatribaì.

    “Accanto all’impegno filosofico e letterario dell’uomo di studi si colloca l’intensa attività pubblica del cittadino romano all’interno del sistema imperiale” (p. 22). Sembra che Arriano abbia amministrato la provincia Hispania Baetica, nel 130 o in un anno di poco anteriore fu designato consul suffectus, dal 131/2 al 136/7 rivestì la carica di legatus Augusti pro praetore Cappadociae, provincia ai confini dell’Impero ed esposta alle minacciose incursioni degli Alani (Cassio Dione LXIX, 15,1 ricorda l’abilità di Arriano nel bloccarne l’invasione nella guerra mossa dagli Alani).

    L’Indikè è una delle opere minori di Arriano ma essa costituisce “l’unica monografia sul subcontinente indiano che ci sia giunta nella sua integrità dal mondo classico” (p. 5) da qui la sua importanza.

    Arriano scrisse l’India per celebrare l’impresa della flotta di Alessandro Magno guidata dall’ammiraglio Nearco, il cui diario di bordo ne fu la principale fonte, dagli affluenti dell’Indo alla Mesopotamia. Ma i capitoli più interessanti rimangono quelli dedicati alla descrizione dell’India.

    Arriano non pretendeva per la sua opera alcun’originalità. Presentandosi come un collage di fonti nel quale sono giustapposte e in parte sintetizzate le informazioni provenienti dagli autori considerati più autorevoli, la sua opera acquisisce un valore documentale di tutto rispetto. Il libro arrianeo registra un “fatto rilevante in India: che tutti gli Indiani sono liberi e che nessun indiano è schiavo” (X, 8). E poco dopo che “l’insieme degli Indiani è diviso generalmente in sette caste” (XI, 1). Come giustamente osserva la curatrice di quest’edizione “alcuni preferiscono tradurre qui <> anziché <>, poiché è noto che le tradizionali caste indiane sono in realtà quattro: i brahmani, ossia i sacerdoti, i guerrieri, i contadini e lo strato inferiore comprendente tutti gli altri lavoratori manuali. La classificazione introdotta da Arriano, di derivazione megastenica, sembra invece basarsi su una distinzione di mestieri. Essa del resto ricorre anche in Diodoro II, 40 e, con maggior abbondanza di particolari, in Strabone XV, 1, 49. Tuttavia, poiché i gruppi sociali indicati in ciascuna delle tre fonti presentano le caratteristiche di chiusura rigida proprie del sistema di caste indiane, non sembra fuori luogo pensare che appunto a questo sistema si faccia riferimento” (n. 18, pp. 66-67).

    “Fra queste – seguiamo nuovamente quanto scrive Arriano - vi è la casta dei saggi, inferiori agli altri per numero, ma i più ragguardevoli per fama e onore. Essi non sono obbligati a svolgere alcuna attività fisica né a destinare al patrimonio comune i frutti del proprio lavoro. In una parola, i saggi non sono soggetti a nessun’altra costrizione eccetto quella di offrire sacrifici agli dèi a nome della comunità indiana; e se qualcuno sacrifica in privato, uno di questi saggi gli fa da guida, perché altrimenti il sacrificio non sarebbe gradito agli dèi. Essi solo fra gli Indiani sono capaci di praticare l’arte divinatoria e a nessun altro fuorché a un saggio è permesso predire il futuro. Fanno profezie riguardo alle stagioni dell’anno o prevedono se qualche sciagura incombe sulla comunità; non si occupano, invece, di predire il futuro in rapporto agli affari privati dei singoli” (XI, 1 – 5).

    A riguardo degli agricoltori annota che “non possiedono armi da guerra né si dedicano ad attività belliche, ma lavorano la terra e pagano tributi ai re e alle città autonome. Se scoppia una guerra interna fra gli Indiani, non è permesso mettere le mani su quanti coltivano la terra né devastare la terra stessa, ma mentre gli uni combattono e si uccidono tra loro a seconda delle circostanze, gli altri, accanto a loro, in tutta tranquillità arano o raccolgono i frutti o potano gli alberi oppure mietono” (XI, 9 – 10).

    Dopo aver accennato alla casta dei pastori ed a quella degli artigiani e dei commercianti passa a quella dei guerrieri, “quella che conduce la vita più libera e piacevole. Costoro esercitano soltanto attività belliche. Le loro armi sono fabbricate da altri e così pure i loro cavalli sono forniti da altri; negli accampamenti, infine, è prestato servizio da altri, i quali curano i loro cavalli, puliscono le loro armi, conducono gli elefanti, mettono in ordine i carri e li guidano. Quanto a loro, finché bisogna combattere, combattono, ma una volta conclusa la pace, se la godono; e ricevono dalla comunità uno stipendio tale da poter mantenere agevolmente altre persone” (XII, 2 – 5).

    Le altre due caste per Arriano sono quella dei cosiddetti ispettori e quella di coloro che deliberano sui pubblici affari insieme al re, o nelle città autonome insieme ai magistrati. Riguardo alla rigidità castale Arriano ricorda che “non è lecito sposarsi con una persona di un’altra casta, ad esempio per gli agricoltori sposarsi con un membro della casta degli artigiani, o viceversa. Non è neppure lecito che la stessa persona eserciti due mestieri o passi da una casta all’altra, come ad esempio che da pastore si diventi contadino o da artigiano pastore” (XII, 8).


    Mario Enzo Migliori


    Lucio Flavio Arriano, L’India, saggio introduttivo di D. Ambaglio, a cura di A. Oliva, testo greco a fronte, BUR, Milano 2000, pp. 160, Lire 16.000 (IBS) (BOL) (LU)

    Tratto da Arthos, 7-8 n.s., 2000, pp. 291-293.

  3. #23
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    Basta, le caste non sono ereditarie ! Esplicano le tendenze intrinseche dell'individuo, maturate tramite fattori Karmici. In una società, dove la mancanza della coscienza del se profondo, aldilà delle maschere, unica strada per essere padroni di se stessi e dei propri talenti connaturati creati dal Karma,come riflessi stessi della fonte che possiede in se tutte le qualità, PORTA L' INDIVIDUO A RICERCARE RUOLI DI COMODO PER RICERCARE SOLDI, l' uomo non ha più nessun ruolo nell'ordine universale, e viene privato della felicità e della sensazioni di fare parte di un tutto. Nascono così individui de contestualizzati dal proprio se originario, equivalenti a ZOMBI, UN NUOVO ESERCITO DI DEPRESSI E MALATI DI MENTE. qUESTO è IL SINTOMO DELLA DEGENERAZIONE DEL VARNASRAMA DHARMA. Quindi, è utilissimo smetterla con queste critiche dovute SOLTANTO ALL'IGNORANZA DI CIò CHE IMPLICA QUESTO CONCETTO E BASTA CON PARAGONI FATTI DA PSEUDO INTELLETTUALISTI SINISTROIDI, CHE APPENA SI PARLA DI FILOSOFIA VEDICA E iNDIA, NOMINANO LE CASTE, PENSANDO AHIMè CHE SIANO UN EQUIVALENTE DELLE CLASSI SOCIALI, CHE GLI OSESSIONANO COSTANTEMENTE, A CAUSA DI UN MATERIALISMO, CHE I SIONISTI HANNO MANIPOLATO A PARTIRE DAI SENTIMENTI PIù BASSI, COME LA TIPICA INVIDIA UMANA, DI CHI VUOLE MA NON PUò. IL VARNASRAMA è BEN ALTRO, E IL RITORNO AI SUOI PRINCIPI, RIPORTEREBBE GLI UOMINI, ALLA RISCOPERTA DEI LORO RUOLI INTRINSECI, E AL RITMO ARMONIOSO. om tat sat

  4. #24
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    concordo con la parte del tuo messaggio che ho letto. dopo leggerò il resto

  5. #25
    TERZO FASCISMO
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    "Alain Daniélou, I quattro sensi della vita
    CASTA E MATRIMONIO (pagg. 60-63)
    Il principale problema, nella relazione fra le razze e fra le caste, riguarda il matrimonio. Per il legislatore indù il matrimonio è innanzi tutto un'istituzione sociale che ha come scopo esclusivo la propagazione di una specie e la preservazione delle razze, delle caste, delle comunità, potremmo anche dire delle nazioni. Per gli indù c'è una differenza assoluta fra i divertimenti erotici di ogni natura che fanno parte dello sviluppo armonioso dell'individuo e il matrimonio che ha come scopo la famiglia, la continuazione di una specie. Il matrimonio non è dunque una questione di amore ma è piuttosto il risultato di una scelta ponderata che tiene conto esclusivamente dell’ereditarietà, dell'equilibrio e della felicità dei figli.
    Per piaceri transitori e momentanei non c'è affatto bisogno di una istituzione come il matrimonio. Considerare il matrimonio sotto questo profilo significa misconoscerne completamente la dignità. Il matrimonio d'amore, di occasione o riparatorio, che può essere rotto con il divorzio, così come è inteso oggi da molti popoli occidentali è, dal punto di vista indù, un’istituzione assurda e immorale, una sorta di prostituzione legalizzata che non corrisponde a niente sul piano morale o sociale. Il matrimonio non è semplicemente una ufficializzazione delle relazioni sessuali. E un'istituzione importante il cui unico scopo è la prole, la continuazione della specie nelle migliori condizioni possibili, ambientali ed ereditarie.
    Avendo come base il rispetto delle specie, che sono opera del Creatore, il matrimonio è un’istituzione che interessa la casta, la razza, la professione, la nazione, e con la quale l’individuo non ha il diritto di giocare poiché essa riguarda tutti gli altri individui. II divorzio non è ammesso che per le caste artigianali le cui leggi sono differenti e per le quali non esiste in pratica alcun divieto sessuale, il che fa parte dei loro privilegi. La poligamia fa parte del privilegio della casta dei principi (guerrieri).
    Se le restrizioni riguardo al matrimonio sono severamente osservate da parte di tutti, le differenti caste o razze possono vivere insieme in buona amicizia, possono trarre profitto le une dalle altre senza pericolo per i costumi, le tradizioni e la progenitura di ciascun gruppo. Nell'India antica la donna non è mai stata rinchiusa come è accaduto dopo l'invasione musulmana e fino a oggi. A quell'epoca era rispettata da tutti e il matrimonio fra caste diverse era inimmaginabile. È soltanto dopo l’arrivo dei musulmani e poi dei cristiani, i quali hanno sanzionato unioni razzialmente disparate, che la donna indù ha perduto le libertà di cui godeva fuori dalla propria casa. La legislazione indù non è puritana, tiene conto in larga misura delle debolezze umane, ma il matrimonio fuori-casta è considerato come un atto antisociale che rischia di mettere in pericolo l'intera struttura sulla quale riposa l’equilibrio della società. A questo riguardo i codici morali dell'Occidente moderno e dell'India sono completamente differenti, poiché l'Occidente considera morali anche le unioni più eterogenee qualora siano legalizzate, senza preoccuparsi degli eventuali problemi dei figli. L'indù, al contrario, considera il matrimonio d'amore o fuori casta come più immorale e come più socialmente pericoloso di qualsiasi forma di unione temporanea, di prostituzione, di omosessualità, o di fantasia sessuale ove non entrano in gioco che questioni di ordine morale o di equilibrio individuale, rispetto alle quali ogni legislazione ha ben poche giustificazioni ed è dunque tirannica, giacché, solamente quando l'azione dell’individuo rappresenta un pericolo per terzi innocenti (in questo caso la prole) e di conseguenza per la società, lo Stato è legittimato e obbligato a ridurre la libertà individuale. I legislatori indù erano convinti che l'incrocio delle razze o delle caste distrugga, in grande misura, il valore delle due parti che si mescolano e ricreano una materia umana primitiva priva delle virtù dei due gruppi che bisognerà di nuovo plasmare e formare forse per secoli, sino a quando una nuova mescolanza divenga omogenea e possa dare vita a una razza, a una civiltà nuova, dotata di caratteristiche proprie. Le razze miste costituiscono generalmente una sorta di isolante ostile e corruttivo che separa profondamente le due razze che l'hanno generato, e non possono mai, salvo rare eccezioni, servire al loro avvicinamento. Se, al contrario, ogni possibilità di matrimonio (...) resta assolutamente fuori questione, allora noi possiamo facilmente legarci con persone, di ogni razza, di ogni casta e trarre grandi vantaggi dalle loro qualità e dalla loro cultura. Astenersi da ogni tentativo di matrimonio fuori dalla propria casta e dalla propria razza è, dal punto di vista indù, un elemento di decenza sociale tanto fondamentale quanto, per esempio, astenersi dal fare proposte sentimentali a ogni donna che si incontra, il che renderebbe piuttosto difficile la vita sociale.
    In realtà la questione è quasi identica nei due casi. La differenza risiede solo in una prospettiva di tempi. L'avventura temporanea che è immorale nella misura in cui rischia di mettere in pericolo la vita di una famiglia equivale a ciò che rappresenta, nei confronti della vita di una razza, di una casta, di una civiltà millenaria, il matrimonio di due individui disparati, che non ha senso, giacché il matrimonio non dovrebbe essere che un anello nella trasmissione della vita di una specie, un istante della vita di una razza, di una dinastia. L’unione procreatrice che rischia di disorganizzare la vita di una razza è in sé molto più antisociale e immorale di un’avventura passeggera senza conseguenze."
    V. pure "Daniélou - Caste, egualitarismo e genocidi culturali".

  6. #26
    TERZO FASCISMO
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    http://www.centrostudilaruna.it/caste-e-razze.html

    Caste e razze


    14 July 2008 (10:22) | Autore: Michele Fabbri
    L’ideologia dell’antirazzismo è il vero e proprio oppio dei popoli: questa potente droga viene furbescamente utilizzata dalla classe dirigente “democratica” per distrarre l’opinione pubblica dai problemi più pressanti e per far ingollare alla società civile il nuovo ordine mondiale che si concretizza in una surreale società “multirazziale” che nei fatti assume inevitabilmente i caratteri di una società multirazzista e multicriminale. “Lotta alle discriminazioni” è un’espressione che ha un effetto lisergico sulla personalità debole, frammentata e facilmente impressionabile dell’uomo contemporaneo, ormai regredito allo stadio infantile e disposto a credere alle favole più inverosimili.
    Il mondo della Tradizione era invece fondato su un sentimento forte delle identità di razza, di casta e di religione: per capire questi aspetti di storia della mentalità è utilissimo il libro di Frithjof Schuon Caste e razze, che l’autore pubblicò in francese nel 1957. Schuon fu uno dei più qualificati studiosi di storia delle religioni, che egli interpretava alla luce della philosophia perennis, mettendo in luce le analogie fra culture distanti nel tempo e nello spazio. Caste e razze è un testo di grande attualità, che ha anticipato di decenni le concezioni differenzialiste oggi diffuse nel dibattito culturale.
    La trattazione di Schuon si apre con la definizione dell’istituto delle caste, che trova la sua giustificazione nella differenziazione dei tipi umani con la conseguente diversità di attitudini e di qualificazioni. Nell’Induismo il sistema delle caste ha conosciuto la sua applicazione più rigida basata sul principio di ereditarietà della casta, mentre nell’Ebraismo e nell’Islam le caste sono assenti, poiché in queste culture ha prevalso la considerazione ugualitaria secondo la quale tutti gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Fra queste due concezioni c’è l’Europa cristiana medievale nella quale la società era divisa in caste ma in modo abbastanza flessibile: la casta sacerdotale era vocazionale e la casta guerriera poteva accogliere elementi delle caste dei lavoratori attraverso processi di nobilitazione, e in questo modo poteva verificarsi l’eventualità che un contadino diventasse papa e consacrasse l’imperatore. Ma gli appartenenti alle caste, anche alle più umili, avevano ciascuno una propria dignità e delle qualità specifiche che ne determinavano la funzione sociale. Le antiche società gerarchizzate creavano anche spazi per individui senza attitudini particolari, dalla psicologia caotica e poco definita e quindi portati alla trasgressione: per proteggere l’ordine sociale dalla contaminazione di questi elementi si formavano i gruppi dei “fuori casta” e degli “intoccabili” nel mondo induista, oppure degli ebrei e degli zingari nel mondo occidentale. La mentalità moderna, fondata su concezioni ugualitarie derivate da grossolane e improbabili ideologie materialiste, e particolarmente avversa al principio di ereditarietà, ritiene inaccettabile dividere l’umanità in caste. Ma le caste antiche, come si è visto, avevano una funzione sociale che equilibrava le attitudini umane, mentre il materialismo moderno ha trasformato gli elementi mediocri in classe dirigente e di fatto ha ribaltato il senso delle caste, assegnando a incapaci e parassiti prerogative e privilegi del tutto ingiustificati, e determinando le disfunzioni sociali che caratterizzano il mondo contemporaneo. Nell’antichità e nel medioevo gli uomini avevano una chiara coscienza del senso del limite ed erano consapevoli dei rischi che l’umanità correva se lasciava spazio alle forze demoniache che si collocavano al di fuori dell’orizzonte del sacro. Nel mondo moderno, invece, la meccanizzazione e la tecnologizzazione dell’economia hanno creato la massa dei “proletari”, che non corrisponde a una casta naturale ma a una collettività quantitativa.
    Per rendere conto delle assurdità di cui è responsabile, la cultura moderna è riuscita perfino a dare una sovrastruttura pseudoreligiosa alle sue concezioni “umanitarie”. L’umanitarismo, infatti, ritiene che la totalità degli esseri umani sia il Dio personale: una concezione che degrada il divino al livello umano, mentre nella concezione tradizionale è l’umano che si sforza di elevarsi verso il divino. Da questa idea del sacro deriva una carità equivoca che salva i corpi ma uccide le anime; i difetti delle persone sono attribuiti a condizioni materiali sfavorevoli, quindi le coscienze vengono deresponsabilizzate, poiché i comportamenti devianti e criminali sono accettati e incoraggiati sulla base delle spiegazioni “sociologiche” che tanto successo riscuotono nella cultura contemporanea. Il terzomondismo, poi, è riuscito a elaborare concetti a dir poco fuorvianti sull’idea di “benessere”. La nozione di “paese sottosviluppato”, nella sua candida perfidia, è ispirata a una concezione rozzamente materialista della vita: per i progressisti la felicità consiste in uno sviluppo tecnologico destinato a distruggere molti elementi di bellezza, e dunque di benessere, mentre ci si dimentica che esistono atrocità sul piano spirituale, e di queste atrocità è satura la cultura umanitarista dei moderni. In nome dell’umanitarismo le vocazioni vengono calpestate e le persone di genio vengono umiliate in una scuola il cui scopo non è più quello di selezionare i migliori, ma quello di omologare le intelligenze nella mediocrità imperante.
    Schuon fa notare che il livellamento moderno e democratico è agli antipodi dell’ugualitarismo religioso: l’uguaglianza delle religioni monoteiste, infatti, si fonda sul teomorfismo dell’uomo, mentre l’uguaglianza democratica prende a modello l’animalità. Nella concezione religiosa della vita, gli uomini sono tenuti a vedere nel prossimo l’immagine di Dio e a trattarsi come dei santi “virtuali”: in questo senso anche i più umili assumono un contegno aristocratico. La modernità, invece, elevando il progresso a ideologia, ha preso la ricchezza a metro di giudizio di tutte le cose, considerando la povertà come una sorta di maledizione e creando odiose forme di esclusione sociale assai più rigide di quelle messe in atto dal sistema delle caste. In modo analogo le ideologie moderne hanno preteso di annullare le differenze fra uomo e donna, distruggendo la famiglia naturale e creando lo scenario di disgregazione sociale che la modernità ci ha messo sotto gli occhi.
    Passando a trattare il tema delle razze, Schuon mette subito in chiaro che la casta prevale sulla razza, poiché la razza è una forma, mentre la casta è uno spirito, e lo spirito prevale sulla forma. Sarebbe però assurdo pensare che le differenze razziali non implichino diversità di attitudini e di atteggiamenti: se è giusto respingere sentimenti di odio ispirati a motivi razziali, è altrettanto giusto respingere un antirazzismo pregiudiziale che pretende di uniformare tutte le diversità, con l’evidente scopo di offrire al potere dei tecnocrati mondialisti una massa di cittadini-schiavi incapaci di pensiero critico.
    Schuon analizza i tre principali gruppi razziali in cui si divide l’umanità, Bianchi, Neri, Gialli, che egli assimila agli elementi naturali: il Bianco al cielo, il Nero alla terra, il Giallo all’acqua. Ognuna di queste razze ha dato vita a organizzazioni sociali ispirate alle rispettive caratteristiche, e all’interno di questi grandi gruppi ci sono ulteriori differenziazioni, dovute a fattori culturali e storici che hanno segnato le varie civiltà. In particolare, all’interno della cultura bianca ci sono sempre stati momenti di confronto, e talvolta di conflitto, fra culture nordiche e culture mediterranee, nonché fra mentalità pagana e mentalità cristiana, fra messianismo monoteista e avatarismo ariano.
    Schuon, inoltre, rimarca l’importante distinzione fra popoli e stati: infatti il popolo non sempre coincide con lo stato, anzi nel mondo moderno sempre più spesso diversi popoli vivono all’interno dello stesso territorio, e proprio per questo oggi è tanto più importante che i gruppi etnici acquisiscano una chiara coscienza della loro identità. Le mescolanze razziali, infatti, se da una parte possono arieggiare un ambiente troppo chiuso, d’altra parte rischiano di far scomparire gruppi umani dalle qualità preziose: il modello della società multirazziale, oltre a essere un palese fallimento sul piano della coesione sociale, rappresenta un impoverimento delle culture umane, che dovrebbero arricchirsi nel confronto fra le differenze, anziché annullarsi reciprocamente nell’omologazione globale. Schuon conclude il libro con una considerazione che sintetizza efficacemente il senso della questione razziale al di là di ogni forzatura ideologica: «le qualità che rendono amabile un certo essere umano, rendono nello stesso tempo amabile il genio della sua razza…l’uomo di un’altra razza è come un aspetto dimenticato di noi stessi, e dunque uno specchio ritrovato di Dio».
    * * *
    Frithjof Schuon, Caste e razze, All’insegna del Veltro, Parma, 1979, pp.72, euro 10,00.

  7. #27
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    Predefinito "Raphael"? "Evola"? "Guenon" ... e "Blondet"? Chi più ne ha più ne metta!

    A parte il calderone del titolo ... E a parte le operazioni indebite di arruolare il pensiero tradizionale al mondo ideologico fascista, e di far convivere i tradizionalisti come Schuon con il razzismo (invenzione moderna),
    volevo intervenire sul passaggio riportato:

    Citazione Originariamente Scritto da Ungern Khan Visualizza Messaggio
    [...]
    Schuon, inoltre, rimarca l’importante distinzione fra popoli e stati: infatti il popolo non sempre coincide con lo stato, anzi nel mondo moderno sempre più spesso diversi popoli vivono all’interno dello stesso territorio, e proprio per questo oggi è tanto più importante che i gruppi etnici acquisiscano una chiara coscienza della loro identità. Le mescolanze razziali, infatti, se da una parte possono arieggiare un ambiente troppo chiuso, d’altra parte rischiano di far scomparire gruppi umani dalle qualità preziose: il modello della società multirazziale, oltre a essere un palese fallimento sul piano della coesione sociale, rappresenta un impoverimento delle culture umane, che dovrebbero arricchirsi nel confronto fra le differenze, anziché annullarsi reciprocamente nell’omologazione globale. Schuon conclude il libro con una considerazione che sintetizza efficacemente il senso della questione razziale al di là di ogni forzatura ideologica: «le qualità che rendono amabile un certo essere umano, rendono nello stesso tempo amabile il genio della sua razza…l’uomo di un’altra razza è come un aspetto dimenticato di noi stessi, e dunque uno specchio ritrovato di Dio».
    * * *
    Frithjof Schuon, Caste e razze, All’insegna del Veltro, Parma, 1979, pp.72, euro 10,00.
    Il fatto cioè che la costituenda globalizzazione con i suoi mescolamenti abbia per esito "un impoverimento delle culture umane, che dovrebbero arricchirsi nel confronto fra le differenze, anziché annullarsi reciprocamente nell’omologazione globale" è solo un'ipotesi, è solo uno degli scenari ipotizzabili (visto che l'esito finale è tutto fuorché già scritto, ma è solo in fieri).

    Chi ci dice che l'immigrazione "annulli", "distrugga" ... ? Distrugge sì, ma è probabile che distrugga il modello liberale e secolare occidentale - essere nostalgici e conservatori del quale non mi sembra una buona causa (come invece sembra all'estrema destra, che soffia e si allea alla paura borghese del diverso).
    Chi ci dice che non porti invece degli apporti che rappresentano ... una boccata d'aria per lo sfittico Occidente? Uno per tutti? Il fatto che il femminismo è costretto ad abbassare la cresta, per esempio (e difatti i razzisti estremodestri titillano la rabbia delle femministe : vera azione tradizionale!).
    Prendiamo poi l'immigrazione cinese : dov'è che si mescolerebbe? Dov'è che si dissolverebbe e dissolverebbe?
    Solo un'applicazione astratta di idee altrettanto astratte può continuare a paventare uno scenario - del tutto ipotetico, ripeto - come quello delle zavorre estremodestre. Mi viene in mente quel patetico romanzetto pubblicato dalle Ar ... Il campo dei santi, mi sembra. Robaccia alla Houllebeck, alla Pim Fortuyn, alla Geert Wilders, Brigitte Bardot, Fallaci ... Tutti spadaccini del Borghese.

  8. #28
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    Citazione Originariamente Scritto da Ormriauga Visualizza Messaggio
    Il fatto cioè che la costituenda globalizzazione con i suoi mescolamenti abbia per esito "un impoverimento delle culture umane, che dovrebbero arricchirsi nel confronto fra le differenze, anziché annullarsi reciprocamente nell’omologazione globale" è solo un'ipotesi, è solo uno degli scenari ipotizzabili (visto che l'esito finale è tutto fuorché già scritto, ma è solo in fieri).

    Chi ci dice che l'immigrazione "annulli", "distrugga" ... ? Distrugge sì, ma è probabile che distrugga il modello liberale e secolare occidentale - essere nostalgici e conservatori del quale non mi sembra una buona causa (come invece sembra all'estrema destra, che soffia e si allea alla paura borghese del diverso).
    Chi ci dice che non porti invece degli apporti che rappresentano ... una boccata d'aria per lo sfittico Occidente? Uno per tutti? Il fatto che il femminismo è costretto ad abbassare la cresta, per esempio (e difatti i razzisti estremodestri titillano la rabbia delle femministe : vera azione tradizionale!).
    Prendiamo poi l'immigrazione cinese : dov'è che si mescolerebbe? Dov'è che si dissolverebbe e dissolverebbe?
    Solo un'applicazione astratta di idee altrettanto astratte può continuare a paventare uno scenario - del tutto ipotetico, ripeto - come quello delle zavorre estremodestre. Mi viene in mente quel patetico romanzetto pubblicato dalle Ar ... Il campo dei santi, mi sembra. Robaccia alla Houllebeck, alla Pim Fortuyn, alla Geert Wilders, Brigitte Bardot, Fallaci ... Tutti spadaccini del Borghese.
    Non credo sia il caso di tirare fuori un argomento simile in questo 3d, in ogni caso - per farla breve - ti sembra che l'Occidente possa essere risvegliato da orde di spacciatori marocchini?
    Gli immigrati presenti in Italia ci portano realmente ad un confronto? O forse il loro, nel migliore dei casi, è solo un residuo di finta "cultura", in realtà così debole da essere soppiantata da alcolici e sesso facile?

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da Ungern Khan Visualizza Messaggio
    Non credo sia il caso di tirare fuori un argomento simile in questo 3d, in ogni caso - per farla breve - ti sembra che l'Occidente possa essere risvegliato da orde di spacciatori marocchini?
    Gli immigrati presenti in Italia ci portano realmente ad un confronto? O forse il loro, nel migliore dei casi, è solo un residuo di finta "cultura", in realtà così debole da essere soppiantata da alcolici e sesso facile?
    Ma ti sembra che un fenomeno così gigantesco, che durerà comunque secoli, sia riducibile agli ... "spacciatori marocchini" (cui per inciso riserverei una sorte non troppo gentile)?
    Cmq, divergenza di opinioni a parte sul fenomeno, il senso del mio intervento era più che altro l'irriducibilità del concetto castale con quello razzista.

  10. #30
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    I forum politici di POL sono strapieni di thread su immigrazione, albanesi, marocchini, spacciatori et similia.
    Qui invece si parla d'altro ed è meglio non uscire fuori tema. Grazie.


    Jai!

 

 
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