Il cardinale vicario ha espresso "misurate riserve" e ha anche rassicurato il Papa sulle condizioni di salute del vescovo Betori. La sua segreteria potrebbe essere prolungata. Ma Ratzinger non riaprirà la partita dei vertici

di Marino Rocca

Nei 35 minuti di colloquio che li ha visti faccia a faccia venerdì scorso, Camillo Ruini e Joseph Ratzinger non hanno parlato di Rutelli o Fassino, Rosi Bindi o Romano Prodi. Il dialogo si è concentrato sulla successione alla guida della Conferenza episcopale italiana che ha come dead-line –su richiesta dello stesso Ruini – il prossimo 7 marzo, data in cui "don Camillo" venne eletto per la prima volta presidente della Cei nel lontano 1991. Per tutta la durata della conversazione, Ruini ha cercato con delicatezza di suscitare interrogativi su quello che il Papa gli esponeva come un "pacchetto" di decisioni già prese: rescissione dei ruoli di presidente della Cei e di vicario per la diocesi di Roma che erano stati cumulati nell'era polettian-ruiniana; presidenza Cei affidata a un arcivescovo del meridione (quello di Taranto, Benigno Papa, dopo che si era fatto anche il nome dell'arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci); segreteria Cei da appaltare al vescovo di Ivrea, Arrigo Miglio. In particolare, Ruini avrebbe cercato di instillare nel Papa il sospetto di essere stato male informato, ad esempio, sulle condizioni di salute dell'attuale segretario Cei, Giuseppe Betori. Sottoposto di recente a un intervento chirurgico per aneurisma cerebrale, il vescovo umbro entro pochi mesi si lascerà dietro le spalle tutti i postumi dell'operazione, ma del suo totale ristabilimento il Papa non era bene al corrente. Le misurate riserve di Ruini potrebbero sortire l'effetto di allungare la segreteria Betori. Ma è difficile che riaprano la partita. La regia dell'operazione – e tutti gli indizi sembrano attribuirla al segretario di Stato, Tarcisio Bertone – fa leva su argomenti condivisi anche dalla maggioranza dei vescovi: il ruinismo senza Ruini non ha senso. È ora di uscire dallo schema "interventista" che concepisce l'episcopato impegnato sul fronte di una strategia globale, protagonista della tenuta "politica" della tradizione cattolica italiana. Proprio l'escalation polemica di questi giorni sui Pacs – dal "non possumus" del quotidiano Cei, Avvenire, alle alzate di spalle di Prodi – può anche essere letta come la manifestazione degli "ultimi fuochi" dell'era ruiniana. Lo scenario post-ruiniano presenta comunque alcune rilevanti incognite. È da verificare se la linea della guida Cei "di basso profilo" sia stata sponsorizzata da Bertone con l'intento di dare spazio alle voci "plurali" della Chiesa italiana rimaste in sordina nell'era-Ruini, o piuttosto con lo scopo di eliminare insidiosi concorrenti al presenzialismo del neo-segretario di Stato. Wojtyla, assorbito nella battaglia ai regimi comunisti e poco avvezzo ai bizantinismi dell'Italia democristiana, aveva delegato alla Cei ruiniana il compito di realizzare la via italiana al wojtylismo. A Bertone, invece, la politica italiana piace e interessa in prima persona come dimostrano anche alcuni decisivi dettagli della sua biografia: una solida amicizia con Carlo Donat-Cattin, i tanti articoli scritti sulla rivista (Terza Fase) dello scomparso king maker democristiano, il frequente rapporto epistolare con Giorgio La Pira. Il cardinale salesiano, mutatis mutandis, potrebbe rinnovare la tradizione del protagonismo vaticano sulle vicende politiche italiane, già sperimentato da Pacelli e da Montini. Una prospettiva che non dispiace al cenacolo prodiano e a quanti nell'Unione pensano, forse illudendosi, di chiudere con Ruini anche il ruinismo. Tra le incognite del futuro va considerato anche l'enigma- Scola. Ruini stesso sponsorizzava il Patriarca di Venezia come suo successore. Il teologo ciellino avrebbe a suo modo ripreso l'idea ruiniana che nelle società avanzate la battaglia decisiva per la Chiesa consiste nell'elaborare un progetto culturale "credibile", basato sulla concezione antropologica cristiana. Ma il nome di Scola era già circolato invano come possibile successore di Ratzinger all'ex sant'Uffizio e poi come possibile segretario di Stato. Nonostante i suoi sforzi per sfuggire all'identificazione con Cielle, anche stavolta ha pesato a suo sfavore il "marchio di fabbrica" ciellino. E adesso qualcuno, nei Palazzi vaticani e negli ambienti vicini a Ruini, solleva il problema di come "valorizzare" in forme nuove i suoi talenti.

L'INDIPENDENTE 8 febbraio 07