La società italiana presenta stili di vita e costumi ampiamente secolarizzati, come emerge da tutti gli studi sociologici e da informazioni e dati facilmente reperibili. Questa realtà stride con l’egemonia culturale e politica dell’etica religiosa. La contraddizione tra pratiche sociali e ideologia, che riguarda tanti credenti e tanti atei devoti, trova spesso un facile capro espriatorio nelle soggettività eccentriche più esposte.
La messa in discussione delle norme patriarcali che disciplinavano corpi e sessualità e regolavano la parentela, operata dai movimenti di liberazione femministi, gay, lesbici e trans, ha prodotto nuove forme di vita, relazione, affetto lontane dalla normatività eterosessuale fondata sul matrimonio e sull’etica religiosa. Tuttavia e forse proprio in reazione a questo, assistiamo a un ritorno aggressivo e invasivo da parte delle gerarchie e dei gruppi integralisti cattolici sui temi della sessualità, della genitorialità, dell’educazione, che tende a riaffermare la centralità della famiglia e in generale l’ordine vetero-sessuale, ispirati ad un’etica religiosa.
Il discorso fondamentalista cattolico si ripresenta rafforzato dall’alleanza con teorie biologistiche, nell’intento di difendere un presunto ordine naturale dei sessi, dei generi e della riproduzione sociale, come chiaramente emerge dai documenti prodotti dall’attuale papa e dalle gerarchie vaticane. Citiamo qui l’idea che i diritti umani siano fondati sulla "natura" umana e quindi rinviabili al creatore...
Documenti che sono spesso trascritti quasi letteralmente in leggi dello stato ad opera dei tanti kapò dell’ordine naturale, che si annidano in troppi partiti ben oltre l’etichetta teo-cons.
L’ideologia vetero-sessuale trova alleati anche all’interno del discorso e delle pratiche mediche, come emerge dalle questioni poste dalle biotecnologie, dall’assegnazione normativa di sesso agli intersessuati, dall’esperienza transessuale e transgender sempre ricondotta al sistema binario dei generi. Come è emerso nella battaglia sui referendum sulla legge 40 e nell’esperienza transessuale, intersessuale e transgender, attorno alle tecniche mediche si svolge un conflitto tra un’ideologia scientista alleata dell’ideologia religiosa, e una scienza laica e rispettosa dei diritti di autodeterminazione.
Il fondamentalismo cattolico ha trovato un suo punto di forza nella retorica dello scontro di civiltà, ed è speculare all’islamofobia, alla gestione repressiva delle politiche di immigrazione e alla paura diffusa di perdere la propria identità, su cui fonda la riproposizione delle radici cristiane dell’europa.
Il potere secolare della chiesa non è da sottovalutare, basti considerare l’immenso patrimonio immobiliare, con l’ultima finanziaria addirittura esente dall’Ici, le entrate dell’8 per mille, l’opus dei e tutto l’arcipelago di cooperative ed associazioni che operano nel settore di cura e servizi alla persona, sostituendo sempre più lo stato laico in linea con i principi di sussidiarietà.
La ricaduta più pesante del discorso vetero-sessuale e fondamentalista cattolico è avvertita dalle donne, da gay, lesbiche, trans, dalle soggettività eccentriche, da chi adotta stili di vita alternativi (basti pensare al consumo di droghe, o alla scelta di prostituirsi), in modo concreto e pervasivo nel proprio vissuto. In questo senso l’ingerenza cattolica attacca direttamente, in nome di un presunto ordine naturale che queste violerebbero, il diritto di autodeterminazione di tutte le soggettività a decidere di sè e del proprio corpo, identità, sesso o stile di vita. Sono di questi giorni le continue polemiche sull’interruzione volontaria di gravidanza, sulla RU486, sulla gestione dei consultori. Il recente dibattito sui Pacs, dimostra come l’opposizione al minimo sindacale di diritti alle coppie di fatto, sia strumentalizzato per riattivare discorsi omofobici e lesbofobici.
Emerge qui un concetto di laicità non come spazio neutro equidistante da tutte le concezioni, ma come negazione del clericalismo, con un rimando diretto all’autodeterminazione come principio antiautoritario che appartiene ai percorsi di liberazione da cui partiamo. Facciamo breccia, come intersezione tra femminismo e lotte gay, lesbiche e transex, si viene a collocare su un margine, non come somma di marginalità, ma come bordo, come luogo delle resistenze e di apertura radicale di nuove possibiltà.
Si tratta di recuperare una dimensione di positività etica e politica alla quale avevamo rinunciato in nome di un criticismo solo decostruttivo della verità dominante e di sollevare le pratiche delle nuove forme di vita dall’ambito dell’etica individuale a quello più generale di un’etica collettiva che unisca saperi ed esperienze. Quello che è emerso in questi anni dall’esperienza transex e transgender, ha non solo ampliato e approfondito ciò che già il primo femminismo aveva affermato (l’anatomia non è un destino) dandogli una nuova declinazione, ma ha ulteriormente arricchito la complessità delle possibilità di autodeterminazione, arrivando a contestare l’allineamento sesso-genere, riportandoci alla questione del riconoscimento intersoggettivo anche tra soggetti eccentrici che si pongono non come portatori di verità, ma come "modesti testimoni", fieri del proprio percorso e pronti a riconoscere l’altro/a per come si definisce e percepisce.
Il discorso sull’etica ci porta alla pratica di ricostruzione di un vocabolario comune all’incrocio tra saperi e vita.
Le pratiche di breccia derivano da queste premesse analitiche: come soggetti oppressi rivendichiamo il diritto a chiedere conto al clero cattolico e a chi sostiene il fondamentalismo cattolico, delle proprie responsabilità, che producono odio sociale verso i soggetti non normalizzati, contestandone il discorso quando invade lo spazio pubblico.