Non fa neanche in tempo a svoltare l’angolo l’ennesimo motivo di lamentazione storica – il ricordo delle foibe (che sa veramente troppo di occasione per rivaleggiare a quale fazione è la più vittima di tutte, per coinvolgere i nostri pensieri politici) – che un’altra inquietudine attraversa il campo della memoria. Il bibliofilo Dell’Utri giura di avere scoperto diari inediti mussoliniani. Dice di essersi commosso, nel suo gonfio cuore australe, alla lettura dei delicati sentimenti (speriamo davvero apocrifi!) del Duce. Il quale – sostiene ancora Dell’Utri – la guerra non la voleva, e considerava nel proprio intimo la grave Germania un alleato fastidioso. E così si ripresenta la caricatura di un Mussolini traviato. E, soprattutto, si riaffaccia l’ipotesi (per fortuna soltanto tale) dell’opposizione etnica tra il rigore del tipo germanico e la levantinità del tipo italiano, pronto a ogni stratagemma e furberia per salvare la pelle (tra cui spicca per ripugnanza l’otto settembre).
A questo proposito, ricordiamo un aneddoto che Evola riferisce in uno dei suoi articoli su “La Vita Italiana”. Il filosofo tradizionalista accompagnava “uno dei più noti razzisti tedeschi” a una conferenza di un insigne germanista cattolico, Guido Manacorda, che stava analizzando, con il conforto di raffronti letterari, la tenebrosità del carattere germanico, la sua ‘gravitas’. Manacorda considerò il caso del patto di Faust con il diavolo. Faust, sapendo di aver dato la propria parola d’onore a Mefistofele, non viene meno all’accordo e affonda nella tenebra. Il nostro germanista ritiene allora di affidarsi a quella che Evola, imbarazzatissimo, definisce una “insipida, triste ironia”. Commenta, con un guizzo malizioso nella pupilla: “Noi (italiani) avremmo certamente trovato il modo di ingannare il diavolo”.
Ebbene, Dell’Utri ci lasci continuare a credere, o ad auspicare, che Mussolini non fosse proprio quel tipo di italiano.
13 febbraio 2007

Tratto da www.cultrura.net