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  1. #11
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    e, inoltre, l'obbedienza chiesta da Gesu' , giova ricordarlo, e' dovuta a Gesu'..non a ruini o chi per lui qualunque cosa dicano o facciano.
    E qui ti sbagli, perchè queste persone agiscono ed insegnano in persona Christi. Non credi tu forse a quanto il Signore diceva: Chi ascolta voi, ascolta Me? Quindi, le opinioni personali vanno prese per quelle che sono. Ma i documenti dottrinali impegnano in coscienza.
    Guarda, quindi, che stai dicendo un sacco di eresie.

  2. #12
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    ma , scusa , caterina, eh, sai leggere o no?
    l'obbedienza di cui si parla non e' un'obbedienza "cieca" ma partecipe e Gesu' come uomo ha obbedito in piena coscienza a se' stesso (In quanto Vero Dio) e non ha mai preteso l'annullamento dei discepoli.
    Fammi poi capire. L'obbedienza "partecipativa" sarebbe un po' quell'obbedire "in piedi" in auge oggi presso AC?

  3. #13
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    ti faccio un esempio.
    Pio XI biasimava l'"eccesso di razzismo e di nazionalismo" presente nei documenti di mussolini.
    Esiste forse una misura giusta, cristiana, di nazionalismo e, sopratutto "razzismo"?
    chiaro che no...
    Questo esempio non c'entra nulla.
    Esiste un nazionalismo giusto nella misura in cui non si trasformi in una forma idolatrica.
    Esiste poi un "razzismo", se vogliamo, teologico. Il termine però è improprio, giacché Pio XI non parlava di razzismo, ma di antigiudaismo teologico. Infatti, il razzismo ha a che fare con le teorie evoluzioniste e sulla specie dell'800, mentre l'antigiudaismo (teologico) è stato proprio della Chiesa per 2000 anni.
    Però non hai risposto alle questioni. E cioè: credi che quando i Pastori non esprimono opinioni personali, ma insegnano autenticamente (ad es., mediante una Nota o un atto ufficiale), agiscono in persona Christi? Un bel sì o bel no, sarebbe gradito. Grazie.

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    posso definirla in "negativo", cioe' dire cosa non e': non e' l'obbedienza dei fantozzi , dei baciapile.
    L'obbedienza "in piedi" fu quella di Don Milani ad esempio, che accetto' le misure disciplinari prese nei suoi confronti.
    E' quella resa a chi non vuole annullarti come persona o che, comunque, non se ne serve, non aproffitta dell'autorita' per questo.
    E' quella che spinse molti cattolici a contrastare Hitler, nonostante settori della Chiesa , piu' o meno rilevanti, fossero invaghiti di lui .. fosse stato per l'obbedienza a questi ultimi, aj aj aj..
    E' anche quella che animo' De asperi quando oppose rifiuto alle pressioni di oltretevere per una certa gestione di accordi politici romani..
    Vogliamo forse dire che De Gasperi disobbedi' a Gesu' Cristo?
    hai dimenticatoi poi un caso.
    L'obbedienza in piedi, se vogliamo, fu anche quella di Satana, che non volle piegarsi a Dio ed adorare l'umanità del Verbo e ciò, come noto, lo fece precipitare all'Inferno. Gesù stesso affermò di aver visto Satana cadere dal Cielo come una folgore.
    Interessante tesi quella dell'obbedienza ... in piedi che è una non obbedienza.
    La verità è che si può disobbedire solo quando ciò che viene comandato va contro la legge divina e della Chiesa. Questa è la visione dell'obbedienza nella fede cattolica.

    P.S.: La Chiesa non si è MAI invaghita di Hitler. Il Papa Pio XI condannò espressamente il nazismo nell'enciclica Mit brennender Sorge.

  5. #15
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    L'ossequio è richiesto, la comprensione è auspicata, il desiderio e l'impegno di comprendere sembrano essere conseguenza naturale dell'ossequio. L'obbedienza è dovuta, nei casi previsti, meglio quando è data nella sua forma migliore, quella della coniugazione: mi unisco liberamente al Cristo, mi faccio suo amico, lo scelgo, lo condivido, mi ha convinto; diceva Ratzinger in una sua omelia: Idem velle, idem nolle.

  6. #16
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    CAPPELLA PAPALE
    MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE
    OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER
    DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO
    Patriarcale Basilica di San Pietro
    Lunedì 18 aprile 2005


    In quest’ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo.

    La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia – un ritratto che riceve tutto il suo significato dal momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura” (Lc 4, 21). Al centro del testo profetico troviamo una parola che – almeno a prima vista – appare contraddittoria. Il Messia, parlando di sé, dice di essere mandato “a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio.” (Is 61, 2). Ascoltiamo, con gioia, l’annuncio dell’anno di misericordia: la misericordia divina pone un limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”. Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il “giorno della vendetta per il nostro Dio”? Gesù, a Nazareth, nella sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole – ha concluso annunciando l’anno della misericordia. É stato forse questo il motivo dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di croce. “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce…”, dice San Pietro (1 Pt 2, 24). E San Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal 3, 13s).

    La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).

    Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi, della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come condizione e contenuto dell’unità nel corpo di Cristo; ed, infine, della comune partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del mondo nella comunione col Signore.

    Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il cammino verso “la maturità di Cristo”; così dice, un po’ semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della “misura della pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale!

    Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

    Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).

    Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: “questo è il mio corpo...”, “io ti assolvo...”. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?

    Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l’amicizia, è la comunione delle volontà. “Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 14). L’amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia!

    L’altro elemento del Vangelo - cui volevo accennare - è il discorso di Gesù sul portare frutto: “Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dell’esistenza del cristiano, dell’apostolo: vi ho costituito perché andiate… Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono.

    L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio.

    Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera dice - con le parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    Pio Xi parlava di razzismo , non di razzismo teologico, bada bene, in relazione a documenti civili, che non parlano di razzismo teologico, criticandone gli "eccessi", insieme a quelli nazionalistici. Io ancora stento a comprendere quale potesse essere la misura giusta del razzismo.
    Forse Pio XI parlava di eccessi, dovuti porprio al razzismo ed al nazionalismo; facciamo attenzione comprendere bene il significato dei documenti, senza travisarli, senza cercare necessariamente interpretazioni negative, di comodo per sostnere le proprie posizioni.

    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    Ma una cosa e' certa, di sicuro ai DICO, come cattolico, non accederei comunque, nota o non nota, perche' credo nella natura sacramentale del matrimonio,
    Faresti bene...

    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    a differenza del CArd. Ruini, per il quale e' una convenzione sociale che svanirebbe senza "costrizione" legale.
    Ho fiducia nel matrimonio.
    Questa te la sei songata quando?

  8. #18
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    Forse quella che prevede che se un forumista è in sola lettura, allora non può scrivere... Chiediglielo in pvt, se puoi tornare a scrivere, no?

  9. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da antonio Visualizza Messaggio
    Pio Xi parlava di razzismo , non di razzismo teologico, bada bene, in relazione a documenti civili, che non parlano di razzismo teologico, criticandone gli "eccessi", insieme a quelli nazionalistici. Io ancora stento a comprendere quale potesse essere la misura giusta del razzismo.
    E non esiste un nazionalismo misurato e buono, esiste casomai un sentimento patriottico che e' legittimo in quanto non cerca conflitti con quello altrui.
    Io credo che qualsiasi Nota debba essere anzitutto meditata non da un Pastore ma dai Pastori, come reclamato da Mons. Plotti ,e proposta alle comunita' ecclesiali in quanto tali e non gia', in primis, a interlocutori politici.
    Altrimenti si corre il rischio di perderne il senso, anche perche' e' legittimo che possano esservi note vincolanti come quelle che impediscono ai divorziati di accedere al sacramento dell'Eucaristia, non sono molto convinto invece di note che tendano a stabilire, ora su questo, ora su quello come debba legiferare il Parlamento che legifera per tutti.
    Occorre vedere cioe' se con quella nota insegnano autenticamente o , piuttosto, cercano di influenzare iter legislativi, ora sulla finaziaria, ora sull'8 per mille, ora su questo , ora sull'altro.
    La qual cosa, bada bene, non sarebbe, necessariamente, di per se' negativa, poi ognuno si regolera' come meglo crede.
    Naturalmente mi aspetto anche, a questo punto, che non si giudichino come ingerenze, eventuali iniziative o giudizi attinenti la vita interna della Curia.
    Per essere ancor piu' chiari: se la Curia emettesse una nota sui DIco, io la leggerei, cercherei di comprenderne il senso, verificherei se e' razionalmente convincente e mi regolerei di conseguenza.
    Ma una cosa e' certa, di sicuro ai DICO, come cattolico, non accederei comunque, nota o non nota, perche' credo nella natura sacramentale del matrimonio, a differenza di Ruini, per il quale e' una convenzione sociale che svanirebbe senza "costrizione" legale.
    Perchè non vuoi rispondere alla domanda che ti ho fatto sopra? la domanda era chiara. E tu cerchi di evaderla.
    Ad ogni buon conto, quanto a Pio XI, sarebbe bene vedere il testo esatto. Se lo postassi ... Poi ne riparleremmo.
    Che tu ci creda o no, esiste un nazionalismo positivo, che è è un qualcosa in più rispetto al mero patriottismo. Ma non è una forma idolatrica. Diventa un male quando si avesse la pretesa di trasformare quella Patria in una sorta di divinità, con riti e cerimonie - diceva Pio XI - neopagane.
    A parte ciò, ed invitandoti ancora una volta a rispondere con un bel sì o bel no alla domanda - se vuoi, ovviamente - quanto alla nota della CEI, Mons. Plotti - "vescovo" assai singolare - ha espresso una sua opinione personale. E per tale va presa.
    Da un punto di vista metodologico e procedimentale, va precisato che non è detto, comunque, che un testo "concordato" (e per farlo, peraltro, ci vorrebbe un sacco di tempo) sarebbe buono. Di solito, i testi concordati sono annacquati. E di molto. Lasciando desiderare molto in dottrina.
    Ad ogni buon conto, per Statuto e per prassi della CEI, va detto che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI, a norma dell'art. 23, lett. b, dello Statuto, "approva dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi". Ed il caso della NOTA sui DICO sembra che rientri in questo caso.
    Comunque, proceduralmente non è detto che poi possa esservi una dichiarazione dottrinale, deliberata dall'Assemblea plenaria dei vescovi, a norma dell'art. 17 dello Statuto. Nè si può escludere un intervento persino della Santa Sede.
    Quanto a te, il problema non è ciò che faresti tu o ciò che farei io, ma ciò che farebbe la generalità dei cattolici. E la Chiesa ha il sacrosanto dovere di dire ciò che va bene e ciò che non va. Poi, ognuno si regola come crede. Se la vedrà col Padreterno.

  10. #20
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    Per essere ancor piu' chiari: se la Curia emettesse una nota sui DIco, io la leggerei, cercherei di comprenderne il senso, verificherei se e' razionalmente convincente e mi regolerei di conseguenza sul voto in parlamento
    E qui non ci siamo. Il Magistero non può essere giudicato "razionalmente", giacchè cadi nel soggettivismo e nel relativismo. Razionalmente parlando non potresti dire nulla sui dogmi. Ad es., sulla Trinità o sulla morale o su altro, perchè sono realtà che superano la ragione. A meno che non tenti di spiegarli come facesti col peccato originale .... .
    Torno nuovamente a chiederti: non credi tu che, salvo se non si esprimano opinioni personali, i membri della Chiesa gerarchica quando insegnano agiscono in persona Christi?

 

 
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