Dal Tempo
di MAURIZIO GALLO «Ma non è possibile che, ogni giorno ci sia un pezzo della maggioranza che esprime mancanza di coesione. Non so che cosa accadrà in Senato a partire da mercoledì, quando si aprirà il confronto sulla politica estera, ma di una cosa sono sicuro: un governo che non è autosufficiente sulla politica estera si deve dimettere». È duro nelle sue valutazioni, Ottaviano Del Turco. Però al presidente della Regione Abruzzo, membro dell’esecutivo dello Sdi di Enrico Boselli ed ex sindacalista che guidò per molto tempo la corrente socialista della Cgil, diventando segretario aggiunto durante la segreteria di Luciano Lama (1970-1986), non si può certo rimproverare la mancanza di chiarezza. Presidente, partiamo da Vicenza. «Mi ha colpito molto vedere una Cgil che deve discutere con i Casarini e i Caruso. Mi ricordo di un sindacato diverso. Il suo posto non era accanto a questa gente. Esiste un problema storico irrisolto del gruppo dirigente che da Lama in poi non ha più svolto il ruolo di un grande sindacato riformista». Ma sabato a Vicenza chi ha vinto? «Ha vinto Bertinotti, che aveva detto esprimete tutto il vostro radicalismo ma fatelo in modo pacifico». E ora che cosa succederà? «Il problema è come mettere insieme la dichiarazione netta e giusta di Prodi sulla posizione del governo che non cambia con quella parte dell’esecutivo, parlo di ministri e sottosegretari, che non era alla manifestazione. È un grosso pasticcio politico. C’è una dose insopportabile di politicismo ». In che senso? «Il Paese sta per uscire da una situazione economica drammatica che durava da anni e ci sono esponenti dell’esecutivo che si schierano contro il governo. E non parlo solo della sinistra radicale ma anche del segretario dell’Udeur Clemente Mastella o talvolta del leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, entrambi ministri». Perché, secondo lei? «Credo che l’interesse prevalente sia quello opportunistico di partito». Che fare, allora? «Non so quanto tempo il Paese possa andare avanti con la scoperta che ogni giorno c’è un pezzo della maggioranza che non esprime identità e coesione di governo. E non mi interessa sapere se il merito o il demerito di tutto ciò sia di Prodi o di Berlusconi. Queste equazioni per me sono inaccettabili». Torniamo a Vicenza. Il ministro Pecoraro Scanio ora parla di impatto ambientale della base Usa. È un argomento valido? «Pecoraro Scanio ha scelto una linea molto furba. Lui dice io sono un Verde e penso all’impatto ambientale. Ma mi chiedo: in quale città italiana ci sono le condizioni per un impatto ambientale che consenta senza problemi la presenza di una base militare?». C’è, poi, un problema di competenza legislativa... «Esatto. La competenza, in questo caso, è della Regione». Insomma, stiamo parlando di un problema urbanistico-ecologico, oppure squisitamente politico? «Politico, senza dubbio. Una base come quella di Vicenza fa parte dei rapporti internazionali che ha l’Italia. Non può certo essere risolto con un referendum che riguardi solo Vicenza. Dove sta scritto che una sola città può determinare la natura delle nostre alleanze militari e diplomatiche?». Da mercoledì in Senato si parlerà anche dell’Afghanistan. La sua opinione? «In quella missione ci sono tutti i timbri internazionali, dell’Onu, della Ue e della Nato. Il ritiro dall’Afganistan non era nel programma e non vedo che cosa sia cambiato per giustificarlo oggi. Anzi, al contrario, tutto fa pensare che dobbiamo intensificare gli sforzi di pace che i nostri soldati stanno portando avanti già in modo egregio». Anche se il ministro degli Esteri Massimo D’Alema lo nega, l’impressione è che il presidente Usa George Bush chieda a tutti i suoi alleati, Italia compresa, di combattere al suo fianco in Afghanistan in vista dell’offensiva Nato di primavera. Quale deve essere la risposta del nostro governo? «Bush ha difficoltà a convincere la maggior parte del congresso americano. È comprensibile che non riesca a convincere i suoi alleati stranieri». Almeno crede che passerà il «sì» al rifinanziamento della nostra missione? «Lo spero». Il suo è un comprensibile augurio. Ma pensa davvero che la maggioranza ce la farà? «Si può separare la legittima opinione pacifista di qualche senatore dalla posizione di Palazzo Chigi. Si può votare l’ordine del giorno del governo pur avendo altre idee. Blair ha fatto le sue scelte e qualche ministro si è dimesso». Sta dicendo che qualcuno si dovrebbe dimettere anche da noi? «Non cerco le dimissioni di nessuno. Ma è difficile non trovare l’unità su temi così importanti. E non si può restituire il Paese alla destra su un piatto d’argento». E se il governo andasse «sotto» al Senato? «Se viene messo in minoranza, con quale autorevolezza l’esecutivo può trattare questioni internazionali così scottanti? Un governo che non ha la maggioranza sulla politica estera deve rassegnare le dimissioni».