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  1. #51
    Rifondazione Leghista
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    Citazione Originariamente Scritto da Furlan Visualizza Messaggio
    Mah.... per come la metti giù tu Marca il federalismo è una serie di ducetti del quartierino.
    O cerchiamo di far cambiare mentalità alle nostre comunità o non andremo lontano.
    Il cittadino deve rendersi conto che è lui il legale titolare dei propri diritti. Non esiste che si mantenga l' attuale mentalità delle deleghe in bianco. Nemmeno al Sindaco!
    Ti piaccia o no, il sistema della rappresentanza funziona così. Le deleghe non sono proprio in bianco, o meglio, alla scadenza del mandato puoi decidere di cambiare il tuo rappresentante dando il voto ad un altro, ma il limite è proprio quello. Differente sarebbe un principio che superasse la rappresentanza ed utilizzasse, grazie anche alle nuove tecnologie, forme di democrazia diretta.
    Certo i cittadini dovrebbero essere messi in grado di poter seguire i processi che vengono attivati dalle loro decisioni, e ci sarebbe comunque la necessità di strumenti ed organi di gestione, solo che le loro azioni verrebbero tenute sotto controllo utilizzando sistemi di trasparenza elettronica. Ma credo che, visto lo scarso interesse dei cittadini a dedicare un po' di tempo alle questioni politiche ed amministrative, il sistema della rappresentanza avrà ancora vita lunga...

  2. #52
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    Mi sembra che Marcagioiosa commetta alcuni errori d’interpretazione.
    Provo a spiegare meglio:

    Lo scopo di quello che Semipadano ha definito ANTIpartito, non è quello di creare progetti, teorie o ideologie.
    Questo lo fanno gli attuali partiti italioti (TUTTI), e i partiti sono necessariamente depositari di “verità” (Sic!). Sempre pronti allo scontro ideologico, e sempre disponibili all’«inciucio» quando ad essi (non ai cittadini) conviene.

    Lo scopo primario (forse l’unico del suddetto ANTIpartito) deve essere quello d’individuare e rendere operativi GLI STRUMENTI (che ci sono, e non li ripeterò qui, per ovvie ragioni) attraverso i quali siano i cittadini-elettori-contribuenti a decidere.
    Ferma restando la facoltà, di detto soggetto, alla PROPOSTA. Ma proposta non va’ intesa come imposizione (vedi ciò che ho scritto in precedenza).

    Chi accetta questa “filosofia”, non si propone come classe dirigente. Al massimo accetta l’«amministrazione ordinaria», ferma restando ai cittadini-elettori-contribuenti la facoltà-possibilità dell’«amministrazione straordinaria».

    Anche per quanto riguarda il federalismo, mi sembra che da parte di Marcagioiosa ci sia un po’ di confusione. Infatti, per parlare correttamente di federalismo (si confronti «Del principio federativo» di Pierre-Joseph Proudon) sono necessarie due imprescindibili condizioni:

    1 - Mediante le elezioni, i cittadini conferiscono agli eletti un potere inferiore a quello che riservano a se stessi. Vale a dire che i “rappresentanti” non possono imporre leggi e gabelle senza che i cittadini possano contraddirli. [per constatare la malafede di certi politicanti è sufficiente verificare come il Parlamento italiano abbia disatteso o aggirato innumerevoli esiti referendari.]
    2 - L’onere che i cittadini assumono mediante il “foedus” (accordo, patto o meglio ancora: contratto) deve essere inferiore ai benefici che ne ricavano. [In altri termini: meno tasse e più servizi e/o benefici.]

    Se si vuole affrontare la discussione con onestà intellettuale, appare difficile discostarsi da questi “paletti”; se, al contrario, si vuole creare confusione per “intorbidire” il confronto… beh! Allora è un altro paio di maniche.

  3. #53
    Rifondazione Leghista
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    Citazione Originariamente Scritto da Enzo Trentin Visualizza Messaggio
    Anche per quanto riguarda il federalismo, mi sembra che da parte di Marcagioiosa ci sia un po’ di confusione. Infatti, per parlare correttamente di federalismo (si confronti «Del principio federativo» di Pierre-Joseph Proudon) sono necessarie due imprescindibili condizioni:

    1 - Mediante le elezioni, i cittadini conferiscono agli eletti un potere inferiore a quello che riservano a se stessi. Vale a dire che i “rappresentanti” non possono imporre leggi e gabelle senza che i cittadini possano contraddirli. [per constatare la malafede di certi politicanti è sufficiente verificare come il Parlamento italiano abbia disatteso o aggirato innumerevoli esiti referendari.]
    2 - L’onere che i cittadini assumono mediante il “foedus” (accordo, patto o meglio ancora: contratto) deve essere inferiore ai benefici che ne ricavano. [In altri termini: meno tasse e più servizi e/o benefici.]

    Se si vuole affrontare la discussione con onestà intellettuale, appare difficile discostarsi da questi “paletti”; se, al contrario, si vuole creare confusione per “intorbidire” il confronto… beh! Allora è un altro paio di maniche.

    Semplicemente non condivido le idee anarchico-socialiste di Proudhon (con l'acca, non Proudon) che, oltre ad essere leggermente datate, non rispecchiano la mia idea di federalismo, che si avvicina a quella più contemporanea di Miglio. Il foedus viene sottoscritto tra soggetti di livello statuale il più omogeneo possibile rispetto al livello federale. Diversamente il livello federale potrebbe sempre riappropriarsi della sovranità di cui è titolare il soggetto federato. Questo perchè il federalismo moderno non è un concetto statico, ma dinamico. Non capisco perchè i "paletti" debba metterli tu e perchè se qualcuno non la pensa come te lo accusi di intorbidire il confronto.

  4. #54
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  5. #55
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    Citazione Originariamente Scritto da marcagioiosa Visualizza Messaggio
    Semplicemente non condivido le idee anarchico-socialiste di Proudhon (con l'acca, non Proudon) che, oltre ad essere leggermente datate, non rispecchiano la mia idea di federalismo, che si avvicina a quella più contemporanea di Miglio. Il foedus viene sottoscritto tra soggetti di livello statuale il più omogeneo possibile rispetto al livello federale. Diversamente il livello federale potrebbe sempre riappropriarsi della sovranità di cui è titolare il soggetto federato. Questo perchè il federalismo moderno non è un concetto statico, ma dinamico. Non capisco perchè i "paletti" debba metterli tu e perchè se qualcuno non la pensa come te lo accusi di intorbidire il confronto.
    Non avvierò certo una disputa per un’H, che ho mancato di computare nel nome di Proudhon.
    Convenzionalmente si chiama errore di battitura.
    Né credo oggetto di disputa il fatto che il federalismo è un metodo in costante “contrattualità”.

    Rimane il fatto che io sono disposto a spendermi politicamente per alcune azioni che ho già abbondantemente esposto, e che quindi, per non tediare chi ha l’amabilità di seguirci, non ripeterò.
    Se tu hai progetti o soluzioni migliori, sarò ben felice di collaborare alla loro realizzazione. E se mi sono sfuggite, mandamele pure con un messaggio privato, così non infastidiamo nessuno con ripetizioni e/o… “baruffe chioggiote”.

  6. #56
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    Va ben butei parlemo tera tera che se capemo, quando finalmente ne tegnaremo i schai a casa nostra? il giorno del mai?

  7. #57
    l'occasione fa l'uomo italiano
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    la disputa non è solo dottrinale. L'idea è di partire dalla periferia per attirare consenso, passando da un seguito del 3% ad uno del 70%. Pensateci. Se la gente crede nei propri (umili e leali) amministratori locali, è pronta a sfilare al loro fianco. Se fondiamo un altro partito non ispireremo nessuna fiducia, troppe esperienza negative. Se invece lavoriamo per togliere il potere a "noi stessi" amministratori per rimetterlo nelle mani dei cittadini, credo che la gente marcerà al nostro fianco nella guerra contro lo stato romanoidaglione.

  8. #58
    l'occasione fa l'uomo italiano
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    esempi:
    referendum: la gente può aprire una sottoscrizione per abolire o modificare qualunque materia percepita come ingiusta, non solo le 3 o 4 su cui il potere bastardo ci permette di esprimerci, riservando a sé la facoltà di IGNORARE i nostri pronunciamenti

    difensore civico: come può il difensore civico essere nominato dai governanti e non dai cittadini. Come pensiamo che possa prendere le nostre parti di fronte agli abusi perpetrati dai governanti che lo hanno nominato e che lo tengono per i cremasteri?

    Se le amministrazioni locali si coordinano nel mettere in atto in maniera concertata una serie di riforme in favore dei cittadini, avranno il seguito di milioni di persone qui al nord. A questo punto come potrà roma opporsi a iniziative istituzionali sostenute da un grande seguito popolare? Si dovrà sputtanare di fronte all'Europa intera.

    Smascheriamo la dittatura idagliona.

  9. #59
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    Citazione Originariamente Scritto da Enzo Trentin Visualizza Messaggio
    ...................
    Questo tipo di civiltà è talmente radicato nel nostro territorio che già all’incirca mille anni orsono in epoca comunale – Tra il 1000 e il 1200 gli imperatori stranieri erano occupati in guerre civili all'interno della Germania, sicché i comuni italiani, si organizzarono e consolidarono. - Vicenza (e molte altre città del nord) era una città-stato che si reggeva sulla volontà che sale dal basso, i governanti controllati dai governati. La città dei Berici aveva un governo dei molti, o di tutti: quod omnes tangit ab omnibus adprobari debet, (ossia ciò che riguarda tutti da tutti deve essere approvato) il che consentiva al suo popolo d’esercitare l’autogoverno.
    ..................................
    Caro Enzo
    scusami ma debbo chiederti di chiarire alcune categorie del tuo argomentare che non capisco bene e che a mio parere non sono del tutto corrispondenti alla realtà delle cose:
    a quel tempo (mille anni fa) non esistevano gli imperatori stranieri né mi pare i comuni italiani; esistevano degli imperatori eredi del sacro romano impero e dei comuni nel nord (oggi chiamato anche Padania) della penisola italica (oggi chiamata anche Italia), comuni che esistevano anche in altre regioni d'Europa.
    A quel tempo ai vicentini forse era più straniero un piemontese (di allora) o un milanese che un tedesco (di allora) e forse anche di oggi.

    Poi alcuni di questi comuni divennero signorie monarchiche, altri repubbliche e talaltri entrarono a far parte delle une o delle altre o vennero assorbiti dagli imperi o dai regni e tali si mantennero per secoli.
    Nell'area storica della Venetia molti comuni si diedero con un atto di dedizione a Venezia e andarono a costituire per secoli lo Stato Veneto, la gloriosa Repubblica Serenissima con cui avevano stipulato un patto federale nel quale riconoscevano Venezia come dominante e questa riconosceva loro talune (molte) libertà comunali.
    Certo la cosa avrebbe potuto migliorare se non fosse giunto l'Attila Corso a poi il Regno d'Italia, gli stati nazione e i bagni di sangue, a farci involvere tutti.

    Dobbiamo disintossicarci dal veleno unitario (italiano) che ci confonde e distorce la visione della storia e delle cose; per cui attribuiamo al passato significati che allora non esistevano.
    Per esempio lo Stato Veneto non era uno degli staterelli in cui era frammentata (sic!) la penisola italica ma era uno stato europeo, continentale e mediterraneo, a cavallo tra le penisole balcanica ed italica. Il più fulgido e liberale stato d'Europa dove gli uomini stavano forse meglio che nella Svizzera d'allora. Oggi purtroppo è diverso.

    Da ricordare : le libere comunità celtiche e venetiche delle teute, degli oppida, dei vici, dei vil o pil che si riunivano anche attorno al tiglio...come poi nell'arengo o rengo (in veneto) come nelle comunità paleovenete della Venetia preromana e nei municipi in epoca romana e poi nella laguna veneta dove nacque Venetia, secondo la tradizione comunale/comunitaria millenaria delle nostre genti.

  10. #60
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    Citazione Originariamente Scritto da Paolo Sarpi II Visualizza Messaggio
    Caro Enzo
    scusami ma debbo chiederti di chiarire alcune categorie del tuo argomentare che non capisco bene e che a mio parere non sono del tutto corrispondenti alla realtà delle cose:
    a quel tempo (mille anni fa) non esistevano gli imperatori stranieri né mi pare i comuni italiani; esistevano degli imperatori eredi del sacro romano impero e dei comuni nel nord (oggi chiamato anche Padania) della penisola italica (oggi chiamata anche Italia), comuni che esistevano anche in altre regioni d'Europa.
    A quel tempo ai vicentini forse era più straniero un piemontese (di allora) o un milanese che un tedesco (di allora) e forse anche di oggi.
    (omissis)
    Caspita! Mi chiedi di sintetizzare un arco di tempo di circa 500 anni, è poi qualche altro mi rimprovera perché scrivo troppo.

    La fioritura della città-Stato: il Comune e il suo diritto


    L'identità delle nuove istituzioni cittadine divenne nei fatti sempre più netta, e perciò si parlò sempre più spesso di Comune per indicare la «cosa» nuova che aveva preso corpo con il governo dei consoli. Identità più forte ora, a XII secolo inoltrato, un po' perché i vescovi, per effetto del concordato tra papato e impero (Worms 1122), dovettero assumere una posizione più defilata in città rispetto a quella precedente, tutta politica, di signoria urbana, e un po' perché gli imperatori comparvero in Italia con la volontà di legiferare in modo innovativo: di essere presenti come mai prima. La renovatio culturale, oltreché economica, del tempo insegnava loro che dovevano assumere un ruolo nuovo e preciso, di ordine e di giustizia, nell'imitazione dei loro grandi predecessori romani, anche per rispondere alle responsabilità che derivavano loro dall'essere principi cristiani, «unti del Signore». Perciò già un Ottone I, ad esempio, aveva disposto, accogliendo le preoccupazioni ecclesiastiche contro gli spergiuri, a favore dell'uso del duello giudiziario; bisognava evitare per quanto possibile le occasioni di peccato anche mediante la normativa dei laici.
    Intanto, anche la città in forte sviluppo aveva attratto e fatto convivere come mai prima popolazioni di diversa tradizione giuridica (romana e longobarda in particolare, con diversi usi nuziali e rapporti tra coniugi, ma anche con diverse normative penali e processuali); il diritto doveva prendere posizione di fronte a queste diverse normative tramandate e decidere quale fare prevalere. Non a caso nel corso del XII secolo sempre più spesso alcune città si proclamarono viventi a diritto romano, quello che intanto si era ripreso a studiare nelle università, fiorite in molte città comunali a imitazione di quella di Bologna, il diritto più sofisticato e adatto ai dibattiti istituzionali in corso.
    Ma quel diritto antico non bastava. C'erano problemi da risolvere quotidianamente, ed eventualmente anche da sciogliere dubbi provenienti dalla concorrenza di diritto romano e longobardo con usi spontanei consolidatisi localmente, quali la situazione patrimoniale dei coniugi, il regime della dote, la capacità d'agire dei giovani, la validità di contratti stipulati fuori città ecc. Ma anche: quali tributi si potevano imporre per le spese pubbliche, e a chi? Chi poteva liberamente immigrare in città, e quando diveniva cittadino e a quali effetti? Quale il trattamento da riservare viceversa ai forestieri? E quanto ai privilegi (libertates) rivendicati dagli ecclesiastici nel campo fiscale ma anche in campo giurisdizionale? E che spazio riservare alle associazioni di mercanti e artigiani? E a quei notai ormai indispensabili per assicurare la fides degli atti, quelli dei privati come quelli del Comune?
    Una selva di problemi accanto a quelli sempre presenti e più pressanti di politica interna ed estera. Che fare con l'impero, con il rappresentante del papa, con la città vicina che ostacolava la circolazione delle merci o pretendeva dei dazi sui transiti o con quella anche lontana che non aveva dato giustizia a uno dei nostri mercanti imbrogliato o che invano richiedeva l'adempimento di un credito?
    La città aveva bisogno di esercitare pieni poteri, politici, legislativi e giudiziari, perché era stata lasciata sola (o tale aveva preferito essere) a fronteggiare tutti i problemi della convivenza, in città e fuori. E la città nel provvedere a tutto aveva assaporato l'ebbrezza della libertà e della sovranità. Ebbrezza dura, pesante, che comportava sacrifici, anche quello supremo della vita. Un esempio? Nel 1176, all'apice dello scontro con il Barbarossa, a Milano giurarono di combattere fino alla morte 900 cavalieri (milites) della societas de la morte pagati dal Comune e gratificati di un anello d'oro, guidati da un capitano (da loro eletto) portabandiera del Comune (vexillum communitatis), 300 electi de populo col compito di attorniare e difendere il Carroccio e un numero indeterminato di giovani (iuvenes electi), divisi in gruppi di dieci e destinati a combattere su appositi carri guerreschi.
    Non c'è dubbio: finalmente la città e la sua libertà erano nelle mani dei suoi cittadini. Ideali ormai radicati e interessi materiali forti, con ogni evidenza largamente condivisi entrambi, avevano cementato quella società cittadina dandole un ardore e un'unità straordinaria. L'idea di cittadino (civis) tornava a essere centrale. Chi è corresponsabile lei destini della città? Chi ne sopporta gli oneri e ne lucra vantaggi? Chi bisogna difendere all'estero, cioè una volta fuori del dominio cittadino, come un proprio fratello?
    Civis nei primi tempi di esperienze comunali complesse, come quella milanese, poteva indicare uno strato sociale, contrapposto per un po' di tempo e in quel caso ai milites e agli ecclesiastici. Ora, nel corso del XII secolo, con il pieno diffondersi del diritto romano «riscoperto», non c'è più dubbio. Tutti i residenti abituali, al di là delle loro mansioni e funzioni sociali, divengono ora cittadini della città x o y, perché identificati e identificabili con una sola e ben determinata città, indipendentemente dal loro status sociale; non sono più sudditi di un Regno d'Italia sempre più evanescente, quando non nemico. Sono cittadini della civitas che già nel linguaggio romanistico indicava anche ogni ordinamento, al di là della città materiale; sono partecipi (anche fiscalmente, beninteso) di un soggetto politico nuovo. E ne sono consapevoli pienamente.

    E’ del 1.200, circa, la costituzione della prima università a Vicenza. Esperimento che durerà pochi anni.
    Dello stesso periodo è la costruzione a Padova del Palazzo della Ragione, a spese delle fraglie degli artisti, artigiani e commercianti o mercanti.
    Il quel periodo sono istituiti i Podestà. Amministratori che vengono da fuori, ed a cui viene dato l’incarico super partes di amministrare il rispetto degli Statuti che i cittadini si sono liberamente dati, l’ordine e la giustizia.
    Nicolò dei Bazaleri è il peggiore per Vicenza. Questo Podestà bolognese che, insediatosi nel settembre del 1.262, stravolse gli Statuti comunali della “Città Stato”, determinando il declino delle sue “Lbertas” civiche.
    Esattamente quanto fanno oggi i partiti politici italioti, che chiamati dal popolo ad esercitare la democrazia, ne stravolgono (con la legalità, ma senza la legittimità) i principi e la sostanza.

    Come vedi mi sono dilungato, ma non sono stato esaustivo. Né mi pare il caso, qui, di citare fonti enciclopediche.
    Se vuoi (anzi chi vuole), attraverso un messaggio privato, posso fornire qualche indicazione.

 

 
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