Crisi di Governo
Dalla confusione dei Poteri l'inutilità del Corpo elettorale e del Parlamento

Di fronte alle dimissioni di Prodi a seguito del voto negativo al Senato sulle linee di politica estera del Governo, da comune spettatore, per lo più ignaro delle questioni politiche che albergano nei corridoi dei Palazzi, il primo istinto è stato quello di rileggere la Costituzione.
Ho chiaramente ri-scoperto quello che tutti sanno: vi è obbligo di dimissioni soltanto in occasione di un voto di sfiducia.
Certo, se il potere Esecutivo si vede bocciare dalle Camere non una ma buona parte delle sue proposte, l'obbligo delle dimissione è nei fatti vista l'impossibilità di proseguire l'azione di Governo. Ma non è appunto questo il caso.
Tranne pochi aspetti di politica estera (sostanzialmente due: la missione in Afghanistan e la nuova base americana a Vicenza) il Governo Prodi ha portato avanti un'azione di Governo senza precedenti. Una macchina da guerra che senza problemi è riuscita a varare una pesantissima manovra finanziaria che, per onestà intellettuale va riconosciuto, l'avesse proposta Berlusconi avremmo assistito alla mobilitazione dell'intero popolo del centrosinistra, parlamentari, presidenti di regione e sindaci in testa.

Tornando, quindi, alle conseguenze del voto negativo espresso dal Senato in occasione del dibattito sulla politica estera del Governo, siamo di fronte ad una crisi di Governo non dovuta ad obblighi costituzionali da rispettare, bensì dettata da ragioni di opportunità politica.
Per essere chiari: nessuno, da Prodi, passando per D'Alema e finendo con Rutelli, si è sognato e si sognerebbe di sollecitare le dimissioni del Governo Prodi nel caso di mancata approvazione del DDL sui DICO; diversamente, sul rifinanziamento della missione in Afghanistan è dall'inizio della legislatura, nove mesi, che si minaccia il tutti a casa.
Questa la breve premessa per chiarire il quadro di tutte le responsabilità in campo per tutto ciò che potrebbe accadere da qui a pochi giorni, sia che si arrivi alla formazione di un nuovo Governo; sia che si arrivi allo scioglimento anticipato delle Camere (visti i pochi voti di differenza grazie ai quali il centrosinistra ha potuto beneficiare del premio di maggioranza alla Camera dei Deputati, non è ovviamente il caso di prendere in considerazione il solo scioglimento del Senato).

Altro aspetto emerso dalle ultime vicende legate alla politica estera del Governo, l'attivismo del Presidente della Repubblica Napolitano che sin dallo scorso luglio si è prodigato in un'incessante azione di pressione sul Governo con continui richiami circa la necessità dell'autosufficienza della maggioranza di Governo su questioni come il rifinanziamento delle missioni militari all'estero.
Un'azione di pressione che ha avuto il suo apice con la richiesta, alla quale il Governo Prodi si è piegato vista l'assenza di obblighi istituzionali in tal senso, del passaggio parlamentare che si è appunto concluso con il voto negativo del Senato.
Va certamente detto che, al di là della pressione esercitata dal Presidente Napolitano, a breve la questione si sarebbe in ogni caso ripresentata al momento di rinnovare l'impegno per le missioni militari.
Ciò che però nel caso specifico ha fatto la differenza, o che l'avrebbe fatta in futuro secondo un certo modo d'interpretare gli obblighi dell'azione di Governo, è stato il voler ribadire la necessità di un passaggio parlamentare che certificasse l'adesione incondizionata o la disponibilità incondizionata della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo a determinate scelte di politica estera, il tutto all'insegna della continuità dell'azione e degli accordi stipulati dal precedente governo.
Per quanto il Ministro D'Alema abbia cercato d'indorare la pillola, la realtà di una situazione di fatto immutata è sotto gli occhi di tutti: dall'andata via dall'Iraq secondo tempi e modi già decisi dal precedente Governo; al mantenimento, dall'Afghanistan alla base di Vicenza, di tutti gli altri impegni.
In altre parole, per quanto riguarda la politica estera, abbiamo scoperto che votare ogni cinque anni non serve a nulla. Se il Governo Berlusconi ha preso degli impegni, come la costruzione di una nuova base militare americana a Vicenza, questi impegni vanno onorati e la discussione è chiusa.
Questa semplice constatazione impone, purtroppo, altre riflessioni.
Provocatoriamente, viene da chiedersi cosa potrebbe succedere nell'ipotesi di un “Parlamento allargato”.
Come elettori, infatti, in possesso di una piccolissima quota di sovranità, per altro esercitata con i condizionamenti legati ai meccanismi di conta delle leggi elettorali, siamo soggetti pure noi agli imperativi del Presidente Napolitano?
Prima o poi arriverà qualcuno che sancirà come gli elettori debbono votare, pena lo scioglimento del corpo elettorale? Tentativo per altro già in parte attuato con i meccanismi elettorali di tipo maggioritario.
Che piaccia o no ai cultori della bipolarizzazione forzata secondo meccanismi che presentano agli elettori un programma di Governo “prendere o lasciare”, di dieci o mille pagine non fa differenza, se alla maggioranza parlamentare viene imposto di “concordare” su alcune materie, pena il suo scioglimento, di riflesso tale imposizione è rivolta anche agli elettori che quella maggioranza hanno votato.
Che gli elettori abbiano scelto una determinata maggioranza sulla base di chissà quali convenienze, per i fondamentalisti dell'efficienza dell'azione di Governo poco importa, anche quando, come è nel caso specifico, nelle oltre 200 pagine di programma nulla si dice.
A quegli elettori va evidentemente spiegato che così non si fa, perché un Paese autorevole su una questione come la politica estera deve concordare al 100%, e questo a prescindere dai dieci, cento o mille motivi per cui diverse realtà hanno deciso di unire le forze.
Da elettore, però, questa imposizione non può essere tollerata.
Chi ha deciso di votare, per il centrosinistra o per il centrodestra, sapeva benissimo di dover fare i conti con realtà complesse, fatte di interessi anche inconciliabili.
Tuttavia, questo è stato un prezzo che gli elettori hanno deciso di pagare e rispetto a questa scelta non possono essere consentite pretestuose speculazioni politiche o di correttezza istituzionale circa la necessità di garantire sempre e comunque l'unanimità.
Chi ha votato il centrosinistra sapeva benissimo che c'era un movimento contro la guerra (largamente maggioritario nel Paese) che non concepisce compromessi; come anche non sapeva, per altro, che aveva l'obbligo di dover rispettare gl'impegni del Governo Berlusconi, dalla base di Vicenza all'Afghanistan.
Prima che al Presidente Napolitano, quindi, il Presidente del Consiglio Prodi dovrebbe rispondere a quegli elettori che hanno consentito alla sua maggioranza di governare.
E' a loro, infatti, che Prodi dovrebbe spiegare come e perché i dieci, cento o mille motivi per cui si è deciso di mandare a casa Berlusconi oggi non contano più nulla di fronte alle sole due questioni riguardanti la partecipazione militare italiana in Afghanistan e la base americana a Vicenza.
Ed è a quegli elettori che hanno modellato la composizione della sua maggioranza parlamentare (al di là dei numeri finali, vi sono circa 50 senatori, il 30% del corpo elettore di centrosinistra, che voterebbero volentieri per la fine della missione militare in Afghanistan e il blocco della base di Vicenza) che Prodi dovrebbe spiegare come e perché alle loro istanze ha preferito delle dimissioni dalle incerte conseguenze.
Infine, qualcuno provi pure a spiegare agli elettori il motivo di tanto spreco.
A che serve eleggere due Camere dei rappresentanti se di fatto l'attività parlamentare è preclusa all'origine dalla superiore esigenza di garantire, sempre e comunque, il massimo di adesione all'azione di Governo?

Franco Ragusa