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    Predefinito Referendum: Sparigliare le carte

    Da rilevare che 2 giorni prima della crisi Vannino Chiti aveva chiesto a Guzzetta di posticipare la presentazione delle firme in Cassazione di due anni avendone risposta negativa.

    SECOLO D’ITALIA – 20 GENNAIO 2007

    «Il referendum è una scelta costituente»
    intervista a Giovanni Guzzetta di Aldo Di Lello
    Un grande settimanale, L'Espresso, ha definito la sua iniziativa uno «spauracchio» . E il motivo è semplice. Se il referendum promosso dal costituzionalista Giovanni Guzzetta andrà in porto (il sito del comitato referendario è www. referendumelettorale.org), i partiti italiani non saranno più gli stessi. I referendari vogliono cambiare la legge elettorale: il premio di maggioranza non andrebbe attribuito alla coalizione, ma al partito più forte. Il processo di formazione dei grandi soggetti unitari, sia sul centrodestra sia sul centrosinistra, risulterebbe accelerato. Le formazioni minori non potrebbero far più valere la loro golden share sui governi.
    Non è facile trovare Guzzetta. In questi giorni è in giro per l'Italia. Parliamo al telefono mentre è a Venezia. Il giorno dopo sarà a Cava dei Tirreni. E poi a Bologna e a Firenze. «Le associazioni di cittadini mi invitano ovunque. C'è un interesse enorme. Gli italiani cercano una scossa».
    Professor Guzzetta, lei si sente uno "spauracchio"?
    Ma no, semmai uno sparigliatore.
    In che senso?
    Nel senso che l'iniziativa del referendum spariglia i giochi di un’Italia che trasforma le questioni istituzionali in oggetto di lotta politica. Ci si continua a schierare, nelle discussioni sulle regole, seguendo le bandiere di appartenenza. Il clima è conflittuale. E la cosa ha desertificato il contesto del dibattito istituzionale. Nei Paesi normali, su certi temi, ci si confronta serenamente, al di fuori delle polemiche ordinarie tra partiti. E si registrano convergenze tra innovatori di diversi schieramenti. Ebbene, visto che il referendum da noi proposto è convintamente trasversale, capisce bene perchè si scombinino le carte.
    Le carte di chi?
    Di chi fa un gioco delle parti prevedibile. Sparigliare, in un tale contesto, equivale a diventare soggetti scomodi.
    II professor Sartori, anch'egli un personaggio piuttosto scomodo, sostiene che il referendum è un «pungolo».
    Infatti è uno dei più convinti sostenitori dell'iniziativa.
    Infatti. Però paventa anche il rischio che il referendum stesso possa essere aggirato attraverso la formazione di «listoni» di «partiti appiccicati». Proprio così ha detto...«partiti appiccicati». Che mi dice?
    Sulla carta l'obiezione di Sartori è fondata perchè i partiti si sono dimostrati capaci di salti mortali per disattivare le iniziative più scomode. In pratica però non credo che l'aggiramento di un risultato referendario favorevole al cambiamento della legge elettorale sarebbe poi così semplice.
    Perchè?
    Innanzi tutto perchè ritengo che i costi politici di un aggiramento del risultato referendario sarebbero altissimi. Gli elettori si sentirebbero truffati. Penso quindi che i partiti sarebbero costretti a unirsi e che la competizione tra i poli si svolgerebbe sul piano dell’unità interna di entrambi. Ci sarebbe cioè la gara tra chi riuscirà a esaltare meglio la propria
    compattezza.
    E poi?
    E poi perchè credo che, in Italia, la domanda di unità presso i rispettivi "popoli" delle due coalizioni sia fortissima. Penso, ad esempio, alla massiccia partecipazione popolare alle primarie del centrosinistra alla fine del 2005 e, sul fronte del centrodestra, alla grande manifestazione del 2 dicembre scorso a Roma.
    Non la inquietano un po' i precedenti degli ultimi anni? E’ sicuro che il referendum non sia diventato un'arma spuntata, soprattutto quando si affrontano argomenti strettamente politici, come la legge elettorale o istituzionali come la riforma dello Stato? Le ricordo che, nel 1999, il referendum, anch'esso su materia politico-elettorale, non raggiunse il quorum.
    Su quel referendum è bene innanzi tutto precisare una cosa.
    Che cosa?
    Che il quorum non fu raggiunto per un soffio e che il fattore decisivo fu costituito dalle liste anagrafiche degli italiani residenti all'estero.
    Nel senso?
    Nel senso che non furono "ripulite", vale a dire che non vennero aggiornate e la cosa, visto che comparivano come elettori persone decedute, fece alzare il quorum. Ma, se quella operazione amministrativa fosse stata compiuta, i referendari avrebbero vinto. E poi non è vero che il referendum sia un'arma spuntata. C'è molta disinformazione al riguardo. Sbagliano anche quelli che se la prendono con il referendum del '93 affermando che avrebbe tradito le attese. La verità, incontestabile, e che da allora è nata la democrazia dell'alternanza nel nostro Paese. Il problema è che quel referendum non poteva risolvere la frammentazione del sistema politico. E’ necessario fare un passo ulteriore.
    L'iniziativa da lei proposta completa quindi quella di quattordici anni fa?
    Certamente. E sulla stessa linea. Certo, l'elettorato odierno ha tutto il diritto di sentirsi amareggiato e deluso. Però la domanda di cambiamento rimane forte. L'unica alternativa è il declino.
    C'è chi pensa che, alla fine, non si arriverà al referendum.
    L'unico modo per non arrivare al referendum è fare una buona legge elettorale. La forza del nostro movimento sta nel suo porre al Parlamento questioni serie e responsabili. Ed è lecito attendersi risposte altrettanto serie e responsabili.
    Non pensa che il cambiamento della legge elettorale non sia sufficiente? Non si dovrebbe anche riaprire il discorso delle riforme istituzionali?
    Guardi che una vittoria del referendum comporterebbe proprio il rilancio del tema delle riforme.
    Per quale motivo?
    Perchè condurrebbe al superamento della cultura del frontismo istituzionale. Rilancerebbe la cultura bipolare sul piano istituzionale. Se invece il bipolarismo viene soffocato, non vedo prospettive di riforma.
    Professor Guzzetta, qual è la posta in gioco di questo referendum?
    Si tratta di una scelta quasi costituente.
    Vale a dire?
    L'alternativa è tra una democrazia ottocentesca, con cittadini ai margini, e una democrazia moderna, nella quale i cittadini stessi sono in grado di scegliere i governi.

    Pero'......

  2. #2
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    Il problema è che la legge che uscirebbe dai referendum sarebbe una porcata ben peggiore della legge attuale, con il rischio che un partito al 29% prenda il 55% dei seggi.

    Senza contare che al Senato la situazione non migliorerebbe, anzi, forse il fatto che un singolo partito vince in ogni regione creerebbe ancora più instabilità alla camera alta.

  3. #3
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    IL SOLE 24 ORE – 19 GENNAIO 2007

    «Intesa entro febbraio o salta tutto»

    intervista a Vannino Chiti di Barbara Fiammeri
    La riforma elettorale si farà. E non sarà solo un «aggiustamento» della legge attuale. Vannino Chiti ne è convinto. Il ministro per le Riforme ha appena terminato il suo incontro con il capogruppo della Lega Roberto Maroni. Entro febbraio conta di presentare al Parlamento un documento bipartisan: «Ci sono le condizioni per un intervento profondamente innovativo che renderebbe non più percorribile la strada referendaria».
    Ministro ma lei ci crede davvero che tutti i partiti siano sinceramente disponibili ad affondare il referendum?
    Chi ritiene che il referendum non possa scrivere la legge elettorale deve assumersene la responsabilità alla luce del sole sia in sede politica che istituzionale. E deve farlo nelle prossime settimane. Nessuno può seriamente pensare di tenersi le mani libere fino alle amministrative per decidere il da farsi. Se non si raggiunge un accordo in tempi rapidi poi sarà troppo tardi.
    Qualcuno però, sotto sotto, ci conta...
    Questi incontri hanno anzitutto il merito di aver dissipato i dubbi di quanti ritenevano che dietro la modifica della legge elettorale si celasse un cavallo di Troia. La posta in gioco è troppo alta. Quel che ci si richiede è un atto di generositi verso l'Italia. Dobbiamo riuscire a darci regole condivise e stabili, consapevoli che non devono essere i sistemi di voto a determinare la vittoria di uno schieramento bensì le proposte politiche che si presentano agli elettori. I calcoli di parte non portano lontano. E la prova più evidente è che oggi tutti, e sottolineo tutti, manifestino la necessità di rivedere una legge approvata a maggioranza poco più di un anno fa.
    Lei ha detto che la maggioranza dei partiti è orientata per un sistema di tipo regionale. Il comitato referendario però ha definito «ambigua» la sua proposta: cosa risponde?
    L'adozione del sistema regionale costituirebbe una modifica sostanziale. A questa scelta, che raccoglie finora i maggiori consensi, si potrebbero accompagnare anche singole innovazioni costituzionali. Perchè non mettere sul tappeto la riduzione del numero dei parlamentari? Il centro-destra l'aveva inserita nella sua riforma costituzionale e il centro-sinistra condivideva questa scelta.
    Ma si dovrebbe intervenire con legge costituzionale e l’iter è più complesso, per non dire rischioso.
    Il problema non è la complessità dell'iter ma la volontà di realizzare l'obiettivo. La necessità di giungere in tempi rapidi a un accordo nasce anche da questa consapevolezza. Entro la fine di febbraio dovremo consegnare alle Camere un documento politico condiviso, che si traduca in una risoluzione parlamentare sottoscritta dai gruppi di maggioranza e opposizione. Dopodiché toccherà alle commissioni Affari costituzionali redigere il testo dell'articolato. Questa è la tabella di marcia.
    E in questo documento politico potrebbero anche essere inserite innovazioni costituzionali come il Senato federale riproposto dalla Lega?
    Dipende quali e quanti saranno i punti su cui si realizzerà la convergenza. Se si vorrà accompagnare la riforma elettorale con interventi costituzionali più estesi come la riforma del bicameralismo — su cui peraltro non c'è solo la disponibilità della Lega – il voto ai diciottenni ai
    Senato e il rafforzamento della figura premier, il Governo non si tirerà indietro. La base di partenza è rendere più forte il rapporto tra cittadini e candidati aumentando il numero delle circoscrizioni elettorali, permettendo all'elettore di decidere con il suo voto sia il candidato che la coalizione, garantire la stabilità del governo. Credo però che sia opportuno procedere per pacchetti separati, perciò parlo di singole innovazioni…
    Che vuol dire?
    Dobbiamo evitare che il confronto su un aspetto che necessita di maggiori approfondimenti paralizzi le parti della proposta che invece possono procedere rapidamente.
    La Lega insiste anche sul federalismo fiscale: rientra tra i «pacchetti»?
    L'attuazione dell'articolo 119 non può essere rinviata. E non perchè lo dice questo o quel partito ma perchè è un dato di fatto. Il Governo sta redigendo una proposta aperta che tiene conto di quanto è emerso negli scorsi anni: le sentenze della Consulta, il lavoro della commissione Vialetti istituita dal precedente esecutivo, alle proposte di legge presentate dall'Ulivo nella scorsa legislatura. Anche qui non si può pensare di procedere a maggioranza. I cittadini si aspettano regole capaci di sopravvivere nel tempo. E le regole non appartengono a questo o quello schieramento ma all'intera comunità.

 

 

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