Il blocco sociale dei taglieggiatori
Maurizio Blondet
20/02/2007
Il momento del giuramento del governo Prodi in Quirinale: la stretta di mano tra il nuovo presidente del consiglio e il ministro dell'economia Padoa Schioppa

In Italia, le banche sono il nuovo superpotere.
Occulto.
D'accordo, nove grandi banche sono quotate in Borsa (sulle 40 prime imprese del MIB S&Poor); ma restano fuori dalla quotazione praticamente tutte le Casse di Risparmio, quelle di Credito Cooperativo, la Popolare di Vicenza, la Veneto Banca.
E nel conto non si fanno entrare banche quotate che dicono di non essere banche, Mediolanum e Unipol Banca.
E nemmeno le Generali, il colosso assicurativo che è di fatto una banca, in quanto gestita da Mediobanca.
Il potere «quotato» è solo la punta di un iceberg sottomarino colossale.
Le banche hanno le mani in pasta in tutto e su tutto: industrie, finanza, giornali.
Fuori dalla vista del pubblico.
Sono ricchissime.
Secondo l'ABI, la loro raccolta in depositi e obbligazioni è di 1.193,5 miliardi di lire: poco meno del prodotto interno lordo italiano.
Di questi, i depositi sono 716 miliardi, quasi la metà del PIL.
Soldi nostri.
Ed è qui il punto.
Come rileva Il Foglio (1), a noi risparmiatori le banche pagano come interessi circa lo 0,25 %. «Un'inezia, se si pensa che il tasso di riferimento della Banca Centrale Europea è al 3,5 %».
In altri Paesi, ciò significa che la banche devono pagare ai depositanti privati qualcosa in più di quel 3,5, il tasso primario; e farsi concorrenza offrendo interessi di qualche frazione più alti.
In Italia, no.
Com'è il trucco lo sappiamo.

In teoria ci accordano il 3,5 %, ma poi ci sono «le spese» - le infinite, enormi odiose «spese bancarie» - che ci vengono addebitate.
Risultato: 0,25 %.
La Banchintesa, anche lo 0, 00 %.
In altri sistemi giudiziari, questo sarebbe identificato come un furto colossale, o una enorme truffa.
Oppure, un forma di usura: perché se è usura applicare ai debitori tassi altissimi, è usura anche applicare ai creditori il tasso zero.
Per di più, le banche italiane fanno cartello, ossia non competono sugli interessi e su null'altro: e lo fanno apertamente, arrogantemente.
Sarebbe un argomento di indagine per l'Antitrust.
Soprattutto, dovrebbe interessare il «riformatore» Bersani.
Visto che ha disciplinato i tassisti, stangato i benzinai ed esposto alla concorrenza i parrucchieri - questi affamatori che notoriamente gravano sulle tasche degli italiani - perché non impone alle banche di pagare ai risparmiatori almeno il tasso di riferimento BCE?
Qui c'è molta più materia del costo di una corsa in taxi.
Qui, c'è da riscuotere la gratitudine delle grandi masse.
Dopotutto, le banche ci stanno derubando di 3 punti sui depositi, pensate: su 100 mila euro, 3 mila euro l'anno.
Ci potremmo fare una vacanza a Sharm el-Sheik con moglie e due figli.
O comprare due divani nuovi.
O un bel corso d'inglese per il figlio maggiore.
Come mai Bersani non è interessato?
Se ve lo chiedete, siete ingenui.
Se non siete ingenui, sapete già la risposta: perché quei soldi servono al blocco di potere di cui Bersani è parte, e che è al governo.
A cosa gli servono, è ovvio: ad acquistare ancora più potere.
Infatti Intesa-San Paolo (il blocco bancario di Prodi, sostanzialmente) sta per comprare il 20 % di Olimpia, ossia della holding che controlla Telecom.
Insomma è il «piano Rovati» che continua.

Non so se ricordate: il consigliere intimo di Prodi, Rovati, stilò un piano (con la Goldman Sachs) per far ritornare Telecom, cosiddetta privatizzata, nello Stato e a carico dello Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti.
Scoperto, Rovati disse che il piano era suo, privatissimo, e Prodi non c'entrava nulla.
Gli abbiamo creduto.
O almeno gli hanno creduto i giornali e i media in generale, tutti controllati in qualche modo dalle banche.
Dalle ladre-usuraie che ci rubano tre punti l'anno sui depositi, e forse anche più: secondo l'Adusbef, un conto corrente costa all'italiano 500 euro l'anno (l'ABI dice 65 euro).
Ora, è troppo benevolo dire che Prodi sta ricostruendo la benemerita IRI, necessaria dato che il capitalismo privato italiano è rimasto quello che è sempre stato: capitalisti senza capitali, incapaci come imprenditori e rovinosi anche quando sono monopolisti come Telecom, e pieni di debiti (con le banche).
Prodi non sta ricostruendo l'IRI: sta ricostruendo una sua IRI personale, semi-privata, che risponde solo a lui e ai suoi complici.
Un grosso blocco di potere occulto.
E che non paga: la paghiamo noi, costretti a rinunciare ai due divani nuovi e alla settimana a Sharm el-Sheik, grazie ai tassi di Intesa e di tutte le altre banche.
Noi ci impoveriamo per ingrassare loro.
Perché?
Perché noi siamo tanti e divisi, loro un gruppo ben coeso e uniti dal comune interesse.
Il governo di Padoa Schioppa in combutta coi Comuni.
Ha fatto qualche scalpore il fatto che le addizionali IRPEF dei Comuni hanno questo strano effetto: che chi ha tre figli paga più tasse di chi ne ha uno solo.
Caso limite: a Ragusa (Ragusa!) chi ha un reddito di 20 mila euro l'anno (lordi: ossia meno di 800 euro mensili netti) già paga le tasse, cosa inaudita in qualunque altro Paese europeo.
E quante?
Se ha tre figli, gli aumenti per lui giungono a 300 euro l'anno.
Se ne ha uno solo, «soltanto» 215: su un salario netto di 800 mensili, se siete colpevoli di famiglia numerosa, vi riescono a sottrarre 25 euro al mese più di prima.

Ma perché lo scalpore?
La penalizzazione delle famiglie è in perfetta coerenza ideologica con il governo che si gioca tutto sulle coppie di fatto: i finocchi non fanno figli.
Chi è fedele ai doveri deve essere tartassato; chi vuole riconosciuti legalmente, e assistiti previdenzialmente, i suoi piaceri, va privilegiato.
Il che ha un vantaggio: parlate dei PACS, dei DICO, dell'eutanasia; spaccatevi, litigate fra voi su questo, contribuenti, così non vi accorgete che nel frattempo i Comuni hanno aumentato le multe alle auto del 52 %, tanto per taglieggiarvi ancora un po'.
Dev'essere aumentato tremendamente il gravissimo reato di sosta vietata notturna, un'emergenza-criminalità che fa impallidire l'emergenza-camorra.
Le banche sono parte di quel sistema, il blocco di potere che ci taglieggia, anzi ne sono i promotori.
Avete notato che non v'invitano più, come facevano prima, a mettere i vostri soldini in Borsa?
Ci dicevano: buttate lì i denari, è il «mercato», lo fanno anche gli americani, è la trasparenza, l'efficiente allocazione dei capitali.
Beh, la moda è passata.
Non hanno più bisogno di derubarvi in questo modo, si vede troppo, ci sono le comunicazioni obbligatorie, la CONSOB.
Ora vanno di moda i fondi «private equity».
Gruppetti di signori che fondano «entità» non quotate in Borsa e che non rispondono a nessuno.
Cosa fanno?
Lo spiega un banchiere a Bastasin di La Stampa (2): «Prendi una società mal ridotta, aggiungi un bel po' di debiti, parecchio incentivo al management, togli tutto il grasso. Lascia cuocere per cinque anni e i profitti esplodono».
I profitti se li tengono lorsignori.
O meglio: a quel punto portano l'azienda in Borsa, per monetizzare i profitti.
Questo è il modello, adesso.
Così sarà acquisita Telecom. Come Alitalia.
Non si passerà dalla Borsa.
Non si chiederà nulla al «mercato» e men che meno ai risparmiatori.
A loro, se ancora credono alla Borsa, si rifileranno alla fine le azioni sopravvalutate.
Con trucchi come quelli che cui l'IFIL è stata condannata dalla CONSOB.

Ma chi dà i soldi a questi signori del «private equity»?
Le banche.
Danno loro i soldi nostri, su cui ci pagano l'interesse zero: addio partecipazione agli utili dell'usura.
Ora, il sistema è questo.
Lo dimostra il fatto che Intesa San Paolo, Unicredit e una torma di fondazioni bancarie entrano in un fondo chiamato F2i - tutto fatto per loro, mica per i risparmiatori - «attorno a cui ruoteranno in Italia le grandi operazioni d'interesse pubblico», scrive Bastasin.
Si tratta di una «rete di insiders in cui circolano le informazioni utili al business», informazioni che non daranno certo a voi, taglieggiati e stupidi.
Informazioni che valgono miliardi.
Infatti, l'attività finanziaria più lucrativa non è più nei prestiti, né nell'emissione di obbligazioni.
Oggi, lorsignori fanno soldi con «interventi su società fuori dal listino, operazioni dettate dall'agenda pubblica [sic: di Prodi], fondi speculativi, immobili [vedi Pirelli RE, favorita dalle leggi prodiane]».
E' in corso il grande passaggio dal capitale quotato al capitale «privato»: non quotato e perciò incontrollabile dall'opinione pubblica.
«Il cittadino si sentirà escluso dal capitalismo», lamenta Bastasin.
Ma è appunto questo lo scopo del blocco di potere che si è chiamato «sinistra al governo». Escludere il cittadino da ogni profitto, usarlo solo come pecora da tosare con le tasse.
Quello che fanno i fondi «private equity», lo sta facendo anche Padoa Schioppa come ministro delle tasse: ci ha tassato così tanto, che ne ha le casse piene.
Mai le finanze statali sono state così prospere, in un paese che complessivamente si impoverisce sotto la competizione asiatica.
Ha tanti soldi lo Stato, che Padoa Schioppa non emette nemmeno più Buoni del Tesoro.
Ossia non si offre di prendere in prestito i vostri risparmi, dandovi in cambio un modesto interesse. Perché dovrebbe?
Può togliervi di tasca tutti i soldi che vuole, senza riconoscervi alcun interesse, alcuna partecipazione.
Esattamente come le banche.

Per questo, nonostante le prospere finanze statali, Padoa dice che non abbasserà le tasse.
Anzi minaccia una guerra spietata alla mitica «evasione fiscale».
Ovvio che siete voi, gli evasori.
Voi che già pagate di più, che pagate di più se avete tanti figli.
Ma non pagate mai abbastanza per lorsignori.
Ci stanno costruendo il loro mondo ideale: un mondo felice per le coppie gay, e un inferno per le famiglie, i risparmiatori, gli onesti.
E i giornali non protestano.
Come mai?
Ovvio.
La RCS, Rizzoli Corriere, è di Intesa-San Paolo.
Non è l'opinione pubblica, il suo padrone.

Maurizio Blondet


Note
1)
«Una repubblica fondata sulle banche», Il Foglio, 20 febbraio 2007.
2) Carlo Bastasin, «Lontano dalla Borsa il potere oscuro dei fondi», La Stampa, 19 febbraio 2007.