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    a.k.a. tolomeo
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    Predefinito Così la tecnoscienza sfregia la vita umana.

    Eugenetica, positivismo e ossessione della normalità
    Così la tecnoscienza sfregia la vita umana.


    Parla Didier Sicard


    “SIAMO AI PRELIMINARI DELLA
    SELEZIONE DELLA SPECIE”


    di Marina Valensise
    Parigi. Didier Sicard è convinto di dire
    delle banalità. E se uno osserva
    comunque che l’importante è dirle, e soprattutto
    che a dirle sia lui, il presidente
    del Consiglio consultivo nazionale di
    etica si schernisce. Da quando ha denunciato
    nell’intervista al Monde la deriva
    eugenetica della medicina contemporanea,
    dice di ricevere messaggi di
    insulti. Sulla sua segreteria telefonica,
    qualcuno ha lasciato detto: “Vous avez
    pétez les plombs” espressione non proprio
    accademica per indicare che con le
    sue dichiarazioni ha fatto saltare i fusibili.
    Chi è stato, un collega? “Penso di sì,
    visto che mi chiamava per nome” risponde
    Sicard. “Nel mondo medico e
    scientifico sono un po’ sospetto, come se
    fossi contro il progresso scientifico, ma
    non è vero. Non sono un omeopata che
    si occupa di piante e rimedi naturali”.
    Ma il grande internista dell’Hôpital Cochin,
    antesignano nelle ricerche sul vaccino
    antiaids, e anticonformista al punto
    da denunciare, per primo, i rischi
    connessi alla somministrazione della
    pillola Ru486, dopo l’incidente che è costato
    la vita a sua figlia Oriane Shevin,
    non si scompone. Meglio abbondare in
    luoghi comuni, piuttosto che lasciar
    correre col silenzio, il pericolo che grava
    sulla collettività. “Ho la sensazione
    che la nostra società sia continuamente
    superata non dalla scienza, ma dalle
    nuove tecniche di cui dispone senza
    darsi il tempo per riflettere su quello
    che fa” – dice Sicard un sabato mattina,
    nel suo studiolo di ex capo servizio e
    oggi consulente al terzo piano del pavillon
    Auchard, nell’ospedale Cochin.
    “E’ come se fosse prigioniera di due fattori:
    da un lato un’emozione personale
    o familiare, che diventa emblematica
    di una situazione generale; dall’altro lato
    alla forza delle immagini che rivelano
    una realtà inaspettata”. Questo stato
    di fatto, secondo Sicard, rinvia alla “società
    della televisione”, dove “la realtà
    dell’immagine trasmessa in tv viene a
    avere la funzione di dire la verità del
    mondo”. La società contemporanea, in
    altri termini, è sempre meno pronta a
    mettere in questione ciò che le viene
    mostrato. “E siccome il mercato della
    tecnica (non della scienza, ma della tecnica)
    – insiste Sicard – ha per vocazione
    di estendere il suo territorio, la medicina
    si trova nella stessa situazione: ci
    sono sempre più immagini e sempre
    più cifre, dall’interesse più o meno importante,
    che permettono di sostituire
    la realtà del corpo con la virtualità dell’immagine
    ”.
    In sostanza, la nostra società tutta televisiva,
    portata a enfatizzare l’immagine
    come ultima verità delle cose, manca
    di distanza critica. Non ha più capacità
    di discernimento. E questo, secondo Sicard,
    vale non solo nel campo della procreazione
    assistita, ma in ogni settore
    della ricerca medica: “Per esempio, uno
    che ha mal di schiena perché ha sollevato
    un peso, si fa fare una radiografia.
    La radiografia rivela che ha un’ artrosi.
    Il suo immaginario sarà prigioniero dell’immagine
    consegnata dalla radiografia.
    Allo stesso modo, nella procreazione
    assistita, l’immagine dell’ecografia assume
    un’importanza esorbitante. E in nome
    del principio di precauzione, indurrà
    il medico a un comportamento
    nuovo, che consiste nel cercare immagini
    non perfette, ma normali…”.
    Solo che l’ossessione della normalità
    non ha senso, spiega Sicard. “Perché è
    una statistica. Si sa cos’è profondamente
    anormale, ma i limiti della normalità
    sono senza fine. E non c’è nulla di più
    tragico dell’umanità normale. L’anormalità
    è sempre stata la speranza dell’umanità.
    Il normale emerge dall’anormale.
    Noi siamo una società che non sa
    più accettare l’anormale. Incoraggiamo
    la biodiversità ma intanto vogliamo che
    l’umano sia il normale possibile. E’ un
    paradosso che ha qualcosa di assurdo”.
    Non che Sicard difenda qui l’inesplorabile
    di una gravidanza o voglia accanirsi
    nel dolore di un bambino anormale.
    Ma è convinto che l’umanità stia
    perdendo molto nell’ inseguire la minima
    anormalità come se fosse una fonte
    di sofferenza. “Il paradosso è che la ricchezza
    di una vita non è legata alla forma
    di un bambino. E questa per l’umanità
    è una perdita culturale enorme”
    spiega Sicard. “Perché gli esseri umani
    che hanno la disgrazia fisica di essere
    portatori di handicap possono mobilitare
    un’energia creatrice di cui l’umanità
    futura si verrebbe completamente a privare,
    solo per l’ossessione del normale
    che ormai domina ovunque”.
    Sicard che è di cultura protestante, è
    un laico che s’inchina alla scommessa
    di Pascal, dice di credere nel libero arbitrio
    e anche nella grazia, “perché l’uomo
    è responsabile dei suoi atti, ma è anche
    amato” e usa l’aggettivo “triste” per
    definire questo “normale” che ossessiona
    i moderni. “Un normale convinto ormai
    che l’essere umano non è altro che
    una forma. In fondo, non è altro che il
    rifiuto delle differenze, il disprezzo della
    diversità. Ridurre – come talvolta la
    medicina propone – la procreazione di
    un essere a ciò che è geneticamente bene,
    è una tendenza in crescita, che porta
    a un generale impoverimento”. Ma è
    anche un mercato molto attivo, che sviluppa
    ogni anno redditi e profitti miliardari.
    “Certo – dice Sicard, sorridendo
    dall’alto del suo metro e novanta –
    pensi a quando sarà possibile acquistare
    su Internet il kit di autotest attraverso
    il quale ciascuno di noi potrà aver accesso
    alle informazioni su decine e decine
    dei propri geni. A quel punto, due
    innamorati, prima di decidere di mettersi
    insieme e far figli, andranno col loro
    autotest da un esperto per sapere se
    sono geneticamente compatibili per
    procreare un bambino normale”.
    Sarebbe uno scenario da incubo, che
    leva ogni poesia all’amore cieco e al mistero
    del caso che sovrintende la nostra
    venuta al mondo. “E’ il passo preliminare
    alla selezione della specie”, commenta
    meno romanticamente il professor
    Sicard. “Siccome è troppo gravoso
    mettere al mondo un bambino malato,
    si vorrà sapere in anticipo se esistono
    le condizioni per evitarlo. E’ uno scenario
    da grand guignol, da teatro dei
    burattini. La scienza sta per sconfinare
    nel ciarlatanismo. Propone alla tecnica
    nuovi test, e la tecnica apre un nuovo
    mercato, che sfocia in un’enorme truffa
    morale e intellettuale”. Lo scenario del
    resto non è tanto lontano, se Sicard per
    dimostrarlo cita le ultime ricerche sul
    gene della mucoviscidosi. “In Europa e
    in Francia una persona su trenta è portatrice
    di una mutazione di questo gene.
    Se fa un figlio con un’altra persona
    portatrice della stessa mutazione, c’è
    un rischio di uno su quattro che esso
    sia malato di mucoviscidosi. Ora in
    Francia, ogni anno, nascono 830 mila
    bambini – siamo un paese ancora fecondo
    – di cui i malati di mucoviscidosi
    sono 80-90. Eppure, anche se il rischio è
    irrisorio, la domanda di test per individuare
    la mutazione genetica sui genitori
    è fortissima, pur essendo una fonte
    d’angoscia per loro e il risultato, fra l’altro,
    privo di senso dal punto di vista
    scientifico. “Certo, il milione e seicentomila
    di persone, potenziali genitori
    su media annua, che volessero sapere
    se sono portatori del mutazione del gene
    della mucoviscidosi, si sottoporrebbero
    al test solo una volta nella vita.
    “Ma c’è gente che vorrebbe imporlo a
    tutti a 18 anni, prima che cominciassero
    a avere figli” osserva Sicard. “E molti
    sono tentati di estendere la diagnosi
    genetica anche al colesterolo, al rischio
    di Alzheimer, e persino all’emofilia nelle
    donne che potrebbero trasmetterla.
    Insomma, vorrebbero andare a cercare
    nelle persone ciò che potrebbe essere
    fonte di minaccia per la nascita di un figlio
    attraverso l’incrocio dei geni dei
    suoi autori. E la società di fronte a tutto
    ciò resta indifferente. Un bel giorno
    i test arriveranno su Internet, in vendita
    con l’autokit. La gente li chiede perché
    li considera un progresso. Il mercato
    precede la riflessione e l’influenza.
    Noi siamo un paese che sin dall’illuminismo
    si crede molto razionale e
    razionalista, demanda alla scienza la
    soluzione del problema morale e la felicità.
    La società oggi chiede alla scienza
    di sradicare le malattie genetiche, di
    non propagarle, come se fossero batteri.
    E’ questo il giudizio colettivo”.
    Dunque non è solo la diagnosi prenatale
    a preoccupare Sicard, ma la così
    detta perfezione dell’immagine unita all’assenza
    di una riflessione collettiva
    nella società contemporanea. “Oggi esiste
    per esempio la risonanza magnetica
    che permette di completare l’ecografia,
    guardando il cervello del feto. E’ normale?
    Ma sollecitare risposte a questa
    domanda è impossibile. Cosa vuol dire,
    infatti, un cervello normale? Nessuno lo
    sa, ma la medicina continua a scivolare
    nell’abisso della ricerca di normalità”.
    Non sarà che la società oggi non è più
    capace di accoglienza, perché non sa
    più scommettere sul futuro, e ha semplicemente
    disimparato a sperare? “C’è
    una crescente intolleranza”, risponde
    Sicard. “Un tempo la scienza era meno
    capace di predizione. E c’era la divinazione.
    Oggi ci si rivolge alla scienza come
    se fosse l’oracolo di Delfi, ma lo si fa
    con la presunzione di poter evitare il
    tragico, che minaccia ogni cosa, e
    confondendo predizione e prevenzione.
    Lo si è visto col problema dei disturbi
    del comportamento dei bambini che
    hanno meno di tre anni. Il governo francese,
    in seguito a un rapporto dell’Inserm,
    ha proposto che i bambini che all’asilo
    si comportano in modo asociale,
    con atti di aggressività brutale giudicati
    insopportabili, vengano schedati su
    un libretto della salute e identificati come
    portatori dei segni di pre-delinquenza
    futura. Negli Stati Uniti si propone
    di calmarli col Ritalin. Oggi si
    chiede alla medicina di calmare i bambini
    irrequieti. I comportamenti esagitati,
    spiegano i cosiddetti esperti, sono
    produttivi di comportamenti devianti in
    futuro, e dunque bisogna fare opera di
    prevenzione, e prendere di conseguenza
    misure di inquadramento, trasmettendo
    il dossier ai sindaci dei comuni
    interessati. Ma è una soluzione tragica:
    perché iscrivendo i segni premonitori
    della devianza nel libretto sanitario di
    un bambino, si rischia di farne un dato
    obiettivo, che rinvia allo stesso individuo
    un’immagine di delinquenza alla
    quale, da adulto, rischia di conformarsi.
    L’ossessione di predire il futuro a scopo
    preventivo contiene una tentazione politica
    fortissima”. Tutto questo non è anche
    il segno di un’incapacità di accettare
    la natura, e di intervenire sui casi di
    interazione tra ambiente e personalità.
    “Certo, ma il futuro riderà di noi”, promette
    Sicard. ‘Tra vent’anni rideremo
    dell’importanza eccessiva che la scienza
    genetica ha nella nostra cultura. Allora
    avrà la stessa immagine che oggi
    ha per noi lo spiritismo del Settecento”.
    Dunque, per quanto preoccupato, il
    presidente del comitato bioetico francese
    resta ottimista? “Siamo arrivati a
    un tale positivismo, a una tale fiducia
    in quel che dice la scienza, mentre la
    storia della scienza dimostra che ogni
    generazione rimette in discussione l’eredità
    del passato. Dunque sono ottimista.
    L’unico timore che ho riguarda la
    formazione dei giovani cervelli. L’università
    dovrebbe essere il luogo del
    pensiero, ma ormai è orfana di pensiero”,
    avverte Sicard che ha insegnato a
    lungo nelle Università, tenendo corsi di
    semiologia medica, cure palliative e
    bioetica, e che ancora continua a salire
    in cattedra. “Quando comincio a trattare
    di questioni filosofiche, vedo che gli
    studenti posano la penna, smettono di
    prendere appunti, e mi guardano perplessi,
    come per chiedermi: dove vuole
    arrivare? Dicono di aver bisogno di
    idee chiare, non vogliono essere confusi.
    E poiché l’insegnamento del passato
    non c’è più, per loro esiste solo il presente.
    Lo studente di oggi è convinto
    che la scienza cominci con lui. Non conosce
    l’interrogazione epistemologica
    sulla storia della medicina. E’ ingenuamente
    persuaso che il presente racchiuda
    una verità eterna”.
    E che dire allora, quanto all’eterno
    presente, dei cinque fattori che non
    sembrano lasciar scampo alle pretese
    predittive della tecnica, piegata alla
    scienza? L’industria biotech preme sul
    mercato, la pubblica amministrazione
    vuole ridurre le spese sanitarie, le cliniche
    private fiutano il business, i genitori
    chiedono certezze e i medici vogliono
    evitare processi. E’ possibile
    ignorare questa convergenza di interessi?
    “C’è un ultimo elemento” – aggiunge
    Sicard – “ed è la redditività del
    malato. Il malato infatti deve rendere.
    La malattia va integrata in un circuito
    tecnico e commerciale. Sicché, la biomedicina
    continua a svilupparsi sempre
    di più sull’esclusione dei malati
    che non rendono. Handicappati, drogati,
    vecchi, sono malati che costano e non
    rendono. Più la medicina progredisce
    in capacità di conoscenza e capacità
    tecniche, più si riduce il suo territorio
    di accesso”. Quanto al che fare, Sicard,
    da vero uomo di scienza abituato a dialogare
    sui massimi sistemi col filosofo
    Paul Ricoeur, non si fa illusioni e nemmeno
    ne dispensa. “Non sono un guru”,
    dice, lanciando un sorriso disarmante
    dall’alto dei suoi occhi turchini. “Io non
    ho soluzioni. Quando mi invitano a parlare
    in tv, mi danno tre minuti per dire
    cosa dobbiamo fare. E’ assurdo. Bisogna
    fare uno sforzo di riflessione, pensare
    il senso stesso dell’aiuto che intendiamo
    offrire alle persone. E i media
    oggi dovrebbero mostrare una maggior
    capacità ad accogliere la riflessisone
    e a promuoverla”.
    Quanto all’embrione, e alla diagnosi
    preimpianto, non c’è scampo, è vero.
    Eppure, c’è qualcosa di molto importante
    che si gioca in una gravidanza, anche
    se per ora resta un’intuizione. “Non
    credo che esista maggior fiducia biologica
    tra un embrione allo stato di feto e
    sua madre”, dice Sicard. “In quella situazione
    di fragilità c’è una reazione
    biologica fusionale, un legame profondo,
    non si sa ancora se legato ai neuroni,
    alle proteine, che non va minacciato
    perché dipendere da un unico essere è
    questione di vita o di morte. Immaginare
    che la diagnosi biologica possa minacciare
    questa fusione per tutto il corso
    della gravidanza, dando la sensazione
    che si possa espellere il feto in qualsiasi
    momento, mi pare potenzialmente
    una fonte d’angoscia insopportabile per
    l’umanità. Come se la testa del figlio
    dell’uomo, per riprendere la metafora
    evangelica, non avesse più un cuscino
    sul quale poggiare, non trovasse più alcun
    luogo dove trovare riposo”.
    .

    A fool and his money can throw one hell of a party.

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    Figli fabbricati, l’allarme

    L’allarmista è un medico francese laico e abortista: Didier Sicard --------------------------------------------------------------------------------
    Non è la prima volta che Didier Sicard, il medico francese dal 1998 a capo del Comitato consultivo di etica, si sceglie volontariamente la parte del guastafeste al gran ballo della tecnoscienza. Lo studioso che in una lunga intervista sul Monde del 4 febbraio ha spiegato perché la diagnosi prenatale generalizzata si sia trasformata in nefasto strumento eugenetico, non è infatti nuovo a sortite che lo mettono in contrasto con chi vede nella medicalizzazione a oltranza della gravidanza, della nascita, di tutta l’esistenza, una tendenza non solo irresistibile ma anche altamente desiderabile. Bioetico non dogmatico, Sicard spiega infatti, appena ne ha l’occasione, che la medicina non è la salute e che scienza non significa “padronanza del vivente”.
    Già a capo del servizio di medicina interna dell’ospedale Cochin di Parigi, Sicard da giovane ha lavorato con i malati di lebbra, ed è stato tra i primi, in Francia, a occuparsi di Aids. Ha poi insegnato medicina nel Laos, dove si trasferì per qualche tempo con moglie e tre figlie. Laggiù, racconta, nel contatto quotidiano con la religiosità buddista è riuscito a recuperare le proprie radici protestanti. L’“ugonotto” liberale Sicard appartiene infatti al filone del protestantesimo francese che da Blaise Pascal arriva fino al filosofo Paul Ricoeur e al teologo Jacques Ellul. Gli proviene da lì l’impronta di rigore, di severità e di eleganza intellettuale, oltre alla grande attenzione all’umano. La quale si traduce in grande amore per la letteratura, la filosofia, la poesia, l’arte. Quando lavorava al Cochin, ha lottato per portare mostre tra le mura dell’ospedale, a dire qualcosa di indicibile attraverso il discorso scientifico, di cui sentiva l’urgenza di far partecipi i pazienti. Ma l’attenzione all’umano, per Sicard, significa soprattutto inquietudine perenne e allarme per gli attacchi che all’umano sono portati, compresi quelli sferrati “a fin di bene” da una scienza che si pretende onnipotente.
    .

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