Un luogo comune vuole che, quando le pratiche totalitarie delle teocrazie islamiche o i delitti efferati di un padre-padrone musulmano salgono agli onori della cronaca, l’immediata espressione di condanna sia: “Sono rimasti al Medioevo!”.

In realtà, come osserva lo studioso statunitense Harry W.Crocker III in un articolo pubblicato sul periodico cattolico americano “Crisis” e intitolato Monasteries and Madrassas. Five Myths About Christianity, Islam, and the Middle Ages, definire “medioevali” gli aspetti più ripugnanti dell’islam contemporaneo è profondamente sbagliato, e non rende giustizia ad un’epoca che, a dispetto dei persistenti pregiudizi, fu tra le più luminose e ricche d’inventiva della storia europea.

Nessuno storico serio oggi accetta l’uso del termine “medievale” come sinonimo di “barbarico”, a meno che non si vogliano considerare barbarici anche Boezio, Giotto, Dante, Petrarca, Chaucer, Sant’Anselmo, San Tommaso, San Francesco, le cattedrali, la Magna Charta, le città libere; quindi l’invenzione delle università, degli ospedali, della stampa; nonché lo sviluppo della scienza, del capitalismo e dell’idea stessa di progresso.

Il Medioevo europeo, se non altro, non conobbe mai il soffocante dispotismo del mondo islamico, perché nell’ordine policentrico feudale e comunale il potere politico era ampiamente disperso e decentralizzato. Se guardiamo alle creazioni artistiche, è facile notare che quanto vi è di più ammirevole nelle nostre città risale al Medioevo e al suo sbocco rinascimentale. Nell’islam, invece, il divieto religioso di rappresentare figure umane o animali ha sempre impedito lo sviluppo della pittura e della scultura, mentre l’architettura fu in gran parte ispirata a quella bizantina.

Anche il nostro attuale sistema di notazione musicale, inventato dal benedettino Guido d’Arezzo in una di quelle fucine inesauribili d’innovazioni che furono i monasteri, proviene dal Medioevo. Quando in Europa fiorivano in tutta la loro bellezza il canto gregoriano, la polifonia e le canzoni dei trovatori, nelle terre musulmane l’ortodossia islamica, seguita ancora oggi dalle correnti più rigoriste dell’islam, condannava in toto la musica sulla base dei detti del profeta Maometto.

Le migliori realizzazioni dell’islam in campo filosofico e scientifico, a differenza che in Occidente, furono in larga misura opera di eretici e dissenzienti. I commentari di Averroè al pensiero di Aristotele furono molto più influenti in Occidente che nel mondo islamico, perché dal dodicesimo secolo in poi i filosofi dell’islam si arroccarono nel rifiuto delle acquisizioni dei classici pagani.

Se i musulmani furono spesso sprezzanti delle novità introdotte dall’Occidente, i pratici uomini dell’Europa medievale non perdevano mai occasione per accogliere dall’islam tutto quanto poteva servirgli, come la numerazione con lo zero, che gli arabi avevano portato dall’India. Gli stessi crociati adottarono senza pregiudizi le abitudini, i cibi e le fogge orientali.

E le differenze tra i due mondi sono ancora più evidenti se si guarda alla condizione femminile: l’islam, come quasi tutte le culture antiche, assoggetta quasi completamente la donna all’uomo, mentre il Medioevo cristiano vietò la poligamia e il ripudio. Ancora oggi nei paesi musulmani i diritti e le libertà della donne sono di gran lunga inferiori a quelli che le donne godevano in Europa durante il Medioevo.

Le testimonianze storiche, infatti, ci parlano di contesse, principesse e regine che potevano ereditare ed esercitare titoli proprietari e nobiliari; di dame che governavano famiglie, casati e feudi; di giovani che potevano diventare sante o guidare eserciti in battaglia, come Giovanna d’Arco; di donne che potevano fondare e dirigere scuole, ospedali, ordini religiosi e opere di carità; di donne che potevano svolgere ogni genere di lavori, vestirsi come volevano, recarsi nelle taverne e bere birra. Solo in una cultura che nobilita la donna possono infatti diffondersi il romanticismo dell’amor cortese, la devozione cavalleresca alla donna amata e il culto della Vergine Maria.

La società islamica, quindi, non è affatto rimasta al Medioevo, dato che nessuna somiglianza vi è con la nostra “età di mezzo”. L’uomo medievale non era, nemmeno da lontano, un talebano. I suoi riferimenti culturali erano diversi: egli amava l’arte, le feste, i tornei, le celebrazioni, i colori vivaci; pensava che Dio avesse creato un mondo ragionevole, che il lavoro manuale fosse onorevole, che il progresso fosse possibile. Era, cioè, un occidentale, nel quale ogni europeo, americano o australiano di oggi può riconoscersi.

Guglielmo Piombini

(Il Domenicale, 24 febbraio 2007)