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    Nec Descendere Nec Morari
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    Predefinito Due Buoni Articoli su "il Giornale"

    Il primo, di Carlo Lottieri a pag.12:

    Toh, adesso si accorgono che Hitler era uno statalista


    C’è davvero da sorprendersi per la sorpresa. Eppure pare che l'ultimo volume (Lo Stato sociale di Hitler, edito da Einaudi) di Götz Aly, storico tedesco progressista e autore di studi sull’Olocausto, abbia toccato un nervo scoperto della sinistra poiché ha messo in evidenza come quello nazionalsocialista fosse un welfare State: uno Stato sociale orientato a soddisfare le esigenze della popolazione tedesca in tema di salute, assistenza e via dicendo.
    Oggi, insomma, l’ovvio fa notizia. Come se il fatto che la dottrina hitleriana abbia il termine «socialismo» nella propria denominazione potesse considerarsi del tutto accidentale: quasi un errore di trascrizione. Non è così. Chi abbia letto qualche testo «ideologico» di Hitler sa bene che se la sua ossessione principe fu l’odio per gli ebrei, pure è vero che essa si convertì costantemente in anticapitalismo e nella richiesta di uno Stato che intervenisse ovunque nella vita sociale. In qualche modo, mentre Marx nella Questione ebraica muove dal rigetto del mercato (quale sistema «anarchico» di produzione) per arrivare a posizioni antisemite, Hitler compie il percorso opposto, e - vedendo negli ebrei l’emblema del capitalismo déraciné - muove dal razzismo per costruire una politica economica onnipresente.
    D’altra parte, i primi esperimenti di Stato sociale si devono all'ultra-nazionalista Bismarck, e lo stesso Benito Mussolini (che del Führer fu a lungo il modello) non solo veniva dal socialismo ma fu il «costruttore» dell’Iri e di una politica certamente oscillante, ma comunque spesso ben disposta ad ampliare l’interventismo pubblico.
    L’odio di Hitler per il modello sociale borghese e basato sulla proprietà privata è ben spiegabile e i suoi scritti in materia sono pure assai espliciti, come molti studiosi misero subito in risalto.
    Nel 1940, nel suo importante trattato intitolato Nationalökonomie, l’austriaco Ludwig von Mises aveva sottolineato - scrivendo dal suo esilio ginevrino - come Mussolini, Hitler e Stalin volessero «dare il colpo di grazia al liberalismo e al capitalismo: essi vogliono che l’altruismo abbia la meglio sull’egoismo immorale, e intendono rimpiazzare l’anarchia democratica con l’ordine e l’organizzazione, la società delle classi con lo Stato totale, l’economia di mercato con il socialismo». E due anni dopo a conclusioni convergenti arriverà James Burnham quando sottolineerà come la Russia sovietica, la Germania nazista e la stessa America del New Deal stessero assomigliandosi sempre più a causa del prevalere ovunque di un ceto politico-burocratico chiamato a «progettare» dall’alto l’intera società.
    Una tassazione crescente a carico dei più ricchi, un costante attacco alle logiche contrattuali - a partire dal credito - e un interventismo massiccio a favore dei ceti popolari (case, vacanze, pensioni di Stato, congedi retribuiti ecc.) accomunano lo statalismo di sinistra e il totalitarismo nazismo.
    Che qualcuno si accorga solo ora dell’esistenza di un «welfare State nazista» attesta solo quanto a lungo è durato l'accecamento causato dal manicheismo ideologico.


    Ovviamente ci sono inesattezze, ma già che un quotidiano di questa tiratura ne parli è una buona cosa.

    Il secondo, nella pagina di cultura, di Angelo Mellone:


    E intanto nei Campi Hobbit affondava le radici la creatività della destra


    Al 31 dicembre di quest’anno, sul Settantasette della sinistra e dei suoi protagonisti sapremo tutto: logiche politiche, idiosincrasie, gusti musicali, scazzi di famiglia, estremisti e protoriformisti, Scalzone e Annunziata, Radio Alice e Piero Ottone. Liberazione che fa uscire la storia degli anni Settanta in fascicoli, il Secolo d’Italia che censura questa voglia di copyright, i pochi (speriamo di no) che si ricorderanno del primo 45 giri di Vasco Rossi e della prima puntata di Happy days, trasmessa il 12 agosto (altri tempi, altri palinsesti...).
    Era facile immaginarlo. Dell’altro Settantasette, quello vissuto a destra, in genere si sa poco. Difficile immaginare conferenze universitarie di qualche reduce, e i politici tendono a svicolare per non interrogarsi troppo. È un anno dove la violenza si fa ancora più cieca. Eppure non è solo barbarie, il Settantasette. In quell’anno accadranno cose destinate a ripercuotersi ancor oggi sulla morfologia politica e l’antropologia della destra italiana. A gennaio, dopo il congresso del Msi, nasce la corrente di Democrazia nazionale, uscita dal partito accusando Almirante di voler fare l’antisistema a tutti i costi. L’esperienza durerà poco, ma qualcuno ancora è convinto che siano lì i germi della nascita di Alleanza nazionale. Nel 1977 Almirante impone Gianfranco Fini alla segreteria del Fronte della gioventù, bloccando la vittoria di Marco Tarchi. La carriera politica di Fini dura ancora, quella di Tarchi termina nei primi anni Ottanta, ma l’intellettuale fiorentino segnerà e non poco l’imprinting della destra giovanile che si va configurando in questi anni.
    Anche se il Msi almirantiano fa quasi finta di non accorgersene, nel Settantasette a destra finalmente mette radici la creatività. Fioriscono le radio «libere», dalla milanese Radio University alla romana Radio Alternativa: arriveranno a essere sessanta. Nascono cantautori e gruppi musicali, dagli Amici del vento agli ZPM, dagli Janus alla Compagnia dell’anello, che superano con suoni folk e rock il nostalgismo delle marcette. Si moltiplicano le riviste, dalla satira colta de La voce della fogna al più istituzionale Dissenso, da Linea e Elementi. Il Candido di Giorgio Pisanò appoggia «scandalosamente» la cacciata di Luciano Lama dalla «Sapienza» titolando: «Viva la rabbia della gioventù». Sui muri dell’università è apparsa la scritta, con tanto di croce celtica: «Caradonna 68 Lama 77». Autonomi più fascisti contro il sistema, poi si scoprirà che è una mezza balla ma intanto il mito è stato costruito.
    Si leggono le prime critiche cinematografiche da destra, l’attenzione per il ribellismo gauchiste segna «contaminazioni tra mondi apparentemente lontanissimi», scrive Umberto Croppi, uno dei fasciocreativi di allora, nell’introduzione di I sogni e gli spari. Il ’77 di chi non c’era, di Emiliano Sbaraglia (Azimut, pagg. 128, euro 9,90). Insomma, la destra giovanile si muove, tra mille limiti e inevitabili contraddizioni, con la voglia di togliersi il piombo dalle ali (e intorno alle sezioni, anche se lo spontaneismo armato sarà vicolo cieco di tante speranze) e di stare nei movimenti generazionali. Il punto di coagulo di queste pulsioni è il primo dei tre Campi Hobbit. Ha luogo a giugno a Montesarchio, provincia di Benevento, organizzato dai giovani rautiani. Dietro il richiamo alla mitologia tolkieniana, scrive Luciano Lanna, «tutto un universo creativo e giovanile trovava nuove metafore di comunicazione»: biopolitica ed ecologia, alimentazione e fumetti, le nuove forme grafiche, i murales, la curiosità per gli indiani metropolitani, la croce celtica come simbolo antinostalgico, i fumetti francesi di Jack Marchal, la questione femminile, la fantasy, gli stili di vita, l’elaborazione intellettuale.
    Stanno cominciando, con tre anni di anticipo, gli anni Ottanta. Due ottime guide per orientarsi sono l’Agenda 2007 dell’associazione Lorien (www.lorien.it), dedicata a una cronologia ragionata del Settantasette con articoli e immagini di archivio, e il bellissimo Altre storie, antologia di saggi, testi e immagini - anche fumetti - della Compagnia dell’anello (www.compagniadellanello.net). Storie di musica e militanza che non si piangono addosso.

  2. #2
    Nec Descendere Nec Morari
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    Leggete bestie.

  3. #3
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    bestia a chi???

 

 

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