PASQUE DI SANGUE PER LA CHIESA


Maurizio Blondet
01/03/2007

STATI UNITI - La Diocesi di San Diego in California ha dichiarato fallimento e ottenuto protezione legale contro i creditori per rinviare oltre 140 cause civili riguardanti pretesi abusi sessuali commessi dai suoi preti.
Il vescovo, monsignor Robert Brom, ha dichiarato in un comunicato ufficiale di aver preso questa decisione «a causa della lunghezza delle cause e, più importante, perché le eventuali prime sentenze a favore delle vittime potrebbero svuotare a tal punto le risorse e le garanzie assicurative della diocesi da non lasciare nulle per le altre vittime».
Brom ha annunciato che rivelerà i nomi dei preti che l’autorità ecclesiastica ritiene sicuramente colpevoli, e «verificheremo che nessuno noto come violatore abbia un ministero funzionante».
La decisione è stata presa dopo il fallito tentativo di un accordo extragiudiziale con gli avvocati dei querelanti.
Ad essi la Diocesi aveva offerto una cifra che il suo avvocato, Michael Webb, non ha rivelato, ma che ha detto essere «più alta degli accordi totali raggiunti dalle altre diocesi statunitensi».
Gli avvocati accusatori hanno definito questo tentativo di mediazione «un ultimatum», ed hanno accusato il vescovo di usare la procedura fallimentare per sottrarre i suoi preti agli interrogatori incrociati in aula e nascondere documenti imbarazzanti sulla precedente gestione degli abusi.
Doveva giusto cominciare all’indomani uno dei processi, di carattere tipico: la querelante una donna che ha denunciato di essere stata costretta dal suo prete a rapporti sessuali… nel 1972, quando aveva 17 anni.
Le vittime, che si ricordano da adulte di tali vergognosi eventi subìti quand’erano bambini, possono, con l’assistenza di abili avvocati, spuntare grassi risarcimenti (il vescovo di Milwaukee, monsignor Weakland, ha pagato 450 mila dollari ad una vittima che lo ha accusato personalmente).
Gli avvocati addirittura cercano i possibili clienti invitandoli a frugare nella memoria.
Gli «abusati» hanno costituito un’associazione su scala nazionale, il «Survivors Network of those Abused by Priests» (SNAP: acrostico espressivo, «snap» significa in inglese «agguantare l’occasione»).
Lo SNAP ha allestito una manifestazione di protesta davanti alla cattedrale di San Giuseppe, nel centro di San Diego, cui hanno partecipato una quantità di vittime, molte in lacrime per gli abusi subiti quarant’anni prima.



Conosco questo genere di protestatari.
Nei giorni in cui Bush decideva la guerra all’Iraq, inviato dal mio giornale a Washington, davanti alla Nunziatura Apostolica si incatenò un uomo maturo, che portava appeso sul petto un cartello in cui denunciava di essere stato oggetti di abusi sessuali; gridava ad alta voce tutto il giorno le sue accuse: stranamente, la polizia (che in qualunque fatto del genere, nel quartiere delle ambasciate, sarebbe intervenuta con severità americana) non si faceva vedere… il tizio se ne andava la sera e tornava la mattina.
Poiché in USA è difficile che qualcuno abbia tempo e mezzi privati per dedicare settimane ad una simile protesta assentandosi dal lavoro, ne trassi l’impressione - non so perché - che l’individuo fosse pagato da qualcuno.
La diocesi di San Diego è la quinta in USA a dichiarare fallimento per scandali sessuali.
E’ anche la più grande, contando un milione di fedeli (a questo punto, ex-fedeli); ha 98 chiese e una cinquantina di scuole private.
Le altre diocesi sono quella di Tucson, di Poirtland (Oregon), di Spokane (Washington) e di Davenport (Iowa).
E’ purtroppo innegabile che i fatti hanno un fondo di verità.
Sono lo sciagurato effetto collaterale di una Chiesa troppo ricca, troppo orgogliosamente indipendente da Roma, troppo «aperta al mondo» e venata di eresie «americaniste» e dove, dopo il Concilio, venivano arruolati come sacerdoti omosessuali aperti e militanti.
I preti colpevoli, al di là della pietà per le loro debolezze, vanno guardati con orrore perché infliggono ferite al Cristo sanguinante.
Tuttavia, la vicenda di Ariel Toaff e delle sue (diciamo così) disavventure per le «Pasque di Sangue» obbliga a sottolineare il diverso comportamento degli accusati.
Davanti alla conferma storica degli omicidi rituali da parte di gruppi ebraici aberranti, è stata una corale levata di scudi, di proteste, demonizzazioni, convocazioni di Ariel davanti alla Knesset per fare autocritica, e quasi un linciaggio a cui hanno partecipato quasi tutti i media.
Per la Chiesa, nessuna difesa d’ufficio.



La «colpevole» qui è la prima ad affrettarsi a riconoscere le sue colpe, e a pagare le vittime dalla memoria lunga.
Per le Pasque di Sangue ebraiche, le parole d’ordine sono quelle lanciate da Gad Lerner: «Pregiudizi antisemiti», «leggende urbane» senza «fondamento oggettivo», «fandonie e leggende»; far tacere Toaff non è censura, «ma al contrario senso di responsabilità». (1)
Per Lerner, è inaccettabile anche solo la tesi che «in fondo nessuno possa dirsi innocente; che anche le vittime hanno le loro colpe».
Inaccettabile quando l’accusa riguarda ebrei.
Ma non quando riguarda la Chiesa, anche la spiritualmente debole Chiesa americana, anche se - secondo gli stessi accusatori - i colpevoli di reati sessuali non sarebbero più del 4 % dei sacerdoti cattolici americani.
No, qui non c’è «pregiudizio».
Per principio, non c’è il sospetto di alcuna «falsità» nella parrocchiana che ricorda di punto in bianco una violenza subita nel 1972.
Sugli zingari, è vietato dire che «rubano i bambini», ci istruisce Gad; sui preti cattolici, è ovvio dire che sono pedofili.
E’ solo semplice autodifesa macchiare di sospetto tutta la categoria.
Là c’è una difesa concertata, furente e approvata; qui c’è un’accusa concertata e organizzata, contro cui chi cerca di difendersi è accusato.
Gli ebrei sono perseguitati da «sterotipi antisemiti»; la Chiesa non è vittima di alcuno stereotipo. Qui, alle accuse, si crede subito e per principio.
Non ci stupiremo.
I due pesi e le due misure sono un’altra conferma di ciò che già sapevamo; che quella dell’olocausto e dell’impeccabilità ebraica sono la sola religione rimasta, la sola difesa da tutte le forze legali e occulte «huius mundi».
Quanto all’umiliazione della Chiesa, sappiamo che è salutare e lo speriamo.
Era facile alla Chiesa, e veniva applaudito, «chiedere perdono» per il processo a Galileo o la conversione degli Aztechi: molto meno facile accettare l’umiliazione delle accuse vergognose.



Qui, viene a mente più di una frase di padre Pio.
Egli distingueva tra «umiltà» e «abiezione», e chiedeva di poter amare le sue «abiezioni».
Dov’è la differenza?
«Le migliori abiezioni sono quelle che non abbiamo scelto, che ci sono meno grate».
E ancora: «Vi sono alcune virtù abiette ed alcune virtù onorevoli… fare l’elemosina e perdonare le offese sono tutt’e due figliole della carità: ma la prima è onorevole, la seconda è abietta agli occhi del mondo. Io sono infermo in compagnia di alcuni ai quali dò fastidio, eccovi un’abiezione».
Parlava di sé, sanguinante e malato di stigmate, tra fratelli che non lo sopportavano?
Amare questa abiezione è forse il destino della Chiesa, sempre malata e mai sana fra noi che non la sopportiamo, nemmeno noi «fedeli»?
Fra tanti teologi accademici, padre Pio è il solo teologo necessario alla Chiesa, nelle sue Pasque di sangue.

Maurizio Blondet




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Note
1) Gad Lerner, «Gli zingari, gli ebrei e le leggende razziste», Repubblica, 1 marzo 2007.




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