...La storia di questa attenzione al patrimonio culturale comincia molto presto in quasi tutta Italia, per esempio negli Stati pontifici e nelle province del Regno di Napoli. In un bando emanato il 25 settembre 1755 in nome del Re Carlo VII di Borbone (poi Carlo III come Re di Spagna), si ricordava che «le Province, onde questo Regno di Napoli è composto, hanno in ogni tempo somministrato in grandissima copia de' rari monumenti d'antichità, di statue, di tavole, di medaglie, di vasi, e d'istrumenti o per sacrificj, o per sepolcri, o per altri usi della vita». Si lamentava quindi che «niuna cura e diligenza è stata per l'addietro usata in raccogliere e custodire» tali monumenti, onde «tutto ciò che di più pregevole è stato dissotterrato, s'è dal Regno estratto», e si rendeva noto ai sudditi il profondo rammarico del Re per questa situazione, e il suo ordine perentorio di vietare in ogni modo l'esportazione e la vendita delle antichità, prescrivendo pene detentive più gravi per gli "Ignobili" (cinque anni), meno gravi per i Nobili (tre anni). Il divieto non era limitato alle antichità, ma si estendeva anche a «pitture antiche, o in tele, o in tavole, o di legno, o di rame, o d'argento, o tagliate da muri» e ancora (bando del 16 ottobre successivo) alle «pietre lavorate, e marmi»; ma esso era anche delimitato dalla nomina di esperti, che giudicassero quanto poteva esser ritenuto di poco conto (e perciò esportato), e quanto dovesse restare invece obbligatoriamente entro i confini del Regno.
Il bando fu rinnovato da Ferdinando IV nel 1766 e nel 1769; lo stesso Re (col nome di Ferdinando I Re delle Due Sicilie) emanò poi nel 1822 alcuni più articolati decreti, che confermavano e chiarivano i precedenti divieti, vi aggiungevano quello di demolire gli edifici «di nobile architettura», e nominavano una «Commissione di Antichità e Belle Arti» incaricata di vigilare. Le disposizioni venivano quindi estese ai "domini al di là del Faro", cioè alle province siciliane.
Nel 1839 Ferdinando II decretava che «tutti i monumenti ... restino sotto la speciale ed immediata sorveglianza delle autorità amministrative», e in particolare del Ministero dell'Interno; in particolare, si decretava che tutti i monumenti, sia in proprietà pubblica che privata, «siano ben conservati e non soffrano degradazioni in verun modo (...); non si alteri né si deturpi l'antico, e non si eseguano restaurazioni senza il superiore permesso». Si aggiunge che i monumenti più importanti, onde garantirne la conservazione, dovranno passare in proprietà pubblica, e che «ogni contravvenzione sarà considerata come violazione de' monumenti pubblici, e come tale punita a tenore delle leggi»...