Mentana spieghi questo
10/03/2007
Vari lettori mi hanno segnalato l'ennesima puntata di Matrix che ha cercato di demolire il documentario «Inganno Globale» di Massimo Mazzucco, che pone seri dubbi sulla versione ufficiale dell'11 settembre.
Per Mentana pare diventata un'ossessione, una questione personale.
Ossessivamente, continua a concentrarsi sugli aspetti diciamo così fisico-tecnici dell'attentato: è normale che il carburante abbia rammollito i 38 pilastri d'acciaio delle Torri.
E' normale che due grattacieli, anzi tre (l'Edificio 7) colpiti lateralmente, cadano verticalmente in modo perfetto.
Sicuramente è stato un aereo a colpire il Pentagono…
Qualcuno dovrebbe avvisare Mentana (che non pare uomo di vaste letture) che le polemiche tecniche sono solo una parte della questione.
Che la versione ufficiale sia falsa, lo suggeriscono una quantità di indizi di natura diversa, ossia giudiziaria e investigativa, raccolti dalla polizia americana.
Il caso più celebre - di cui Mentana impedisce di parlare fulminando con accuse di «antisemitismo» - è quello dei cosiddetti «israeliani danzanti».
Chi s'è informato - io ne ho parlato nel mio «11 settembre, colpo di Stato in USA» - sa di cosa si tratta.
Una donna di servizio messicana, che stava facendo le pulizie in un condominio del New Jersey
(a Liberty State Park), notò tre individui che, dal fronte d'acqua dello Hudson, assistettero al primo impatto dell'aereo contro la Torre.
All'esplosione, furono visti esultare, fare segni di «vittoria» con le dita, fotografarsi a vicenda tenendo sullo sfondo il grattacielo in fiamme.
Poi partirono su un camion di traslochi.
La benemerita cameriera si segnò la targa e avvisò la polizia di New York.
Ora, Christopher Ketcham su Counterpunch (1) fornisce particolari prima ignorati - e del massimo interesse - su questo fatto, tutti «tratti dai rapporti ufficiali degli agenti» che procedettero al fermo dei «festeggianti».
Atti ufficiali di pubblici ufficiali.
Mentana provi a demolire questi.
Si apprende che (evidentemente dopo la segnalazione della donna) l'FBI diramò alle pattuglie un comunicato BOLO («Be on lookhout», ossia «Tenete gli occhi aperti») a proposito di tre individui su «un veicolo che può essere collegato con l'attentato terrorista», e che erano stati visti lasciare la banchina costiera del New Jersey pochi minuti dopo il primo impatto.
Nel comunicato si indicava il veicolo così: «Furgone bianco, Chevrolet del 2000 con la scritta 'Urban Moving System sul retro. Visto a Liberty State Park, Jersey City, N J al momento del primo impatto dell'aereo contro il World Trade Center. Tre individui con il furgone sono stati visti a celebrare dopo l'impatto e la seguente esplosione. L'ufficio di Newark dell'FBI richiede che, se il furgone è identificato, gli individui vengano detenuti e rilevate le impronte (digitali)».
Alle ore 15.56, venti minuti dopo la diffusione del comunicato, agenti del dipartimento di polizia East Rutheford bloccano il camion, identificato dalla targa.
Gli agenti, ufficiale Scott De Carlo e il sergente Dennis Rivelli, raccontano così il fermo nel loro rapporto successivo.
Bloccano il veicolo e chiedono al guidatore di scendere.
Il guidatore, poi identificato come Silvan Kurzberg di anni 23, «rifiuta, e la richiesta deve essere ripetuta più volte mentre egli armeggia dentro una borsa di pelle nera a forma di sacco. I due agenti, revolver in pugno, devono 'rimuovere fisicamente Kurzberg'; altri quattro individui (evidentemente, due si sono aggiunti ai tre visti dalla cameriera) vengono fatti anch'essi scendere, ammanettati e allineati sull'aiuola spartitraffico, dove vengono loro letti i loro diritti».
Benchè non venga comunicato loro il motivo dell'arresto - nota De Carlo nel suo rapporto - «il sottoscritto agente si sente dire dal guidatore [Kurzberg]: 'Siamo israeliani, non siamo noi il vostro problema. I vostri problemi sono gli stessi nostri. Il problema sono i palestinesi'».
Già sapevano la «versione ufficiale», prima ancora che la dichiarasse la Casa Bianca.
Un altro dei cinque fermati, senza essere interrogato, dice all'ufficiale De Carlo: «Eravamo sulla West Side Highway a New York City durante l'incidente».
Particolare falso.
Accorrono agenti dell'FBI ad affiancare i due poliziotti locali, del New York Police Department. Trovano nel camion «diversi passaporti e 47.000 dollari in contanti dentro una calza».
Tutte le circostanze sono conservate nel registro della polizia della Contea di Bergen (New Jersey), insieme ad altri particolari.
Fra cui questo: gli agenti hanno trovato nel veicolo anche «mappe della città con certi luoghi sottolineati».
Secondo un dirigente della Bergen County, «sembra che quelli sapessero ciò che stava per avvenire quando si trovavano al Liberty State Park».
Ossia erano arrivati sulla riva dell'Hudson nel New Jersey, con splendida vista su Manhattan, proprio dirimpetto al World Trade Center che si ergeva dall'altra parte del fiume, per godersi lo spettacolo.
Dai documenti, si accerta che i cinque sono israeliani.
Dichiarano di essere in USA per lavorare come facchini della Urban Moving System, ditta di traslochi che ha uffici e magazzino a Weehawken, in New Jersey.
Tutti vengono detenuti per 71 giorni nel centro di detenzione federale di Brooklyn, dove vengono ripetutamente interrogati da agenti dell'FBI e della CIA (che li chiamano cumulativamente «the high-fiver», ossia «gli esultanti»).
Alcuni di loro sono tenuti in isolamento per 40 giorni; alcuni sono sottoposti a più prove della macchina della verità.
Uno di loro, Paul Kurzberg, fratello del guidatore Silvan, rifiuta a lungo, per dieci settimane, di assoggettarsi alla prova del lie-detector, e alla fine non la supera.
Il proprietario della ditta di traslochi risulta essere Dominik Suter, israeliano, 31 anni.
Egli ha abbandonato precipitosamente gli USA per tornare in Israele.
Nei locali della Urban Moving System gli agenti trovano ancora i computer accesi e i cellulari sotto carica, bicchieri di carta con il caffè ancora dentro, sandwiches non consumati e, nel magazzino, mobili per migliaia di dollari.
Suter è stato inserito dall'FBI nella lista dei ricercati in relazione all'attentato, nella stessa lista in cui appaiono Mohamed Atta e gli attentatori presunti dell'11 settembre.
Il primo a rendere nota la vicenda, nella primavera del 2002, è stato il settimanale ebraico di New York, «Forward», dopo mesi di ottime ricerche dei suoi cronisti.
Secondo Forward, il FBI era giunto alla conclusione che almeno due dei fermati erano agenti del Mossad, e che la Urban Moving System per cui lavoravano era una «facciata» del Mossad.
Lo stesso governo israeliano ha ammesso che i due erano spie.
«Il governo israeliano ha riconosciuto l'operazione e si è scusato di non averla coordinata con Washington», ha scritto Marc Perelman, il giornalista di «Forward».
Anche oggi Perelman conferma il suo articolo.
Ha le sue fonti nel Mossad, ha detto a Ketcham, «e nessuno ha smesso di parlare con me».
A Ketcham, due ex agenti CIA hanno spiegato che la mascheratura di una compagnia di traslochi è un classico nello spionaggio: i furgoni coperti possono girare dovunque e portare qualunque cosa voluminosa sotto il telone senza suscitare sospetti.
Nel giugno del 2002 la vicenda è ripresa dalla catena televisiva ABC nel programma «20/20».
La TV intervista Joseph Cannistraro, ex capo dell'antiterrorismo nella CIA: egli rivela che i nomi dei cinque non erano sconosciuti; una ricerca li ha trovati già registrati in un precedente database dell'FBI su presunte spie.
Ricontattato da Ketcham, Cannistraro ha confermato tutto, anzi di più: gli agenti dell'FBI, ha detto, hanno cercato di stabilire se gli israeliani, quando erano arrivati sulla banchina dell'Hudson dove erano stati notati dalla cameriera, sapessero quel che stava per accadere.
Fin dal principio «l'inchiesta dell'FBI fu condotta assumendo che gli israeliani sapessero in anticipo».
E cercavano di farsi dire «che cosa aspettavano quegli uomini quando arrivarono lì».
Ma prima che l'inchiesta fosse conclusa, è stata bloccata e chiusa dall'alto.
La ABC News ha riferito di «trattative di alto livello tra funzionari governativi di Israele ed USA» che avevano portato alla chiusura.
Il settimanale Haaretz ha fatto il nome di Richard Armitage, ebreo, noto neoconservatore e vice-segretario di Stato (ossia vice-ministro degli Esteri) come uno di quelli che hanno fatto le più autorevoli pressioni per la liberazione dei cinque, insieme a «due importanti membri del Congresso di New York» non nominati (sicuramente ebrei, come tutte le persone importanti di New York), sei settimane dopo che i facchini erano stati arrestati.
Ad occuparsi della vicenda intervenne anche un noto avvocato penale, Alan Dershowitz (ebreo).
Un luminare di Harvard, «sostenitore fervente di Israele» e sostenitore delle leggi speciali di Bush, compresa l'autorizzazione alla tortura, che ha cercato di difendere sul piano giuridico.
Dershowitz ha rifiutato di parlare con Ketcham della vicenda.
Le pressioni della nota lobby hanno avuto un ineluttabile successo.
I cinque israeliani, a fine novembre del 2002 sono stati espulsi e rimandati in Israele con la motivazione di aver lavorato illegalmente negli USA, in violazione del loro visto turistico.
E' indicativo che la strana vicenda degli «israeliani danzanti» davanti alle Torri in fiamme non sia citata nel voluminoso rapporto della Commissione che ha «fatto luce», per così dire, sull'11 settembre.
Eppure le imprese dei traslocatori festeggianti sono descritte in documenti ufficiali e di valore giudiziario, opponibili un processo, come i citati rapporti di polizia.
Fatto anche più strano, nemmeno altri grandi media, a parte Forward e la ABC, hanno più ripreso la notizia.
«Nemmeno per dire che erano tutte falsità», si stupisce Perelman, il giornalista di Forward: «Onestamente lo trovo strano».
Si stupirà mai Mentana?
Magari qualcuno può avvertirlo, poiché sicuramente non legge Counterpunch, e nemmeno questo sito.
Le sue informazioni sono generalmente lacunose.
Così, per dargli quello che nelle sue TV si dice «un aiutino», lo informiamo di altre circostanze, anch'esse agli atti.
Tutti i futuri presunti dirottatori del volo American Airlines 77 (quello del Pentagono) hanno abitato o operato nelle contee di Bergen e Hudson, ossia in località che stanno in un raggio di 10 chilometri dalla sede della Urban Moving System.
Mohamed Atta visitava spesso questi amici, e aveva una cassetta postale, nella parte nord del New Jersey, ossia nella medesima zona.
Forse gli israeliani tenevano sotto sorveglianza gli aspiranti «terroristi suicidi»: ma allora perché non hanno detto nulla alle autorità USA?
Mentana potrebbe intervistare Vincent Cannistraro, l'ex dirigente CIA antiterrorismo,
il quale ha detto a Ketcham di essere «assolutamente certo» che i cinque danzatori fossero parte di una rete di sorveglianza di estremisti islamici tra New York e New Jersey.
Magari, Ketcham potrà dare a Mentana l'indirizzo dell'altro funzionario CIA che, anonimamente, gli ha detto che i cinque israeliani erano «linguisti arabi» che contribuivano a intercettare telefoni, piazzare microfoni e operare pedinamenti nella zona, abitata da una folta popolazione musulmana.
O magari spontaneamente Mentana potrebbe intervistare (con interprete simultanea) Marc Perelman, il bravo giornalista di «Forward»: fonte ebraica e quindi insospettabile di complottismo antisionista.
Sarebbe uno scoop o no?
Glielo diamo gratis.
Tanto più che potrebbe non esaurirsi in una sola puntata.
Per esempio, si potrebbe rivangare la strana storia degli «studenti d'arte israeliani» beccati dalla DEA a cercare di vendere quadri che sostenevano fatti da loro (in realtà Made in China)
ad alti ufficiali americani, e intanto curiosavano nelle loro case.
E' accaduto nel 2001 qualche mese prima dell'11 settembre.
Questi studenti operavano in Florida, nella zona di Hollywood (non quella californiana sobborgo a nord di Miami) là dove abitavano, guarda caso, 15 dei 19 dirottatori arabi che si addestravano nelle scuole di volo locali.
Questi «studenti d'arte» secondo la DEA (c'è il rapporto, Mentana) avevano ricevuto addestramento specifico nell'armata israeliana come esperti di intelligence ed elettronica.
Particolarmente interessante su uno di questi studenti, di nome Hanan Serfaty.
Mentre si guadagnava stentatamente qualche dollaro cercando di vendere i quadretti, Serfaty (risulta alla DEA, caro Mentana) movimentava grosse somme: depositava in banca, tra il dicembre del 2000 e l'aprile del 2001, ben centomila dollari; e ne ritirava nello stesso periodo altri 80 mila.
Serfaty aveva affittato più di un appartamento, per sé e gli altri «studenti» israeliani, al numero 4220 di Sheridan Street.
Mohamed Atta aveva un recapito postale nella stessa Sheridan Street, al numero 3389, meno di un chilometro dalla casa di Serfaty.
Questo Serfaty ha servito nell'esercito israeliano dai 18 ai 21 anni; si è rifiutato di raccontare alla DEA cosa abbia fatto dopo, dai 21 ai 24, e negli USA.
Ma lui e gli altri «studenti» avevano ed usavano telefonini che risultano acquistati in blocco da un ex viceconsole israeliano in America.
In più nel New Jersey, precisamente a Rutheford, ha sede una ditta israeliana specializzata nelle intercettazioni elettroniche, che si chiama NICE Systems Inc, e in cui lavorava un'accertata spia sionista, Tomer Ben Dor, inquisito dall'FBI.
Ora, Rutheford è a un tiro di schioppo dal luogo dove la cameriera messicana notò i cinque della Urban Moving System.
Magari tutti questi «lavoratori» e «studenti» sorvegliavano solo dei sospetti terroristi islamici. Magari non avevano capito in anticipo quello che i terroristi preparavano.
Ma perché allora, assistendo all'orrendo impatto l'11 settembre, festeggiarono, si congratularono, si abbracciarono e fotografarono davanti alle Torri incendiate?
Avrebbero dovuto fare il contrario: pestare i piedi, alzare i pugni in gesti di rabbia e di dispetto, gridare insulti ai «terroristi arabi» che avevano giocato loro, i geniali israeliani, e tutta la loro rete di sorveglianza.
Perché tutto il loro lavoro era fallito, se mirava a sorvegliare per prevenire attentati.
La gioia incontenibile che mostrarono si giustifica solo se lo scopo della sorveglianza era un altro. Significa, quella gioia, che la missione era stata compiuta.
O forse Mentana ha un'altra ipotesi?
La chieda ad Attivissimo, quel suo dilettante che ha trasformato nel «massimo esperto».
Maurizio Blondet
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Note
1) Christopher Ketcham, «What did Israel know in advance of the 9/11 attack?», Counterpunch, 7 marzo 2007.