Il 14 aprile del 2004, in Iraq, per mano di terroristi islamici, fu ucciso Fabrizio Quattrocchi, nato a Genova il 9 maggio 1968.
Prima di essere ammazzato, il Quattrocchi, che stava in Iraq come guardia del corpo di non ricordo chi, pronunciò la famosa frase "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano".
Tale frase fece il giro di tutti i media, e fu utilizzata a piene mani dalla destra per giustificare e propagandare la propria politica guerrafondaia.
Il 18 ottobre del 1794 fu impiccato, al Largo del Castello in Napoli, il giovane giacobino Emanuele De Deo, che pagò con la morte la fedeltà alle proprie idee rivoluzionarie, progressiste, illuministiche e antimonarchiche. Per le proprie idee e per la propria militanza rivoluzionaria, Emanuele De Deo non ricevette mai alcun compenso, se non l'impiccagione e la devozione dei posteri che la pensano, contestualmente ai tempi, come lui.
Emanuele De Deo, quando morì per mano del boia borbonico, aveva solo 22 anni. Era nato a Minervino Murge, in provincia di Bari, l'11 giugno 1772.
Di Fabrizio Quattrocchi, con tutto il rispetto, se ne è parlato fin troppo. Di Emanuele De Deo se ne è sempre parlato poco.
Vi propongo la sua ultima lettera al fratello, e vi confesso che tale scritto mi ha fatto venire i brividi addosso per l'emozione e per la commozione.
Questa lettera è la dimostrazione di come è morto un giovanissimo intellettuale meridionale, quando ancora non c'erano le reti Rai e Mediaset. Ma la sua morte, anche se non è stata mai propagandata a sufficienza, rimarrà per sempre scolpita nella nostra storia di italiani, di meridionali, di democratici e di progressisti.
E scusate la retorica, ma non mi vengono parole diverse, di fronte al coraggio, alla dignità, all'onestà, alla tranquillità morale e all'impegno fino alla morte del Cittadino Emanuele De Deo.
Emmanuele De Deo il giorno prima della sua impiccagione, avvenuta a Napoli in Largo del Castello il 18 ottobre 1794, scrisse una toccante lettera al fratello Giuseppe.
Dalla Cappella della Vicaria; Venerdì 17 ottobre 1794.
Mio caro Fratello, perché dirmi disgraziato? Perché attribuirmi questo nome? Se considerate la perdita d'un fratello, convengo con voi; ma se tale mi chiamate per un destino che seguo, caro fratello, v' ingannate.
Io la mia sorte la invidiarei negli altri: ciò vi basta a farvi comprendere la tranquillità dell'animo mio nell'abbracciare il decreto della suprema giunta, e del mio e vostro Sovrano.
La morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere. Chi ha la coscienza senza rimorsi, gioisce in quel punto che i malfattori chiamerebbero terribile; e poi noi non siamo eterni, presto o tardi si muore; né la durata della vita dovete determinarla da replicati giri del Sole, un anno di vita di un uomo onesto e socievole uguaglia cento d'un Misantropo, d'un egoista; e pure il paragone mi sembra incompatibile: grazie al Reggitore del tutto.
Non v'è persona che potesse credersi da me oltraggiata o lesa. Ho adempito alle mie obbligazioni verso chiunque aveva dritto di esigerle, e non mi sono giamai dimenticato di essere Cittadino ed uomo.
Se altri hanno offeso me, o almeno mi hanno defraudato di quella grata corrispondenza, che mi dovevano, io li perdono, e voi, caro fratello, perdonateli con me: un fratello nell'ultimo momento di sua vita ve lo chiede, né dal vostro sperimentato bel cuore attende il contrario.
Non giova più parlarmi di grazia, il mio destino è certo, ed io l'attendo con intrepidezza e maschio coraggio, per farvi comprendere che non ha potuto indebolire il mio cuore per umiliarlo così.
Vorrei avere il piacere in queste strettezze di tempo di parlarvi, a solo oggetto di non farvi più affliggere, per comunicarvi il mio ragionevole coraggio.
Consultate la ragione; calmate l'imaginazione, ed il mio fato non vi sembrerà tanto funesto.
Ho a caro che partite per Minervino. Consolate l'afflitta mia Madre: nascondeteli in tutti i conti la mia sorte.
Se poi col tempo verrà a scoprirla, come avverrà, assicuratela che l'unico oggetto delle mie afflizioni in queste circostanze era il suo amore e quello delle mie amate Sorelle, che a voi raccomando di amare con duplicato affetto; unite ambi li amori e le cure verso di esse, giacché la mia disgrazia sopra di esse più tosto piomberà.
Baciate da mia parte pur anche le mani alla dolce ed amorosa mia Madre, e domandatele scusa di qualche mia involontaria mancanza.
Fate felicissimo viaggio, e ricordatevi sempre del vostro fratello, ma non del di lui destino.
Spetta a voi di ricompensare il comune afflitto Padre di tutto le amarezze che io l'ho cagionate. Non trascurate d'ubbidirlo, compiacetelo in tutti i suoi voleri; son sicuro che non sarete per mancare a questo vostro dovere, e per mia memoria.
Caro Fratello, è inutile maggiormente diffondermi, sarebbe per più eccitare la vostra sensibilità.
Vi accludo un biglietto alla cara Madre, che servirà per deluderla: vi abbraccio, vi bacio e sono col cuore.
Al comun Padre ho scritto, ed ivi ho acclusa un'altra lettera per la Sig. Madre; me la ritirerei, ma per altro mezzo so che è andata al suo destino, quantunque non ancora vi sarà pervenuta.
Vi taccio degli amici; essi, che mi amano, comprenderanno bene quel che su questo punto vorrei dirgli. Domani, prima che partirete, fatemi pervenire l'ultimo vostro biglietto e l'estremo Addio. Vi stringo di nuovo al cuore.
Vostro Fratello,