Adesso non ce ne frega
niente dei carabinieri, della malasanità,
dell’inchiesta, delle dichiarazioni politiche,
dell’errore tecnico, di Livia Turco,
di Ignazio Marino, dello psichiatra che ha
firmato il certificato, delle colpe impossibili
da dare, dell’ospedale che fa le condoglianze
alla famiglia e giura che è stato
fatto tutto il possibile per salvare il piccolo,
dei titoli mostruosi sui giornali (“Sanità
nella bufera per un aborto sbagliato”,
la Stampa), non ce ne frega niente davvero
ed è completamente devastante anche
solo l’idea che adesso su quel bambino
minuscolo si faccia un’autopsia. Quel
bambino che un momento prima di essere
tirato fuori dalla pancia dava i calcetti,
alla fine ha avuto anche un nome. I genitori
avevano deciso di rinunciare a lui
perché era un fardello troppo insopportabile
l’idea della malformazione, ma poi
hanno visto che era forte, vivo e sano (il
fatto è che sono sempre più numerosi i
bambini che sopravvivono all’aborto terapeutico,
anche perché sono sempre migliori
le tecniche di rianimazione: è la
scienza che va avanti e non solo nella diagnosi
prenatale e nello studio dei geni,
anche nelle possibilità di non morire, ma
di questo non si tiene conto), allora hanno
fatto il riconoscimento e gli hanno dato un
nome. Di certo hanno sperato, gridato
scongiurato che ce la facesse, e che facessero,
i medici, qualunque cosa. Anni fa
nello stesso ospedale c’era stata una bambina
piccolissima, troppo prematura, ce
l’aveva fatta. Il loro bambino no, è morto
di notte. Con molto scandalo e moltissimo
dolore di tutti, perché era sano. Se invece
quell’esofago fosse stato anche solo minimamente
malformato, ci si sarebbe potuti
consolare, forse la notizia del tentativo
di vincere la morte non sarebbe nemmeno
arrivata. Ma era proprio il bambino
che ogni madre desidera, e che ogni
screening prenatale si augura di esaminare,
solo che lo stomaco non si vedeva.
L’Osservatore Romano ha scritto della
“lotta miracolosa” di questo bambino, e
poi, però, ha scritto che “l’aborto è arrivato
a compimento”. E’ andata così e non ci
sono colpevoli da punire per sentirsi meglio.
I genitori sono distrutti per sempre, i
medici costernati, impauriti, i legislatori
imbarazzati ascoltano i neonatologi spiegare
che sopra le ventidue settimane c’è
ormai troppa speranza di vita per praticare
ancora l’aborto terapeutico. La scienza
ha rivelato ancora e ancora quanto è
incerta e distratta, e il bambino è vissuto
abbastanza per mostrarci quanto è stato
più forte di noi e della nostra povera idea
di potenza.
Annalena Benini