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Grazie templares.
Personalmente non sarò in grado di dare un giudizio se non dopo averlo visto all'opera, ammesso che Sarkozy venga eletto.
Tuttavia, il suo programma e la sua visione, la "rupture", mi sembrano stimolanti, c'è freschezza di idee tra l'immobilismo chiracchiano e il vuoto ideologico della gauche francese.
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A fool and his money can throw one hell of a party.
L’antica modernità della “rupture” di Sarkozy
CITA ANCHE I FONDATORI DELLA GAUCHE E SEMBRA PURE SINCERO. ECCO PERCHÉ È DI DESTRA, DUNQUE RIVOLUZIONARIO
Parigi. Voleva essere di destra per essere
rivoluzionario Nicolas Sarkozy, quando
decise trent’anni fa di diventare un militante
del partito gollista. E’ stato di parola. Oggi,
candidato del centrodestra francese alle
presidenziali, non fa che mietere consensi
in seno alla sinistra, e in nome dei principi
della sinistra. Principi rivoluzionari
che egli stesso ha raccolto e rilanciato,
prendendo la destra in contropiede, come
ha scritto sul Monde André Glucksmann,
annunciando il suo appoggio al leader della
destra che si rivolge a oppressi e rivoltosi.
La tattica, da goleador, di Sarkozy non è
ispirata soltanto al misero opportunismo
del cacciatore di voti. E’ vero che bisogna
federare al centro e dunque attrarre anche
i voti di sinistra, per vincere il secondo turno
delle presidenziali, meta più che plausibile
visto che i sondaggi continuano a darlo
in vantaggio rispetto alla socialista Ségolène
Royal, sinora in testa. Ma nell’idea
di “rupture” perseguita da Sarkozy, attingere
al patrimonio della sinistra, riprenderne
gli ideali e ritradurli in una prospettiva liberale,
citare gli eroi eponimi della grande
storia della “gauche” repubblicana, da
Leon Blum, il socialista che negli anni
Trenta portò al governo il Fronte popolare
e introdusse le ferie pagate, al comunista
Guy Môquet, giovane martire della Resistenza
trucidato dai nazisti, senza dimenticare
di rendere omaggio a Victor Hugo, il
romantico repubblicano padre dei Miserabili,
o a Jean Jaurès, altro martire del socialismo
che nel 1905 iscrisse la “laicité”
fra i principi della République, è una strategia
che obbedisce quasi a un fine in sé.
Hai voglia a provocare l’irritazione dei
comunisti, che per voce della loro candidata
Marie Georges Buffet, hanno vivamente
protestato, denunciando addirittura il furto.
A nulla è valsa l’accusa ben più tecnica
di “captation d’héritage” lanciata contro
Sarko dal segretario socialista François
Hollande, riformista moderato, almeno in
apparenza, nonché padre dei quattro figli
di Ségolène Royal e sino a prova contraria
suo compagno. Come se non si potesse ancora
accettare, alle soglie del XXI secolo,
l’unità della storia di Francia, continuando
a dividersi tra chi venera la Rivoluzione
francese, e chi invece s’emoziona al ricordo
della consacrazione di Reims. E’ stata questa
la replica di Sarkozy che la settimana
scorsa, parlando a Saint Quentin, ha citato
non soltanto Marc Bloch, ma la scuola di
pensiero che fa capo alla migliore storiografia
francese contemporanea, quella, per
intenderci, di François Furet, di Mona
Ozouf, di Pierre Nora, che negli ultimi
trent’anni hanno ribaltato i luoghi comuni
del settarismo giacobino, aprendo la strada
a una critica della cultura di sinistra che
evidentemente ha avuto poca presa sui responsabili
politici della stessa sinistra.
Tant’è vero che oggi, Sarkozy, rispondendo
a Hollande, non si priva di gettare il ridicolo
sugli strani successori di Mitterrand che
se ne proclamano eredi, ma che a rigor di
logica avrebbero dovuto alzare il ditino e
gridare allo scandalo di fronte allo stesso
Mitterrand che, in fin di vita, dialogava sul
mistero col filosofo cattolico Jean Guitton.
E’ anche per questa sua forza di convinzione
che Sarkozy seduce oggi, per la capacità
di pensare in modo libero, non conforme
e anticonformista, sia rispetto alla destra
sia rispetto alla sinistra. Seduce a sinistra
un paladino dei diritti dell’uomo come
André Glucksmann, l’intellettuale che ama
“la Francia col cuore in mano”. Il difensore
dei boat people e dei dissidenti antisovietici
negli anni Settanta, oggi è pronto a
sostenere Sarko, perché Sarko vuol rompere
con la politica pusillanime di Chirac, e
quando prende la difesa dei ceceni, martiri
di Vladimir Putin, dice di volersi battere
contro il silenzio della dittatura. Ma
Sarko seduce anche la sinistra riformista
dell’establishment, l’élite economico-intellettuale
che ha un piede nell’alta finanza e
l’altro nei mass media e oggi appare disgustata
della demagogia di Ségolène Royal,
come Alain Minc, prodotto compiuto della
meritocrazia repubblicana, già braccio destro
di Carlo De Benedetti nella fallita conquista
della Sgb, e oggi consulente di grido
dei capi del Cac40 e presidente del consiglio
di sorveglianza del Monde. Il che spiega,
del resto, l’imbarazzo del quotidiano di
sinistra, aperto ai radicali e ai cattolici della
gauche, ma diretto da un corso amico di
Sarkozy, Jean Marie Colombani, che con
una mano finge di sostenere Ségolène, ma
con l’altra semina zizzania fra i socialisti,
lanciando la proposta di “tassare i ricchi”,
secondo François Hollande, mentre sul
fronte opposto continua a dare manforte al
“rivoluzionario” di destra, mettendo in
guardia il governo dal suo tardivo attivismo,
e invitando il presidente Jacques Chirac,
a non fare scherzi. E lo stesso motivo
spiega inoltre il tifo segreto di Libération,
il foglio ex maoista che grazie a Edouard
de Rotschild e al nuovo socio italiano Carlo
Caracciolo tenta adesso la strada del risanamento,
ed è disposto a schierarsi con
il centrista Bayrou, pur di affossare Ségolène
al primo turno.
In effetti Alain Minc è uomo di sinistra.
Si è appena dimesso dal consiglio di amministrazione
del gruppo Vinci. Voleva evitare
il conflitto di interesse, dopo che il suo
cliente François Pinault, ne aveva acquistato
il 5 per cento. Ma trova biasimevole il
puritanismo politicamente corretto, che in
nome della trasparenza sacrifica l’indipedenza.
E’ un liberale, dunque, un riformista
di sinistra, che però ha nel cuore e nel
dna la sinistra rivoluzionaria. E infatti è il
figlio di un poverissimo ebreo nato nel
1908 a Brest Litovsk, che lascia negli anni
Venti gli studi rabbinici per la militanza
bolscevica, sbarca a Bordeaux negli anni
Trenta per studiare medicina, riesce a sposare
dieci anni dopo la donna con cui vive,
anche lei militante bolscevica, immigrata
clandestinamente in Francia, sfugge per
un pelo alla “rafle du Vél d’Hiv”, la deportazione
di decine di migliaia di ebrei francesi
nei lager nazisti, e diventa quella
straordinaria figura di uomo ordinario, che
lui stesso, a 98 anni, ha voluto raccontare
(Joseph Minc, “L’extraordinarie histoire
d’une vie ordinarie” Seuil 2006).
Alain Minc, suo figlio, nato alla fine della
guerra, nel 1949, oggi è sarkozista per disperazione:
“Se fosse stato candidato, avrei
votato per Dominique Strauss-Kahn”, dichiara
subito, con un sorriso disarmante,
nel suo ufficio all’Alma, sotto lo sguardo
glaciale di Samuel Beckett che guarda da
una doppia foto d’autore formato gigante.
“Era lui, DSK, il mio candidato naturale,
perché noi siamo una monarchia. E tutta la
difficoltà sta nel fatto che un monarca mediocre
può fare danni incalcolabili…”. In
più, il guaio è che oggi la “monarchia francese”
è in una grave fase populista”, secondo
Minc. “E il primo segno del populismo è
la denigrazione delle élite. Se dici che i veri
esperti sono i cittadini, non c’è spazio per
le élite”, sospira Minc pensando a Ségolène.
“Chi la conosce sa che è completamente
inadatta al ruolo”, aggiunge senza scomporsi.
“E’ stata scelta cinicamente dai socialisti,
che pensavano di vincere, ma alla
prova dei fatti, è come una in cerca di lavoro
che non ce la fa a superare il colloquio
di assunzione. Finché Sarkozy non si è candidato,
l’hanno tenuta in un’atmosfera rarefatta,
con Hollande che ha organizzato un
falso dibattito per proteggerla da ogni rischio.
Adesso però la situazione è esplosa”.
Della élite repubblicana, Minc si considera
un prodotto allo stato puro e ne è talmente
consapevole da voler dedicare – lui che
oltre a essere un finanziere, un consulente
industriale, un uomo dai mille contatti col
Tout Paris, è soprattutto un poligrafo inveterato
– l’ultimo libro a John Maynard Keynes
(“Une sorte de Diable. Les vies de John
M. Keynes”, Grasset), quasi a voler ritrovare
un doppio, un modello superiore, un
ideale in quell’esempio riuscito dell’élite
cosmopolita britannica. “Keynes – spiega
Minc – ha avuto una posterità inattesa. E’ diventato
il riferimento che la sinistra riformista
ha avuto bisogno di inventarsi contro
Marx, facendone un mito, anche a costo di
cancellarne la complessità e le contraddizioni,
e il modo stesso di azione economica
che in fondo resta l’empirismo”.
Anche Minc, come Glucksmann, oggi è
un deluso della sinistra. E anche lui guarda
con favore alla “rupture” che Sarkozy
rappresenta rispetto all’inerzia della presidenza
Chirac. “Chirac non è di destra; è un
radicale”, spiega Minc. “E questo ha spinto
la sinistra ancora più a sinistra, mentre ha
aperto alla destra la via del populismo”. E’
questo, secondo lui, il vero vizio di costruzione:
“Chirac non è un borghese. L’idea
che in fondo tutte le civiltà si equivalgano
non è una Weltanschauung di destra, ma è
la filosofia che ha spinto la sinistra ancora
più a sinistra, verso l’altermondialismo radicale,
e la destra verso il populismo”.
Nel 1995, Minc, per quanto di sinistra, ha
sostenuto alle presidenziali il liberale centrista
Edouard Balladur. Ora però il gioco
è diverso, intanto per il candidato:
“Sarkozy è un uomo di centrodestra intelligente
come Balladur, ma dotato di ben altro
talento”. E poi per l’avversario. “Se ci
fosse un dibattito al suo livello, saremmo
in una situazione sana, normale. E invece,
Sarko deve fare campagna contro qualcosa
che all’ora attuale non sappiamo più se sia
un’allucinazione collettiva o un oggetto
vuoto. Nel primo caso, sarebbe una campagna
molto difficile. Nel secondo, sarebbe
squilibrata”. Fino a una settimana fa, spiega
Minc con una punta di rassegnazione, la
candidatura di Ségolène Royal sembrava
un’allucinazione collettiva. Oggi tende a
trasformarsi in un oggetto vuoto.
Con uno slancio di sincerità, pur sempre
contenuto nei limiti del genere, Minc confessa
di “detestare” tutto quello che Ségolène
esprime: la democrazia partecipativa, i
cittadini esperti, l’assenza di responsabilità
politica, la demagogia enfatica e fine a se
stessa. Detto ciò, è convinto che continui ad
avere una “forte base politica”. Quanto all’ipotesi
di sostituirla in corsa, che in certi ambienti
comincia a serpeggiare: “Dovrebbe
crollare nei sondaggi in maniera terribile,
per realizzarsi, non credo che accadrà”, dice
Minc che non azzarda pronostici, ma mostra
una delusione senza appello: “Se fosse
un uomo, crollerebbe. Ma se fosse stato un
uomo, non sarebbe mai stato candidato”.
Marina Valensise
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A fool and his money can throw one hell of a party.
Sarkozy é molto meglio di fini....in ogni caso.
NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
RICOSTRUIAMO LA NOSTRA PATRIA !
Andrea I Nemesis
Rinascente
Affiliato a Azione Conservatrice Nazionale
Il liberalizzatore
“Riformista, supervolenteroso e più
a sinistra di Ségo”.
S’avanza tra i
liberal italiani la tentazione Sarko
Milano. Sarkozy il riformista. Il candidato
del centrodestra all’Eliseo, con le sue posizioni
nette e spiazzanti, piace ai settori più
aperti e modernizzatori del centrosinistra
italiano. “Quella di riformista – dice Franco
Debenedetti – non è una categoria incasellabile
nello schema destra-sinistra. Ci sono
riformisti da entrambe le parti: in Francia,
un riformista deve avere nel mirino lo statalismo,
la legge sulle 35 ore, il centralismo
amministrativo. Mi sembra che Nicolas
Sarkozy abbia una certa attenzione per questi
problemi, mentre l’avversaria Ségolène
Royal è ancorata a idee vecchie e di fatto
conservatrici. Trovo molto convincenti le tesi
espresse ieri sul Corriere della Sera da
André Glucksmann”. L’intellettuale della
gauche francese dichiarava la sua intenzione
di voto per il candidato della destra, “l’unico
a essersi impegnato a seguire la Francia
del cuore” e ad aver preso sul serio sia
l’esigenza di cambiamento del paese, sia i
problemi dei più deboli.
La tentazione del sarkozysmo di sinistra,
in Italia, è forte. “Lo inviteremo al supertavolo
dei supervolenterosi – scherza Daniele
Capezzone (Rosa nel pugno) – assieme a
Tony Blair, David Cameron, José Maria Aznar
e José Luis Zapatero. Dubito però ci sia
spazio anche per Ségolène. E’ un fatto che
tutte le novità della campagna d’Oltralpe
vengano da Sarkozy. E la sua sfida è tanto
più stimolante perché si gioca su un terreno
che la sinistra pare aver lasciato sguarnito”.
Sì, perché l’abilità di Sarko – che pure
è uomo che conosce e sa giocare il gioco
dei poteri forti – sta proprio nel tentativo di
coniugare riforme e pragmatismo, tensione
verso l’innovazione e capacità di muoversi
secondo le regole, anche quando non gli
piacciono. Come è accaduto con la vicenda
Enel/Suez: Sarkozy era contrario al matrimonio
forzato con Gaz de France per tenere
fuori gli italiani, ma alla fine ha accettato
(col mal di pancia) la forzatura di Dominique
De Villepin pur di non incrinare la
grandeur del suo paese (e i fatti potrebbero
infine dargli ragione, viste le difficoltà in
cui versa il progetto). Appunto: cambiamento,
ma con misura. Del resto, sottolinea
Francesco Giavazzi, “in passato Sarkozy si
è comportato come avrebbe fatto ogni altro
politico francese, cioè mettendo il presunto
interesse nazionale davanti a tutto: penso
alla sua difesa della lobby agricola e dei
contributi pubblici all’impresa. Se però il
Sarkozy della propaganda coincide con
quello reale, cosa che potremo capire solo
tra qualche mese, allora sì: decisamente
Sarko è a sinistra di Ségolène, nel senso
che rimuovere i privilegi è più di sinistra
del mantenerli”. D’altronde, le critiche di
Giavazzi possono essere generalizzate a
qualunque esponente del mondo politico
francese: il fenomeno Sarkozy nasce proprio
dal faticoso, contraddittorio, eppure visibile
e significativo tentativo di marcare la
differenza. Anche i socialisti francesi percepiscono
il problema, ma non sembrano
trovare una risposta convincente, forse
neppure cercarla: “Sia Sarkozy sia Ségolène
– nota Chicco Testa – sono in modo diverso
candidati nuovisti. Però, mentre Ségolène
non ha un contorno chiaro, il profilo
di Sarkozy è ben definito e questo senza
dubbio lo mette in vantaggio”.
“Tengo per lei, ma voterei per lui”
Se Nicola Rossi non si entusiasma (“vorrei
però che la destra italiana avesse un
suo Sarkozy”), Tito Boeri definisce Sarko
come “un pragmatico che mette assieme
populismo e liberalismo. Ha mostrato notevole
coraggio e capacità di guardare al di là
dell’immediato, investendo con un orizzonte
di medio o lungo periodo. Anch’io, dunque,
sento la mancanza di un Sarkozy nel
centrodestra italiano”. Apparentemente il
principale limite del candidato gollista sta
nella sua contiguità con certe pulsioni che
alla sensibilità della sinistra italiana sono
tradizionalmente estranee; ma prima che
essere pulsioni di destra, sono pulsioni
francesi. Natale D’Amico (Margherita) le
riassume così: “Non condivido le sue posizioni
rispetto all’Europa e ai campioni nazionali.
Ma vale anche per la Royal”. Ecco
il punto: Sarkozy non è perfetto per il palato
del centrosinistra, ma neppure Ségolène
lo è: le manca quel non-so-che che paradossalmente
fa di Sarkozy il candidato che i
riformisti vorrebbero ma non possono. Ancora
D’Amico: “Quella di Sarkozy resta una
figura affascinante, è naturale che i riformisti
possano avere simpatia per la sua
candidatura”. La simpatia – versione casual
del collateralismo – è il sentimento
che anche Antonio Polito (Margherita) prova
nei confronti del candidato gollista, “così
come mi suscita simpatia anche in Italia
ogni processo di modernizzazione della destra”,
precisa. E aggiunge: “Soprattutto
Sarko introduce un elemento di sana rottura
nella gestione dei rapporti transatlantici,
grazie al suo tentativo di recuperare un
rapporto costruttivo con gli Stati Uniti. E’
un uomo che sa interrogarsi e ha una visione
del destino del suo paese”. Senatore,
non dica che tifa per il campione della destra
francese? “Da militante del centrosinistra
europeo tengo per Ségolène, ma se fossi
cittadino francese voterei Sarkozy”.
Carlo Stagnaro
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A fool and his money can throw one hell of a party.
«Non nego la realtà e la legittimità dell’amore omosessuale. Non ha minore dignità dell’amore eterosessuale. Per le coppie omosessuali in Francia abbiamo i Pacs. Propongo di andare ancora più in là e creare un contratto di unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali»
Nicolas Sarkozy, candidato del centrodestra alle presidenziali francesi, il Foglio 7 aprile
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Una domanda sorge spontanea: Chi e' Sarkozy???
Sì, hai ragione!
Che siano gli sceicchi fondamentalisti a pagare le moschee!
Che siano i nababbi wahabiti arrichitisi sui petroldollari a mettere in piedi moschea ed imam, come pare a loro!
Se non si accetta la condizione di reimpatrio forzoso dell'immigrato (e si dovrebbe accettare, anzi, sostenere), si deve accettare l'idea di un islam controllato. E finanziando le moschee si ottiene il controllo di chi ci va a predicare.
Non ti va il santone uncinato?
Lo cacci fuori a pedate, e chiami chi ti dà garanzie di moderazione e sicurezza.
«Non ti fidar di me se il cuor ti manca».
Identità; Comunità; Partecipazione.
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