La festa del primo maggio è un'altra delle nostre bandiere. Le "belle bandiere" della sinistra. Un circolo rosso sul calendario, uno strumento di datazione che definisce il senso e la parabola di un'appartenenza. Come un personalissimo abbecedario dei ricordi, per cui sai perfettamente dove stavi e con chi eri, e in che piazza, quel primo maggio lì, in quell'anno là.

Una di quelle date che si trascina con sé, per intima solidarietà linguistica, il suo significato storico, la sua ragion d'essere: la festa dei lavoratori. Pronunciato tutto insieme: la-festa-dei-lavoratori. A definire, in un fiato solo, chi festeggia cosa. I lavoratori, identità sociale collettiva. Prima persona plurale, titolari di diritti acquisti a caro prezzo, nel corso degli anni, lungo faticose traiettorie di consapevolezza critica e attraverso pagine di conflitti durissimi.

Cinque giorni soli ci separano dal 25 aprile, una vicinanza non solo cronologica, ma sostanziale, tematica: perché, attenzione, sempre di liberazione si parla. Liberazione dal nazifascismo, lotta larga di resistenza capace di conquistarsi nel paese un altro e diverso consenso di massa da quello (acritico) che sorreggeva l'ideologia fascista. E liberazione del lavoro, trasformazione della prestazione lavorativa da grezzo dato biologico a narrazione popolare condivisa, stile di conflitto, esercizio di civiltà e di diritti. Figli legittimi, entrambi, di un Novecento grande e terribile, sulla cui scena sono entrati prepotentemente soggetti nuovi: in primis, quel movimento operaio senza il quale non ci sarebbe stata, in Italia, la democrazia per come l'abbiamo conosciuta (e per come l'abbiamo sempre criticata, e considerata perfettibile). La repubblica e il lavoro: territori "liberati", contigui, iscritti in radice nel testo della costituzione repubblicana. Che quelle due esperienze di liberazione le fondeva magistralmente, saldandole nella medesima matrice di principi.

Ma la festa del 25 aprile di quest'anno, a sinistra, è stata un'esperienza traumatica e angosciante. Una celebrazione rovesciata di segno, in cui abbiamo assistito, sopraffatti da un senso quasi ineluttabile di impotenza, al trionfo sfacciato dell'egemonia culturale della destra. Una prova di forza, incorniciata dal consueto apparato di amplificazione mediatica, capace di assimilare - di rubarci? - le nostre parole, e mortificarle, svuotarle dal di dentro.

La "festa della libertà", l'unità nazionale, la riconciliazione forzosa delle ragioni di vinti e vincitori, l'ecumenismo massmediatico di vittime e oppressori: una fiera di incubi sognati da altri.

E cosa ci resta, oggi, del primo maggio? Cosa, di quella festa "di parte", di quell'immaginario condiviso da donne e uomini, di un racconto custodito e coltivato storicamente nel campo della sinistra? E chi festeggia, oggi, il primo maggio, tra le generazioni disperse del nostro precariato, schiantate dalla crisi, mute, bandite da ogni possibilità di futuro? Chi lo percepisce ancora come "festa", e non, piuttosto, per un cinico rovescio semantico, come una indicibile vergogna privata, una fitta dolorosa e maledetta che evoca senza sosta il lavoro che non c'è? Il lavoro sporco, il lavoro a gettone, il lavoro a cottimo, il lavoro che mutila e uccide?

La macchina egemonica della destra procede come un rullo compressore, inanellando trionfi e sbianchettature storiografiche che, sottotraccia, contribuiscono a definire una nuova costituzione materiale e simbolica del paese. Stentiamo a capirla, ci viene addosso, la subiamo anche inconsciamente senza le lenti giuste per decifrarla. Ma è questa inedita "proiezione del cuore" che va sputtanata. Lo "stato delle cose". Quella mafia delle parole per cui se oggi dici "sfruttamento", se la morte bianca la chiami "delitto", ti ghignano addosso come un miserabile freak. Dice: ma non lo vedi dove va il mondo?

Noi però vogliamo andare da un'altra parte. E per farlo, serve un'onesta valutazione degli attuali rapporti di forza, come ti spiegavano i vecchi: quelli tra il repertorio di incubi sognati dalla maggioranza e i nostri, fragili, sogni di minoranza.

Chi festeggia cosa, oggi? Per capirlo, di qua in avanti, abbiamo bisogno del lavoro di tutti.

Buon primo maggio, sinistra.

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