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    Citazione Originariamente Scritto da UgoDePayens Visualizza Messaggio
    Comunque io ci andrei piano a giudicare in modo così tagliente il fenomeno "neo-con".
    A maggior ragione visto che, a parere di molti (Flavio Felice, ad esempio) l'"appendice" teo-con è da ascrivere totalmente alla corrente dei neoconservatori.

    E liquidare Weigel come "marxista" è una specie di eresia :P

    Ci sono aspetti del neoconservatorismo che, secondo me, vanno assolutamente salvati. La "moralizzazione", ad esempio.
    invece ha ragione italianhawk caro Ugo, poiché é vero che la corrente "neo-con" ha radici che provengono da ambienti marxisti, anzi direi più troskisty...
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  2. #12
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    Posto un pezzo che ho scritto qualche tempo fa

    _____________________________________________

    A DESTRA DEI PADRI: DA GOLDWATER A GEORGE W. BUSH

    Per Daniel Pipes, direttore del “Middle East Forum”, ma soprattutto illustre neoconservatore, un salone non particolarmente grande basterebbe per far entrare tutti i neocon americani. Se ne deduce allora che il presidente Bush abbia subito per troppo tempo gli umori e i capricci di un manipolo di salottieri. In politica estera certamente, ma si badi, anche negli affari domestici.

    Non è facile leggere la cosiddetta “destra” statunitense, categoria troppo semplicistica ed “europea” per definire l’arcipelago conservatore d’Oltreoceano. E ora, dopo le elezioni di medio termine che hanno sancito la revanche del partito democratico, lo scenario sul versante repubblicano è destinato a cambiare ancora: le azioni dei neocon cominciano a scendere.

    C’è un punto di partenza per capire l’assetto e l’evoluzione della destra americana. E’ la nascita dei salottieri di cui sopra. Lo spartiacque è la fine degli anni Sessanta quando un manipolo di intellettuali di estrazione marxista, al più di origine ebraica, passano a destra, delusi come sono da un partito democratico che ritengono fin troppo arrendevole in politica estera, oltre che insopportabilmente liberal sul fronte dei valori morali. Da qui parte la guerra intestina tra i vari tasselli del mosaico conservatore. A volte guerreggiata, a volte “fredda”. Altre volte ancora seppellita dalla necessità di presentarsi compatti contro l’avversario democratico. E tutta la storia, in realtà, inizia proprio da un’alleanza: l’ anno è il 1964. Il “movimento conservatore” che determinerà il trionfo di Ronald Reagan sedici anni più tardi, nasce politicamente all’indomani dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy.
    Alle presidenziali del ’64 l’ex vicepresidente democratico Lyndon B. Johnson sfida un coraggioso senatore dell’Arizona: Barry Morris Goldwater. L’esito è scontato: l’impatto emotivo dell’omicidio di Kennedy è tale da indurre gli americani a votare privilegiando il cuore all’appartenenza ideologica. Il senatore che veniva dal Sud è la vittima sacrificale del fantasma kennediano. Ma l’umiliazione repubblicana (38,4% delle preferenze contro il 61% raccolto da Johnson; 486 a 52 voti dei grandi elettori) rappresenta, per la verità, una straordinaria vittoria per il futuro movimento conservatore. Per la prima volta, infatti, tutte le pedine dello scacchiere antiprogressista si erano raccolte sotto l’ombrello repubblicano. Nessun candidato del Grand Old Party aveva potuto godere, fino a quel momento, di un sostegno intellettuale così ampio – e prestigioso-. Conservatori isolazionisti, neocon, liberisti, tradizionalisti cristiani e libertari uniti per lanciare un messaggio chiaro all’establishment del partito democratico: tutte le anime della destra americana erano pronte a trascurare le divergenze interne per federarsi contro il fronte progressista.
    Ayn Rand, Milton Friedman, Russell Kirk e William Buckley si somigliavano ben poco, ma la comune avversione alle dottrine stataliste e relativiste era bastata per accettare l’invito di Goldwater. Dalla speculazione all’azione: l’intesa intellettuale si traduce nella nascita di una serie di organizzazioni che sostengono la candidatura del senatore. La più significativa resta il “Draft Goldwater Movement” tra le cui fila si formeranno i futuri protagonisti del network.

    Tra il 1964 e il 1980, anno che vede la definitiva consacrazione del movimento con l’elezione di Reagan, la destra statunitense continua ad evolversi: si consolida l’ala neoconservatrice e assume crescente importanza la corrente cristiana. Ma nei sedici anni che separano i due eventi, il network – più o meno sfilacciato - è costretto a subire pesanti delusioni, prima fra tutte la presidenza Nixon. L’uomo che nel 1968 aveva alimentato le speranze dei conservatori in campagna elettorale, finisce per voltargli le spalle da inquilino della Casa Bianca. Le spese sociali superano per la prima volta i fondi destinati alla difesa e si moltiplicano le agenzie governative: per i fautori dello Stato minimo è un affronto intollerabile.

    Dimenticata la parentesi Ford, il momento del riscatto arriva con l’ex governatore della California Ronald Reagan, l’ “uomo della provvidenza”, capace di detronizzare il presidente uscente Jimmy Carter con una vittoria plebiscitaria (489 voti elettorali contro i soli 49 dello sfidante democratico). Reagan lo aveva sempre sostenuto: è possibile vincere solo se il partito repubblicano interpreta le istanze più profonde del movimento conservatore. E per la prima volta non era stato il network a doversi piegare sulle esigenze del GOP.

    Dal trionfo dell’ex governatore della California al duplice mandato di George W. Bush di acqua sotto i ponti ne è passata fin troppa. Un Bush padre appena sopportato dalla pancia del movimento, un muro in meno, due aerei infilzati in due torri, due guerre in Iraq, una in Afghanistan: e sono soltanto gli eventi più eclatanti. La destra americana nel frattempo è molto cambiata. Ha smesso i tradizionali panni isolazionisti per dedicarsi all’esportazione della democrazia e alla diffusione del modello americano su scala globale. I famosi ospiti del salotto ne sono stati i fautori ma dopo le ultime elezioni di “mid-term” qualcosa è cambiato. E molto cambierà in futuro. Il disastro iracheno ha fatto perdere ai repubblicani il controllo della Camera e del Senato e ora i “vecchi conservatori” (i “paleocon” isolazionisti alla Buchanan) si prendono una bella rivincita. Non hanno mai digerito quegli ex marxisti guerrafondai e speravano da molto tempo che la congrega di Kristol – Bush compreso - ci lasciasse le penne.

    Ora la partita si sposta sul tavolo della prossima nomination repubblicana. McCain, Giuliani, Jeb Bush o un outsider: comunque vada la destra americana avrà un’altra faccia. Con qualche “neo” in meno.

    Italianhawk

  3. #13
    franco.tiratore
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    In questi discorsi c'è troppo idealismo rispetto alla prospettiva profondamente pragmatica di un conservatore. Storicamente i conservatori sono stati gruppi non strutturati, sorti in realtà delimitate e con obiettivi molto precisi, ma senza una dogmatica base di idee, senza uno statuto definito. Secondo me è fuori luogo rifersi ad una realtà così diversa dalla nostra, mentre sarebbe coerente un punto di vista più nazionale e più nazionalista.

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da franco.tiratore Visualizza Messaggio
    In questi discorsi c'è troppo idealismo rispetto alla prospettiva profondamente pragmatica di un conservatore. Storicamente i conservatori sono stati gruppi non strutturati, sorti in realtà delimitate e con obiettivi molto precisi, ma senza una dogmatica base di idee, senza uno statuto definito. Secondo me è fuori luogo rifersi ad una realtà così diversa dalla nostra, mentre sarebbe coerente un punto di vista più nazionale e più nazionalista.
    Dici il vero: l'internazionalismo sinistrorso non è un criterio applicabile alla piattaforma delle forze nazionali e conservatrici.
    Non per questo però, da Edmunde Burke in poi, non si è proceduto a una "sistematizzazione" del pensiero conservatore muovendo dall'avversione per il giacobisismo rivoluzionario e plasmando lentamente l'agenda dei futuri soggetti conservatori: identità nazionale, concezione spirituale della vita, realismo, liberismo, anticentralismo...

  5. #15
    franco.tiratore
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    Citazione Originariamente Scritto da Italianhawk83 Visualizza Messaggio
    Dici il vero: l'internazionalismo sinistrorso non è un criterio applicabile alla piattaforma delle forze nazionali e conservatrici.
    Non per questo però, da Edmunde Burke in poi, non si è proceduto a una "sistematizzazione" del pensiero conservatore muovendo dall'avversione per il giacobisismo rivoluzionario e plasmando lentamente l'agenda dei futuri soggetti conservatori: identità nazionale, concezione spirituale della vita, realismo, liberismo, anticentralismo...
    Il conservatorismo storicamente è un movimento organizzato contro il cambiamento in modo più o meno spontaneo. Le forze conservatrici in Italia sono stataliste, pro-sindacati, pro-burocrazia, fiscaliste, centraliste, pro-minoranze, politicamente correttissime, esteriormente laiche ma che nuotano nella cultura cattolica, vagamente atlantiche, simpatizzanti per gli arabi e supinamente europeiste. Che coincide con l'allarmante ritratto dei partiti di governo e di opposizione.
    Il conservatorismo come lo intendono in molti qui può essere definito tale rispetto alla realtà americana. Da quel punto di vista credo di essere un consevatore, ma quando guardo in casa mia mi sento davvero un Liberale.

 

 
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