uno stato che non controlla la rete di comunicazioni non puo' non avere dei problemiAPPUNTONon si parla di nazionalizzare la telecom, al massimo si parla delal rete. Questo secondo caso è assolutamente necessario
Continui a non capire il discorso.
Si tratta di separare la Telecom in due:
1. la proprietà della rete, che è opportuno che resti italiana, in quanto infrastruttura primaria strategica (così come gli acquedotti o le infrastrutture che erogano energia)
2. la gestione dei servizi, che invece deve continuare a essere affidata ai provati
La stessa cosa si fa in molti altri Paesi (l'esempio che si vuole seguire è quello inglese).
è tardi per fare un discorso di questo genere
Da Repubblica online del 5 aprile 2007
Perché un telefono è diverso da un aereo
di Carlo Clericetti
Bell Labs, i laboratori di ricerca della AT&T, sono diventati famosi per produrre un brevetto al giorno, 365 l’anno. Anche Telecom Italia, ovviamente, ha un settore ricerca, anche se le dimensioni non sono comparabili. Nel 2006 ha prodotto 63 brevetti, un po’ più di uno a settimana. Ma non sarebbe proprio il caso di farsi sfuggire magari un sorrisetto di compatimento. Nel 2006 gli investimenti industriali totali di Telecom sono stati di 5.114 milioni di euro, e i due terzi di questi, 3.200 milioni, sono stati destinati a “ricerca, sviluppo e innovazione”. Su un fatturato complessivo di gruppo di 31.275 milioni, significa giusto il 10%. Ebbene, è il caso di ricordare che lo stesso rapporto a livello nazionale (spesa per ricerca pubblica e privata rispetto al Pil) raggiunge a fatica l’1%, contro una media europea vicina al 2 e contro rispettivamente il 2,7 e il 3,2 di Stati Uniti e Giappone.
Ricordare che Telecom spende in ricerca circa il decuplo della media nazionale non sembra inutile nel momento in cui è in corso un dibattito fra i sostenitori dell’”italianità” dell’azienda e quanti affermano che il passaporto del proprietario non ha alcuna importanza, se il servizio fornito è buono. Tra questi ultimi va annoverato Bill Emmott, l’ex direttore dell’Economist diventato famoso in Italia per i suoi attacchi a Berlusconi, che ha affidato al Corriere della Sera un commento di sconcertante superficialità in cui sostiene che chi cercasse di ostacolare la vendita all’AT&T sarebbe soltanto “un mascalzone” e che, anche se proprietario diventasse uno straniero, “la ‘risorsa italiana’ non verrà smontata e portata via”. Ora, Emmott di sicuro ha ragione per quanto riguarda i cavi e le centrali, ma che se ne farebbe la AT&T del settore ricerca della Telecom, visto che di ricerca ne fa abbondantemente a casa sua? Tutto quel settore diventerebbe assolutamente superfluo, nella logica di una multinazionale alla costante ricerca di duplicazioni
di costi da eliminare.
E allora, l’Italia avrebbe probabilmente un buon servizio di telefonia (probabilmente: non si vede perché dovrebbe essere scontato che la gestione AT&T sarebbe migliore dell’attuale), ma, con assai maggiore probabilità – per non dire con certezza – perderebbe il settore ricerca della Telecom, che sarebbe ridimensionato se non addirittura soppresso.
i sono casi in cui far di tutto per mantenere l’”italianità” delle aziende non è una questione di sciovinismo o di patriottismo, ma semplicemente un modo per evitare che il paese perda gli ultimi caposaldi dell’industria avanzata e si riduca ad essere nient’altro che la “Disneyland archeologica” del mondo. La Telecom è certamente uno di questi casi, a differenza per esempio di Alitalia, azienda di servizi che non è depositaria di particolari tecnologie, o di Autostrade (di cui, semmai, sarebbe da discutere la privatizzazione): qui sì vale il principio dell’indifferenza del passaporto del proprietario. Stupisce che molti non percepiscano quanto questi problemi siano diversi.
Sottoscrivo fino all' ultima virgola. Al solito, in queste questioni, si tende a privilegiare questa o quell' ideologia (vedi Capezzone) senza analizzare le singole situazioni. Vero è che in Italia i politici sono per lo più avvocati e, quindi, capiscono poco o nulla di politica industriale e di ricerca e innovazione tecnologica, ma a tutto c'è un limite. Quasi quasi, sarei per le "quote", invece che per le donne, per i laureati in materie tecnico-scientifiche (includendo naturalmente anche le lauree in Economia).
SMEMBRARE UNA SOCIETA' FORTE,che ha bisogno solo di una ristrutturazione è sbagliato,....
ke kazzo di paragoni fai...con L'ACQUA ....quella SERVE per vivere....la TUA "RETE" NON SERVE PER PIGLIARE PESCI!
lo stato DEVE FAR FUNZIONARE I SERVIZI PRIMARI....SCUOLA...SANITA'.....ne è capace?...A ME PARE DI NO...QUINDI...VENDERE (NON SVENDERE)...TELECOM E SE TU VUOI IL SERVIZIO....PAGHI....SE NO MANDA SEGNALI DI FUMO
Uno stato dovrebbe preoccuparsi dei cittadini e non degli investitori di borsa.
Negli ultimi 15 anni i politici italiani conniventi con i grandi gruppi finanziari , hanno svenduto il patrimonio di aziende pubbliche che l'Italia possedeva.
Stiamo giocando al massacro con delle presunte leggi di mercato e della concorrenza assolutamente inesistenti, è stata privatizzata l'acqua, i carburanti, l'energia e elettrica, i telefoni.
Le aziende private si sono mangiate i liquidi e hanno lasciato solo un mucchio di debiti e di disservizi, spesso truffando i cittadini, utenti ignari.
Non è accettabile che uno stato moderno non si preoccupi della maggioranza delle persone che ne fanno parte, anzi, non si preoccupa nemmeno delle minoranze meno abbienti.
Ma vaffanculo liberismo!
Bisogna nazionalizzare la rete, poi la struttura commerciale vada a chi offre di più.