Originariamente Scritto da
Bardamu
un contributo dal sito di alleanzacattolica.
Il Concordato del 1801, come scrive l'ambasciatore austriaco Coblentz al suo governo, è opera del solo Napoleone, giacché "tutte le altre gerarchie dello Stato vi erano contrarie" (22). Non che Napoleone fosse spinto a questo gesto da simpatie per i cattolici; membro dell'Istituto e vicino al gruppo detto degli "ideologi" coltivava piuttosto il razionalismo, e il gesto del 1801 derivava da un calcolo politico e dal desiderio di porre fine alle insurrezioni — sempre riemergenti, nonostante i massacri — del popolo cattolico dell'Ovest. In ogni caso con il Concordato si chiude una fase, e un'altra se ne apre. La data del 1801 può così essere assunta come punto di riferimento per un primo bilancio. Che cosa era accaduto alla religione cattolica in Francia fra il 1789 e il 1801? E chi aveva vinto? Molti testi di autori cattolici pongono l'accento sul coraggio dei martiri, sul fervore della resistenza, sull'epopea vandeana. È certamente merito di questa resistenza se la Rivoluzione non ha conseguito il suo scopo più radicale, se il Dio dei cristiani, messo per un certo periodo fuorilegge, non è veramente diventato straniero in Francia. Tuttavia non sembra neppure lecito concludere che abbia "vinto" la Chiesa, né sul piano istituzionale né sul piano culturale. Dal punto di vista delle istituzioni Napoleone rifiuta di definire la religione cattolica "religione del governo di Francia", e ci si deve accontentare della formula "religione della grande maggioranza dei francesi". Nei fatti, se non nelle parole, è la separazione dello Stato dalla Chiesa: meno della separazione dello Stato da qualunque valore religioso e da Dio che si erano augurati i rivoluzionari, ma anche meno dell'ideale per cui avevano combattuto i cattolici. Sul piano culturale le prime valutazioni attendibili, che risalgono agli anni 1820-1825, attestano — placata la tempesta rivoluzionaria e poi napoleonica — un calo notevolissimo della pratica religiosa, valutata fra il cinquanta e il sessanta per cento in Francia e intorno al trenta per cento a Parigi (23). Da questo punto di vista, anche se "non si tratta di abbassare l'altezza della resistenza spirituale, ma di dare una misura più giusta alla sua estensione", non si può non concludere — ancora con Jean de Viguerie — che "si deve ammetterlo: la Rivoluzione è riuscita nella sua scristianizzazione", almeno da un certo punto di vista (24). "Quello che è eroico non è necessariamente generale" (25), il che spiega perché la Chiesa non si auguri temerariamente le persecuzioni, pur esaltando l'eroismo dei martiri che nei periodi di persecuzione trova occasione per rifulgere. In verità i cattolici dopo la Rivoluzione francese si trovano di fronte a una situazione nuova, che non avevano fino ad allora conosciuto: dall'unanimità passano al pluralismo dottrinale e ideologico, in cui i cattolici convinti di essere tali rappresentano più o meno la metà dei francesi, mentre l'altra metà non è composta solamente da seguaci di altre religioni, ma conta una fascia consistente di agnostici, non pochi atei e un buon numero di persone che vedono nella Chiesa un avversario. Le conseguenze di questa mutazione su tutti i piani culturali sono enormi: la stessa dottrina della Chiesa dovrà, per gradi, essere presentata in modo diverso, tenendo conto del fatto costituito dal pluralismo dottrinale. Basterebbe questo solo enorme rivolgimento di prospettive per far considerare la Rivoluzione francese come un avvenimento decisivo nella storia anche religiosa dell'Occidente.
Sul Concordato è stato un precursore di Mussolini, su quasi tutto il resto del Fuhrer.