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  1. #21
    ian mono
    Ospite

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    La ricchezza dei contributi offerti mi induce a trascrivere qualche brano di Raphael, un moderno advaitin, a cui si devono la traduzione e la pubblicazione di diverse opere tradizionali indù, upanisad e scritti di Sankara (oltre ad opere personali).
    Quanto segue è estratto dal suo commento alla Bhagavadgita (edizioni asram vidya):

    <...> Il Sé, essendo l'Assoluto, non può cadere nel relativo nè individuarsi nè trasmigrare; non può diventare parte o molteplicità. Così, ciò che si individua non è altro che un semplice raggio, la proiezione-jiva o anima peregrina. Analogicamente possiamo definirlo l'elettrone vagante che produce azione e ne raccoglie il frutto. Il jiva è un "fenomeno luminoso", è "un'apparenza luminescente", un riflesso dell' atman sottoposto, però, alla legge della dualità, quanto dire del tempo-spazio. L'atman è lo schermo su cui appaiono delle "immagini luminose" che vanno e vengono, seguendo la linea di minor resistenza. Il moto può determinarsi proprio perchè c'è questo schermo immobile che lo mette in risalto. Tutto "appare", prende luce e si muove in virtù di questa Esistenza.
    Per l'Assoluto lo scenario della vita è solo un giuoco di luci-ombre, come il sogno è solo luminescenza oggettivata dalla mente e ha valore nella misura in cui il soggetto-sognatore gli dà attenzione ed importanza.
    Il jiva, pergrinando nel mondo del divenire, accumula tendenze, disposizioni, attitudini, qualità (samskara) e per soddisfarle si appropria o si costruisce determinati corpi o veicoli di espressione < 1 >. E' così che questo "corpuscolo luminoso", seguendo la legge di attrazione-repulsione (dualità), trasmigra, si muove, sui diversi piani, apparendo oggi un personaggio, domani un altro; oggi svelando armonia, bellezza, infinitezza, conoscenza, ecc., domani disarmonia, bruttezza, finitezza, ignoranza, ecc., secondo la sua direzione o moto vettoriale deliberante. Per la sua condizione duale può assimilarsi a ogni possibile coppia di opposti, con tutte le conseguenze che questi aspetti polari possono, ovviamente, produrre.
    L'ignoranza di Arjuna esiste perchè il jiva-Arjuna ha in sé la virtualità di eprimerla, come ha la virtualità di esprimere la conoscenza con la sua relativa, positiva e vantaggiosa conseguenza; quella conoscenza che egli cerca di ottenere mediante l'insegnamento di Krsna. <...>

    "Esse sono due nascoste nel segreto dell'infinito: la conoscenza e l'ignoranza; l'ignoranza è peritura, la conoscenza è immortale. Diverso da esse, però, è colui che governa a un tempo la conoscenza e l'ignoranza".
    Svetasvatara Upanisad, V, 1 (pagg. 54-55, 59)

    NOTA
    < 1 > In ordine dal superiore all'inferiore:
    (Atman) - Anandamayakosa - Buddhimayakosa - Manomayakosa - Pranamayakosa - Annamayakosa.
    Nello schema presente nel libro, vi è quest'altra interessante suddivisione:
    Le prime due "guaine", Anandamayakosa e Buddhimayakosa, costituiscono il Jivatman, che l'autore denomina "Anima". Dopo una linea di demarcazione (Individualità umana), troviamo l' Ahamkara o "senso dell'io" ed il "riflesso di coscienza incarnato". Questi ultimi due fattori sarebbero costituiti dalle altre tre guaine, cioè Manomayakosa, Pranamayakosa ed Annamayakosa.
    Si spera che chi legge conosca almeno sommariamente questi termini e ciò che essi rappresentano; sarebbe eccessivamente lungo, infatti, trascrivere la dettagliata spiegazione dell'autore.


    Ci viene in aiuto anche quest'altra argomentazione, tratta dallo stesso libro, circa il "senso dell'io" o ahamkara:

    <...> Se in via sperimentale consideriamo il problema nella sua integralità dobbiamo convenire che l'io, o meglio il senso dell'io, non esiste distinto dai processi. Possiamo anzi dire che il "senso dell'io" è un altro processo da aggiungere alla sensazione-percezione, ecc., e il tutto, in definitiva, appartiene alla categoria mentale.
    L'io, dunque, è una categoria mentale. Se, per esempio, con la tecnica yoga del pratyahara (ritiramento dei sensi-processi) ci poniamo in una condizione di silenzio o quiete mentale, il senso dell'io scompare.
    L' io emerge quando sussiste un processo pensativo, quando si mettono in moto i processi psichici. L'io di oggi non è quello di ieri, l'io di veglia non è quello di sogno e l'io di un individuo non è lo stesso io di un altro individuo, e così via. Ciò può avvenire proprio perchè trattasi di un processo sensoriale alla stregua di tutti i processi psichici.
    Per lo yoga, l' ahamkara, possiamo dire, è consustanziale al manas, il pensiero individuato; quando questo si acquieta o sparisce, l'io parimenti sparisce, così come la sensazione scompare con l'astrazione-pratyahara.
    In fondo, la precisa configurazione dell'anatta (negazione della sostanzialità dell'io) del Buddha trova riferimento in ciò che abbiamo detto. Egli non nega il Sé in quanto esistenza pura nirvanica, ma la nozione dell'io in quanto centro autonomo e indipendente dai processi psichici.

    "Perciò io dico che il Tathagata ha realizzato la liberazione ed è, quindi, affrancato dall'attaccamento, poichè ogni tipo di immaginazione, di agitazione, arrogante concetto che si riferisce a un io o qualsiasi cosa che sia pertinente a un io, è perita, si è gradatamente dissolta, è cessata, è stata mandata via ed abbandonata".
    Majjhimanikaya, 72 (pagg.178-179)


    Ho sottolineato l'ultima parte perchè getta un'importante luce su di una questione che, se può esistere da un certo punto di vista, scompare se osservata da un punto di vista superiore o più ampio. Si tratta di un'antica disputa tra buddhisti ed induisti che può essere tranquillamente pacificata, se viene fatto un sincero sforzo di comprensione (per chi non la conosce mi scuso se vi alludo solamente, ma delinearla richiederebbe una digressione troppo ampia dall'argomento centrale); mi pare, inoltre, un ottimo invito a considerare, per chi non lo fa già, la straordinaria ricchezza che ci viene offerta dalla Tradizione Buddhista, con la molteplicità delle dottrine in essa contenute.
    Per chi ha della difficoltà ad accostarla alla sublime Tradizione Indù, può provare, magari, a leggere qualche insegnamento dello Dzog-chen, la "Grande Perfezione", da alcuni ritenuto il culmine dell'insegnamento buddhista.
    Insisto su questo argomento perchè mi sta particolarmente a cuore.
    Per lungo tempo, infatti, ho portato nella coscienza una dolorosa frattura tra il Buddhismo e l'Induismo (Vedanta, in particolare). Pur amando entrambe queste Tradizioni, non mi riusciva proprio di conciliarle.
    Un'immagine che mi è stata offerta ha svolto una notevole funzione sintetica: la clessidra.
    Se si considera la Tradizione Indù come una parte della clessidra e la Tradizione Buddhista come l'altra parte (a ciascuno la facoltà di determinare l'inferiore e la superiore..), ci si accorge che per trovare il nesso che le tiene unite e distinte, occorre concentrarsi sul punto centrale della struttura doppia, laddove passa quell'impercettibile filo di sabbia che segna il tempo. Se si vuole passare da una parte all'altra al fine di poterle comprendere entrambe, bisogna "essere la sabbia"; riuscendoci, si realizza che è la stessa sabbia che si trova in entrambe le porzioni della clessidra. E' altrettanto importante, per un'appropriata comprensione, ricordare, alla fine, di "girare la clessidra" (come in alto, così in basso)..

    Essendo la precedente un'immagine simbolica, se appropriatamente utilizzata consente di conciliare non solo l'apparente divergenza presa in esame, ma tutte le altre (apparenti) divergenze simili nelle quali la nostra coscienza, spesso, rimane incagliata, non riuscendo a fluire liberamente con il fiume della vita..

  2. #22
    ian mono
    Ospite

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    Se qualcuno è interessato all'argomento, e vuole provare un "approccio occidentalizzato" alla dottrina della reincarnazione e quella del karma, può trovare a questo indirizzo: http://www.rosacroce.it/ un libro sotto certi aspetti molto interessante, dove la questione è affrontata in maniera pratica e dettagliata, in un linguaggio ben comprensibile alla mente razionale-analitica, il manas della dottrina Indù, con la quale la nostra coscienza è abitualmente identificata nel normale stato di veglia.
    Quest'opera è denominata La Cosmogonia dei Rosacroce, ed il suo autore è Max Heindel.
    Ne "incollo" solo qualche passo per evidenziarne il "timbro", così da poter valutare se il tipo di approccio all'argomento può interessare o meno:


    LA REINCARNAZIONE E LA LEGGE DI CONSEGUENZA

    Solamente tre teorie degne di nota sono state avanzate per risolvere l'enigma della Vita e della Morte. <...>
    Ogni grande legge della natura deve necessariamente essere in armonia con tutte le altre. Sarà perciò utile che lo studioso esamini queste teorie in relazione con ciò che generalmente si ammette come «leggi riconosciute della natura», come vengono osservate in quella parte dell'universo che ci è familiare. Le tre teorie in questione sono le seguenti:


    I. La teoria Materialistica, la quale sostiene che la vita è un viaggio dalla culla alla tomba, che la mente è il risultato di certe correlazioni della materia, che l'uomo è la più grande
    intelligenza del Cosmo e che la sua intelligenza perisce col disintegrarsi del corpo dopo la morte.


    II. La teoria Teologica, la quale asserisce che ad ogni nascita una nuova anima entra nell'arengo della vita, direttamente dalla mano di Dio, passando da uno stato invisibile, attraverso la porta della nascita, all'esistenza visibile; che alla fine di un breve periodo di
    vita nel mondo materiale se ne va attraverso la porta della morte nel mondo invisibile dal quale non farà ritorno; che qui la sua felicità o la sua sofferenza è decisa in eterno dalle sue azioni compiute nel brevissimo periodo di tempo che intercorre fra la vita e la morte.


    III. La teoria della Reincarnazione, la quale insegna che ogni Spirito è parte integrante di Dio e racchiude tutte le possibilità divine come il seme racchiude la pianta; che per mezzo di ripetute esistenze in un corpo terrestre suscettibile di graduale perfezionamento, le possibilità latenti sono lentamente sviluppate in potenza dinamica; che nessuno si perdedurante questo processo; ma che tutta l'umanità raggiungerà da ultimo la meta della perfezione e della riunione con Dio.


    La prima di queste teorie è monistica. Tende a spiegare tutti i fatti dell'esistenza come
    processi nell'ambito del mondo materiale. Le altre due teorie si accordano nel loro dualismo, ossia esse ascrivono alcuni dei fatti e delle fasi dell'esistenza ad uno stato superfisico invisibile, ma differiscono largamente su altri punti.
    Se studiamo la relazione che intercorre fra la teoria materialistica e le leggi conosciute
    dell'universo, troviamo che la continuità dell'energia è altrettanto bene stabilita quanto la continuità della materia e che né l'una né l'altra hanno bisogno di delucidazione. Sappiamo anche che materia ed energia sono inseparabili nel Mondo Fisico. Ciò è contrario alla teoria materialistica la quale ritiene che la mente perisca con la morte. Se nulla può essere distrutto, neppure la mente può essere distrutta. Inoltre sappiamo che la mente è superiore alla materia, poiché modella i lineamenti del viso così che questa diviene un riflesso o specchio della mente.
    Abbiamo scoperto che le molecole del nostro corpo cambiano continuamente; che almeno una volta ogni sette anni avviene un mutamento in ogni atomo di materia che lo compone. Se la teoria materialistica fosse corretta, la coscienza dovrebbe essere sottoposta a un radicale cambiamento con nessuna memoria di ciò che precedette, e l'uomo non potrebbe perciò ricordare un qualsiasi evento per più di sette anni. Sappiamo che così non è. Noi ricordiamo gli eventi della nostra infanzia. Molti dei più banali incidenti, anche se dimenticati dalla coscienza ordinaria, sono stati distintamente ricordati nella visione della vita trascorsa, da persone in procinto di annegare che hanno raccontato l'esperienza dopo essere state salvate. Esperienze simili, in stato di trance, sono pure comuni. La teoria materialistica è incapace di spiegare queste fasi di sub e supercoscienza. Essa le ignora. Allo stato attuale delle ricerche scientifiche, quando scienziati eminenti hanno stabilito senza alcun dubbio l'esistenza di questi fenomeni, cercare d'ignorarli è molto imbarazzante per una teoria che pretende di risolvere i maggiori problemi della vita, anzi la Vita stessa.
    Possiamo dunque liberamente passare dalla teoria materialistica che è inadeguata a risolvere il mistero della vita e della morte, alla teoria seguente.


    Una delle più serie obbiezioni alla dottrina teologica ortodossa, come essa viene esposta, è la sua manifesta insufficienza. Delle miriadi di anime che sono state create e che hanno abitato su questo Globo dal principio del Mondo, anche se tale principio datasse da non più di seimila anni, l'insignificante numero di 144.000 anime deve salvarsi! 1. Il resto dovrà essere torturato per l'eternità. Il diavolo trionfa. Non si può fare a meno di dire con Buddha: «Se Dio permette una tale calamità Egli non può essere buono, e se non può impedirla non può essere Dio».
    Nulla nella natura si attaglia ad un metodo di creazione cui fa seguito la distruzione. Si afferma che Dio desidera che TUTTI siano salvati e che Egli è contrario a ogni distruzione avendo per la salvezza di tutti dato «il Suo proprio Figlio», e tuttavia questo «glorioso piano di salvezza», non riesce a salvare!
    Se un transatlantico con duemila anime a bordo, annunziasse con radio-messaggio che sta per affondare ad alcune miglia dal porto, sarebbe forse un «glorioso piano di salvezza» che un veloce motoscafo capace di salvare solo due o tre persone fosse mandato in suo soccorso?
    Certamente no! Vi sarebbe piuttosto da denunciarlo come un «piano di distruzione» se non si provvedessero dei mezzi adeguati per la salvezza della maggior parte dei naufraghi.
    Ma il piano teologico di salvezza è molto peggiore di questo, perché due o tre su duemila è una proporzione immensamente più grande dell'ortodossa teoria teologica di salvare solamente 144.000 delle miriadi di anime create. Possiamo tranquillamente rigettare anche tale teoria come non corretta perché irragionevole. Se Dio è onnisapiente deve avere ideato un piano molto più efficace. Egli lo ha fatto, e quella su accennata è solo una teoria per teologi.
    L'insegnamento della Bibbia è molto diverso, come vedremo in seguito.

    Consideriamo ora la dottrina della Reincarnazione che presume un lento processo di sviluppo, condotto con inflessibile persistenza attraverso numerose reincarnazioni, in forme di crescente efficienza per le quali tutti sono, col tempo, portati ad una elevatezza di splendore spirituale che per ora non ci è possibile concepire. Non vi è nulla di irragionevole né di difficile ad accettare tale teoria. Guardando intorno a noi troviamo ovunque nella natura, questo sforzo nella ricerca della perfezione in maniera lenta, ma persistente. Non troviamo alcun improvviso processo di creazione o di distruzione come il teologo afferma; ma troviamo «Evoluzione».
    L'Evoluzione «è la storia del progresso dello Spirito nel Tempo». Ovunque, vedendo intorno a noi i vari fenomeni dell'universo, ci rendiamo conto che il sentiero dell'evoluzione è una spirale. Ogni sua spira è un ciclo. Ogni ciclo s'immerge nel seguente, poiché le spire sono continue, ogni ciclo essendo il prodotto perfezionato dei precedenti e il creatore degli stati più perfetti che gli succedono.
    Una linea retta non è che l'estensione di un punto. Non occupa che una dimensione nello spazio. La teoria del materialista e quella del teologo sarebbero simili a questa linea. Il materialista fa cominciare la linea della vita dalla nascita e, per coerenza, l'ora della morte deve terminarla. Il teologo comincia la sua linea con la creazione dell'anima appena poco prima della nascita. Dopo la morte l'anima continua a vivere e il suo destino è irrimediabilmente determinato dalle azioni di pochi brevi anni di vita. Non c'è nessun ritorno per correggere gli errori. La linea continua diritta, essa implica un minimo di esperienza, e nessuna elevazione per l'anima dopo la morte.
    Il progresso naturale non segue una linea retta come queste due teorie implicano, e nemmeno un sentiero circolare, poiché questo equivarrebbe ad un ciclo infinito delle stesse esperienze e l'uso di solo due dimensioni nello spazio. Tutto si muove in cicli progressivi, e per ottenere il massimo vantaggio da tutte le occasioni di avanzamento offerte dal nostro tridimensionale universo, è necessario che la vita evolventesi segua il sentiero tridimensionale (la spirale), che va sempre avanti e verso l'alto.
    Sia che consideriamo la modesta pianta del nostro giardino o che ci rechiamo in California nel distretto del legno rosso, per esaminare una delle gigantesche piante di sequoia dal diametro di dodici metri, troviamo sempre la stessa cosa; troviamo cioè che ogni ramo, ramoscello o foglia cresce in singola o doppia spirale o in coppie opposte, una bilanciando l'altra, analogamente al flusso e riflusso, alla notte e al giorno, alla vita e alla morte e alle altre attività alternantisi nella natura.
    Esaminate l'arco della volta celeste e osservate le nebulose infuocate o il cammino dei
    sistemi solari: ovunque l'occhio incontra la spirale. Nella primavera la Terra si libera dal suo bianco lenzuolo ed emerge dal suo periodo di riposo, il sonno invernale. Tutte le attività sono impiegate per portare ovunque nuova vita. Il tempo passa. Il grano e l'uva maturano e vengonoraccolti. Nuovamente l'attiva estate svanisce verso il silenzio e l'inattività dell'inverno.
    Nuovamente un candido manto nevoso copre la Terra. Ma il suo sonno non è eterno; essa si risveglierà al canto della nuova primavera che segnerà per lei un altro piccolo progresso lungo il sentiero del tempo.
    Lo stesso dicasi del Sole. Sorge al mattino di ogni giorno, ma ogni mattino è sempre più avanti nel suo cammino attraverso l'anno.
    Ovunque la spirale: avanti, verso l'alto, per sempre!
    È mai possibile che questa legge, così universale in ogni regno, non operi nella vita dell'uomo? <...> (pagg. 80-82)


    Un saluto amichevole.

  3. #23
    ian mono
    Ospite

    Predefinito

    E così, anche se il discorso non è stato completato, dobbiamo lasciarlo al punto in cui si trova, nell'auspicio che a qualcuno possa essere stato utile, se non a comprendere a fondo questo argomento così complesso, almeno a mettere in dubbio qualcuna di quelle false certezze che, come nuvole in un mattino d'estate che ci impediscono di godere della luce e del calore del sole, si interpongono tra la nostra coscienza ed il radioso splendore della verità.
    Qualche messaggio addietro avevo chiesto di essere avvisato dal responsabile della discussione nell'ipotesi che l'argomento in questione fosse stato ritenuto non in linea con l'argomento centrale di questo forum.
    Non è arrivato alcun avviso; ciò che è accaduto, invece, è stato il cambiamento, da parte di ignoti, del titolo di questa discussione.
    Quando l'ho aperta, come ricorderà chi si è interessato a questa discussione, era intitolata:

    "Guenon e la questione della reincarnazione".

    Adesso invece si chiama:

    "le pseudo-dottrine reincarzioniste".

    Come ciò sia avvenuto, non saprei.

    Lascio a chi ha seguito e collaborato a queste idee il giudizio dell'accaduto.
    A chi è responsabile di questa azione, invece, oltre a ricordare che la maggior parte dei brani trascritti sono strettamente appartenenti alla più ortodossa Tradizione Indù, rispondo con il vangelo:

    In verità vi dico: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". (Mt 21, 31)

    Purtroppo, il timore di perdere "ciò che si crede di avere" talvolta è così grande che può indurre a rinnegare la nostra parte migliore, che è pura luce, amore e verità e ad agire con il lato oscuro di noi stessi.
    Gesù ebbe a rimproverare duramente quelli che, ai suoi tempi, operavano in tal modo:

    <...> Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattéri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente.

    Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci .

    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. <...>

    Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!

    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. <...> (Mt 23)

    Prima di terminare il nostro discorso, tuttavia, in ossequio al titolo ed all'intenzione originale di questa discussione, trascrivo alcuni brani del libro di Paul Chacornac, Vita semplice di Renè Guenon, autore stimato ed amato oltre che per la sua grandiosa opera letteraria, per la sua grande umanità:

    <...> Renè Guenon, che fino ad allora si era isolato nel suo lavoro, talvolta usciva la sera, per recarsi da amici intimi o a qualche concerto, sempre accompagnato dalla moglie, ottima musicista. Preferiva comunque le serate in famiglia, e leggeva mentre sua moglie suonava il pianoforte in sordina. Aggiungiamo che era sempre di buon umore. <...> Tra gli amici intimi che Guenon amava incontrare la sera c'erano il dottor Grangier, il suo medico, che abitava in boulevard de Courcelles, e il signor Vreede, che abitava in rue Servandoni e che vedeva quasi tutti i giorni. Guenon allora era bibliotecario del Centre d' Etudes Neerlandaises dell' Università di Parigi.
    Anche Vreede frequentava l'appartamento in rue Saint-Louis-en-l'Ile. Ci disse: "Ho assistito spesso a delle conversazioni, che si prolungavano fino a notte inoltrata, durante le quali, benchè fosse stanco, Guenon rispondeva con lucida e istancabile pazienza alle domande più assurde e ottuse dei visitatori di passaggio, indù, musulmani, cristiani".
    Talvolta, nel pomeriggio, si recava in visita a un altro suo amico, Gonzague Truc, che abitava in rue Guy-de-la-Brosse, vicino al Jardin des Plantes. Quest'ultimo ci ha lasciato una descrizione di Guenon durante le loro discussioni: "... seduto su un pouf davanti al caminetto, l'alta statura, il viso allungato e la posizione gli conferivano un che di orientale perfettamente in sintonia con la sua filosofia, ma veramente strano per un nativo della Touraine". Aggiunge: "... la sua conversazione era seria, senza mai essere noiosa; al contrario, risultava appassionante e appagante nella sua lucidità, allontanava senza sforzo qualsiasi futilità ed era sfumata a volte di grave ironia o di contenuto entusiasmo. Con lui si abbandonava insensibilmente il mondo ordinario per entrare nel mondo autentico, e passare dalla 'rappresentazione' al principio... I suoi discorsi, ameni e sempre informali malgrado la loro densità, erano la sua opera parlata. <...> (pagg. 66-67)

    <...> "ricordo che a quell'epoca (era il 1927), la meta di Guenon non era l'Egitto, bensì l'India. La sua conoscenza del sanscrito e dell'Induismo era migliore, credo, di quella dell'arabo classico e dell'Islam. Esperto poliglotta, conosceva in più latino, greco, ebraico, inglese, tedesco, italiano, spagnolo, russo e polacco. In questo modo poteva rispondere facilmente a qualsiasi interlocutore nella sua lingua...
    Vedo ancora Guenon, alto, magro, traboccante di buona fede, tenere testa ai suoi oppositori. Lo spettacolo di questo occidentale che difendeva tenacemente il lascito dell' Oriente contro quegli spensierati orientali non mancava di originalità e di grandezza...
    Con pazienza instancabile, si sforzava di convincere gli astanti dell'esistenza in diversi luoghi dell' Oriente di centri autorizzati a condurre i discepoli lungo le vie difficili, talvolta pericolose, della 'purificazione' e a trasmettere loro gradualmente, e in base alla padronanza acquisita sulle energie incontrollate dello 'psichismo', quella verità che, se comunicata a chi ne è indegno, cessa di essere la verità"...
    La discussione spesso veniva interrotta solo dal sopraggiungere del giorno". <...> (pagg. 84-85)

    <...> Guenon viveva al Cairo con riservatezza, senza alcun rapporto con gli ambienti europei; non era più il francese Renè Guenon, ma lo Sheikh Abdel Wahed Yahia, avendo adottato usi e abitudini della sua nuova patria.
    Renè Guenon, che si era islamizzato e parlava l'arabo senza accento, seppe incarnare lo spirito di povertà vivendo una vita tra le più modeste; <...> (pag. 95)

    <...> Dopo essersi stabilito al Cairo, Guenon riceveva una corrispondenza di giorno in giorno più fitta. Si sentiva in dovere di rispondere a tutti quelli che gli scrivevano, e per questo si sottoponeva a veglie e notti insonni. <...> (pag. 99)

    <...> Guenon chiamò "Villa Fatma" in onore di sua moglie, che si chiamava così. "Mentre la sua opera impassibile non rivela nulla di quello che presuppone la carità, nella vita era molto buono e affettuoso verso i suoi amici (1)".
    ... Si entrava in casa attraverso una porta sormontata da una tettoia, dominata da un motto in arabo: Dio è la Maestà della Maestà...
    Guenon aveva riservato per sé due stanze. Una era lo studio, l'altra la stanza dove pregava...
    Dietro (alla scrivania), sulla parete, si leggeva, in arabo: Più sarai riconoscente, più sarai appagato.
    Sulla parete a destra:
    Che cosè la vittoria se non quella proveniente da Dio.
    Sulla parete a sinistra:
    Allah è Allah e Maometto è il suo Profeta.
    La stanza dove pregava conteneva, oltre al tappeto per le preghiere rituali, orientato verso la Mecca, un pannello su cui si leggeva una preghiera musulmana, di cui diamo la traduzione:
    Nel Nome di Dio buono e misericordioso,
    Lui solo è vivente in eterno.
    Egli è al di là del tempo e del sonno
    E per Lui non esiste nè cielo nè terra.
    E nessuno è esaudito senza il Suo consenso.
    Sa cosa vi è nelle nostre mani e cosa è nascosto.
    Nulla si conosce della Sua conoscenza senza la Sua volontà.
    Ilk Suo trono è più vasto dei cieli e della terra.
    Egli è l'Altissimo, l'Onnipotente. <...> (pagg. 101-103)

    Nota 1: A. Allard L'Olivier, Syntheses, settembre 1951, p. 38.

    <...> In questo periodo (1939) Guenon riceveva in visita, due o tre volte alla settimana, un inglese convertito all'Islam, che si era trasferito da poco in Egitto, lo Sheikh Abu Bakr, che viveva in un piccolo villaggio vicino alle Piramidi.
    "Quando sono andato a trovare Renè Guenon", scrive il visitatore, "era <nella stanza da preghiera>, coricato per terra, sui cuscini; la barba <che si era fatta crescere> era bianca, e gli stava benissimo, ma la tagliò nella primavera del 1940, quando si rialzò per la prima volta (era affetto da una crisi reumatica). Portava un anello d'oro, con inciso il monosillabo sacro "Aum" e ho capito subito" aggiunge lo scrivente "che glielo aveva donato il suo Guru. A sua moglie aveva detto che era il Nome di Dio". <...> (pagg.103-104)

    <...> Nel 1944 Renè Guenon ebbe la gioia di veder nascere la prima figlia, Khadija, che era il ritratto di sua madre.
    Poco tempo dopo avvenne qualcosa che dimostra una sensibilità che non può essere immaginata da coloro che conoscono Guenon solo attraverso gli scritti.
    Aveva stretto amicizia con un inglese orientalizzato, Sheikh Hussein. Quest'uomo, poverissimo, che era stato ospitato da lui a Villa Fatma, un giorno fu vittima di un incidente che gli costò la vita. Un camion lo investì in una via del Cairo. La salma non venne reclamata da nessuno e fu portata all'obitorio. Venuto a sapere dell'incidente, Guenon si commosse e offrì al defunto ospitalità nella sua tomba, così come, nella vita lo aveva ospitato nella sua casa (2)". <...> (pagg. 107-108)

    Nota 2: G. Boctor, L'Egypte Nouvelle, 2 febb., 1952

    <...> "Bisogna parlare soprattutto di quanto Guenon sapesse ascoltare. Ascoltava il silenzio, forse anche più attentamente di tutto il resto. ... La sua fisionomia naturale era quella di chi interroga.
    Rispetto, discrezione: il tratto più orientale della sua figura era una forma di gentilezza che tradisce il timore di essere importuno. Questo modo di apparire confuso è una forma di pudore. Ma Renè Guenon portava al massimo grado questa caratteristica, fino a renderla quasi una cortesia metafisica.
    Nulla lo esprimeva meglio delle benedizioni affettuose di cui disseminava le sue conversazioni. Con semplicità dava così, anche a tavola, un valore rituale allo spezzare il pane, al gesto che faceva per salarlo, all'offerta che vi faceva porgendovi il piccione arrosto (3)"

    Nota 3: N. Bammate, Visites a Renè Guenon, N.R.F., n. 30, 1955

    <...> In seguito lo conducemmo fuori dal suo nido e ci accompagnò alla moschea del sultano Abu'l Ala.
    "Avendo preso posto in un gruppo che praticava il "dhikr", Renè Guenon cominciò a mormorare e a scuotersi, poi le sue parole diventarono udibili e i movimenti più frenetici; infine, ecco che si immerse e sprofondò nel "dikhr"; dovetti richiamarlo, finchè si svegliò violentemente con un brivido. ho pensato che ritornasse da luoghi lontanissimi e sconosciuti (4)". <...> (pag. 111)

    Nota 4: Dott. Abdel-Halim Mahmud, Il filosofo musulmano Renè Guenon o Abdel Wahed Yahia, Il Cairo 1954. L'unica opera in arabo su Renè Guenon.

    <...> La sera del 7 Gennaio 1951, improvvisamente, ci fu l'epilogo (della malattia). La mattina si era lamentato di una specie di contrazione, di spasmi alla laringe che gli impedivano di mangiare. Poco dopo dichiarò di sentirsi bene, che era giunta la fine e, in effetti, non riusciva più a ingerire alcuna medicina... A un certo punto "disse a sua moglie che desiderava che il suo studio, con tutti i suoi mobili, fosse mantenuto tale e quale, e che lui, benchè invisibile, sarebbe stato ugualmente presente (5)".
    Verso le 6 di sera, malgrado le difficoltà di respirazione, conservava ancora tutta la sua lucidità. Intorno alle 10 non pronunciava più che rare parole. A più riprese, però, si era raddrizzato sul letto, gridando: "El Nafass khalass" ("L'anima se ne va").
    Il dottor Katz, costretto ad allontanarsi, fece ritorno verso le 2 del mattino, ma Renè Guenon era già deceduto alle 23. Le sue ultime parole furono: "Allah, Allah". <...> (pagg. 119)

    Nota 5: Corrispondenza personale.


    L'ultima testimonianza riportata, quella che descrive gli ultimi momenti della vita terrena di Renè, e la prima che è riportata all' inizio della discussione, quella del quadro che ritraae il brahmano, sono parecchio interessanti ai fini del nostro argomento centrale.
    Ho voluto riportare diversi episodi della sua vita, affinchè ci si potesse formare un'idea della sua personalità. Del resto come si può separare, se non idealmente, un uomo dalla sua opera?
    In conclusione, così come premesso fin dal primo post, in perfetto accordo con quell'assunto, espresso anche dal Guenon, per cui "dal punto di vista metafisico la reincarnazione è inammissibile", riportiamo questi sloka del Vivekakudamani di Sankara:

    <...>

    571. Schiavitù e liberazione sono attributi della buddhi che l'ignorante sovrappone alla realtà, come si sovrappongono le nuvole al sole. <...>

    572. Dalla prospettiva della realtà, l'idea dell'esistenza o non-esistenza della schiavitù è attribuita alla buddhi; essa non appartiene alla realtà eterna.

    573. Perciò schiavitù e liberazione sono create dal giuoco della maya, non riguardano l' atman, la realtà suprema senza parti, esente da ogni attività, serena, senza impurità, l'Uno-senza-secondo nel quale non v'è limitazione, come <non v'è limitazione> nell'integrale etere infinito.

    574. Così non esiste nè morte nè nascita, nè alcuno che è imprigionato nè alcuno che è combattuto; non esiste liberazione nè discepolo che cerca la liberazione: questa è la suprema verità.

    <...>

    E a quest'ultimo sloka fa eco la karika II, 32 di Gaudapada alla Mandukya Upanisad, che conferma oltre ogni dubbio la suprema realtà:

    La suprema verità è questa: non vi è nè nascita, nè dissoluzione, nè aspirante alla liberazione, nè liberato, nè alcuno che sia in schiavitù.

    Ma chi può affermare con certezza di dimorare sempre nella suprema Realtà ?

    Grazie a tutti.
    In amicizia, ian mono.

  4. #24
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    Grazie per gli estratti sulla biografia di Guénon, che può essere integralmente letta on-line qui:

    http://www.euskalnet.net/graal2/simple.zip

    Citazione Originariamente Scritto da ian mono Visualizza Messaggio
    In conclusione, così come premesso fin dal primo post, in perfetto accordo con quell'assunto, espresso anche dal Guenon, per cui "dal punto di vista metafisico la reincarnazione è inammissibile"
    Ricordo nuovamente, qualora fosse sfuggito, che l'inamissibilità di una cosa dal punto di vista metafisico, comporta la sua impossibilità nel senso più rigoroso della parola. E questo è un dato di fatto elementare, che non è oggetto di discussione.
    Di conseguenza, le tue argomentazioni e le tue interpretazioni dei testi indù sono falsate a partire dalla loro base, e a tal proposito non si può che rimandare ai già citati Selected papers: Metaphysics di Coomaraswamy, e Errore dello Spiritismo di Guénon, che spiegano la questione in maniera più che chiara.

    Un saluto,
    Talib.
    “Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero”

    Proverbio arabo

  5. #25
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    Vorrei ricordare, al di là delle convinzioni più o meno teoriche, che oggi, all'interno di quella branca della psicologia chiamata "transpersonale", già avanzata all'estero, ma ancora a livello sperimentale in Italia, esistono percorsi terapeutici molto precisi, i quali son volti a utilizzare la cosiddetta ipnosi regressiva per il recupero di ricordi di eventi traumatici accaduti in vite precedenti, facendoli rivivere al paziente e così depotenziandoli di ogni carica emotiva, allo scopo di eliminare particolari angosce, fobie e problematiche ribelli ad ogni altra cura.
    All'interno di tali percorsi vi è spazio per le eventuali verifiche su identità, nomi, luoghi, eventi precisi, le quali hanno dato riscontri assai spesso sorprendenti.
    Tutto questo con buona pace del Guenon, il quale non mi pare possa essere assunto a punto di riferimento assoluto ed essenziale dell'universo mondo.
    Perchè altrimenti si rischia di fare come il Don Ferrante di manzoniana memoria, il quale sentenziò che la peste non esisteva, in quanto non poteva dirsi nè sostanza nè accidente, e ovviamente morì di peste, di lì a poco...

  6. #26
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    Con buona pace dell'utente La Papessa, non vediamo proprio come il "trattamento ipnotico" (e ciò che da esso ne derivi) abbia in qualche modo a che fare con l'impossibilità metafisica della reincarnazione, teoria questa spacciata per verità da pseudo-dottrine poco sensibili ai principi elementari di logica e metafisica. Sarebbe dunque meglio chiarirsi prima intellettualmente e con cura proprio tale prova di impossibilità "ontologica", per evitare così di concedere troppo spazio tempo e fatica a ciò che in sé è una mera assurdità.
    Sulle confusioni e sui limiti invece della scienza psichica moderna (e nel caso specifico, circa i casi di ipnotismo e della loro erronea interpretazione in chiave reincarnazionistica) rimandiamo alla lettura del cap.VIII di "Errore dello spiritismo" del Guénon.
    Speriamo che con queste ultime indicazioni, l’argomento si esaurisca quanto prima.

  7. #27
    Donna dei filosofi
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    Sai qual'è il problema , caro Sattwa?
    Che per te Il Guenon è l'unico faro illuminante dell'umanità smarrita, e quanto asserisce lui è legge assoluta.
    Per altri (molti altri) Guenon è solo uno dei tanti che hanno espresso il LORO PERSONALE CONVINCIMENTO sulla metafisica.
    A questo punto ogni altra discussione è del tutto inutile.
    Quelle che tu ritieni assurdità rappresentano il futuro della psicologia in quanto scienza.
    Ma non mi arttendo che Don Ferrante mi capisca.
    Buone cose.

  8. #28
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    Predefinito Papessa docet

    Citazione Originariamente Scritto da La Papessa Visualizza Messaggio
    Sai qual'è il problema , caro Sattwa?
    Che per te Il Guenon è l'unico faro illuminante dell'umanità smarrita, e quanto asserisce lui è legge assoluta.
    Per altri (molti altri) Guenon è solo uno dei tanti che hanno espresso il LORO PERSONALE CONVINCIMENTO sulla metafisica.
    A questo punto ogni altra discussione è del tutto inutile.
    Quelle che tu ritieni assurdità rappresentano il futuro della psicologia in quanto scienza.
    Ma non mi arttendo che Don Ferrante mi capisca.
    Buone cose.
    Gentile Papessa dei Filosofi , anche io , pur rispettando molto Rene Guenon , trovo ridicolo il "letteralismo guenoniano" e la mentalità saccente e settaria che ne deriva. Conosco molti indù , veri indiani , alcuni con qualifiche o percorsi religiosi all'interno della Tradizione Indù e sono stati categorici : noi crediamo al 100% alla reincarnazione.So che in India si cerca di provare questa credenza tramite vari "esperimenti" e " prove" di stampo "scientifico".Ma qui scadiamo nel ridicolo e nel tentativo di profanazione della moderna mentalità scientista in ambiti che non le compettono , cioè in ambiti puramente ed esclusivamente metafisici. Sono musulmano e quindi non credo alla reincarnazione , ma ho letto recentemente un libro sul karma scritto da un guru , che ha spiegato meccanismi spirituali molto complessi e secondo me sicuramente degni di rispetto. Roberto Minichini

  9. #29
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    Gentile Menichini,
    apprezzo molto la sua posizione equilibrata e possibilista. Ciascuno di noi ha , è ovvio, una propria posizione: ciò che conta è non chiudersi a riccio, escludendo ogni altro modo di vedere.
    Sono d'accordo sul fatto che il campo metafisico e quello scientista appartengano a categorie differenti, nè io intendo mescolarle. Ma se noi consideriamo il sanathana dharma come la legge perenne che regola il ciclo cosmico manifestativo, abbiamo il dovere di ascoltare con attenzione quanto la Tradizione, tutta la Tradizione, ci propone su un singolo problema: è ovvio che se ci osserviamo, io e lei, Menichini, qui ed ora, possiamo affermare che nessuno di noi due possiede alcuna consistenza metafisica, essendo le nostre identità assolutamente fittizie e transeunti, e che di noi non resterà alcuna traccia, se si eccettua quel "quid" che il Tathagata diceva essere " non composto","non nato"( e questo vale precipuamente per lei).
    Cionondimeno noi siamo qui ed ora, e parliamo di metafisica, e, presumibilmente, seguiamo un sentiero personale che la Tradizione, e il nostro destino ci hanno indicato.
    E' del tutto ovvio che, dal punto di vista metafisico, noi non consistiamo.
    Ma da quello samsarico, si. Diciamo allora che tutto il manifesto ha una "relativa" irrealtà, e non mai assoluta.
    Credo di essermi spiegata. Sicuramente ha compreso ciò che voglio dire.
    Vive cordialità.

  10. #30
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    Sarei Minichini , non Menichini , ma non ha alcuna importanza.Non conosco i riferimenti alla metafisica fatti da lei , ma comunque penso di intuire vagamente a cosa si riferisce.Onestamente è da poco che ho cominciato a leggere materiale sul Sanathana Dharma , perchè tra i musulmani questo tipo di lettura è estremamente malvista.Rene Guenon era una mosca bianca da questo punto di vista. Non so quale sia la situazione in India da un punto di vista di scambi sapienziali fra Islam ed Induismo. I testi di maestri sufi indiani in mio possesso comunque indicano una pesante chiusura.Comunque la difficoltà maggiore per me è distinguere fra guru e maestri della Tradizione indù autentici e quelli spuri e "neospiritualisti". Per esempio chi è Raphael di cui sono piene le librerie ? Roberto Minichini

 

 
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