Partito democratico, parla Fassino: "Il leader? Scelto dai militanti, non da noi"
Il segretario Ds risponde a chi parla di "fusione fredda": "Parole che mi indignano"
"Basta liti e gossip sul Pd
rischiamo di perdere i giovani"
Il 23% nei sondaggi: "Questo dato non mi fa paura. Per di più c'è anche il 37%
del consenso potenziale. E non è vero che c'è una crisi di progetto"
di MASSIMO GIANNINI
ROMA - "Basta, sono indignato. Troppi dubbi, troppe critiche. Il Partito democratico è un traguardo storico, e noi stiamo qui a discutere di leadership...". Piero Fassino non ci sta. Una brutta influenza lo inchioda a letto, ma il segretario Ds non rinuncia a combattere contro i troppi "colleghi" che, nella Quercia e nella Margherita, indugiano nelle liti, alimentano il gossip. Quei "colleghi" che lo criticano a viso aperto, come La Torre o Bersani. O quelli che mettono in giro voci sull'insofferenza di D'Alema e Veltroni nei suoi confronti. "Tutte bugie - sbuffa il leader diessino - che tuttavia producono danni. Non a me, che sono tranquillissimo, ma al grande progetto che stiamo costruendo...".
Onorevole Fassino, alla vigilia dei vostri congressi, sul Pd c'è grande polemica. La accusano di troppa agitazione. C'è dietro uno scontro sotterraneo sulla leadership del nuovo partito?
"È una volgare caricatura dei fatti. Io non mi sto affatto occupando di leadership del futuro partito. Il tema non è di attualità. E' un problema che risolveranno i nostri elettori, quando saranno chiamati a votare alle primarie. Tutto il resto sono solo castelli in aria. Se vogliamo coronare con successo la nascita della casa comune dei riformisti, dobbiamo sgombrare il campo dal tema della leadership. Ci fa solo male".
Si infittiscono gli incontri al vertice. D'Alema vede Veltroni. Si vocifera di "commissariamenti". Tutto questo non la inquieta?
"Sono gossip, e a me i gossip non interessano. È normale che D'Alema e Veltroni si parlino. Siamo alla vigilia di due congressi molto importanti. Perché mai dovrei preoccuparmi se i dirigenti s'incontrano e discutono di come affrontare questa fase così delicata? Sono colpito da come sui giornali si monti la panna. Ma la cosa non mi riguarda: io sono assolutamente tranquillo".
Un'altra sua sortita, in questi giorni, fa molto discutere: perché ha inserito Bettino Craxi nel pantheon del Pd? La Torre l'ha accusata, dicendo che lui si porta Gramsci. Bersani l'ha scavalcata, dicendo che lui non si porta né Craxi né Berlinguer. Come minimo, c'è confusione tra voi.
"Anche questa è solo una caricatura. La mia uscita su Craxi e il pantheon del futuro Partito democratico è stata strumentalizzata. Io ho fatto un ragionamento politico che ha un senso. Non mi volevo riferire a una polemica vecchia di vent'anni fa. Io dico questo: non è forse necessario che nel futuro Partito democratico abbia un ruolo fondamentale anche il riformismo socialista? Se questa è una necessità che tutti condividiamo, e lo confermano le parole pronunciate da Prodi al congresso dello Sdi, allora come si fa a non tener conto di alcuni contributi che su diversi temi cari alla moderna cultura riformista diede una personalità complessa come Craxi? Come vede, impostata in questi termini è una questione che ci proietta nel futuro, non che ci trascina nel passato".
Al futuro dice lei? E allora perché vi sbranate sui padri nobili, invece di parlare dei problemi quotidiani che la gente vive, qui ed ora?
"E' proprio questo il ragionamento. La storia del Novecento è ormai alle nostre spalle. Ma nel secolo che abbiamo alle spalle ci sono valori di uguaglianza, di giustizia e di solidarietà, che vogliamo far vivere anche nella secolo che abbiamo davanti. Ma per riuscirci, e per far convivere quei valori con le sfide della modernità, la tradizione dei nostri singoli partiti non basta più. Bisogna allargare il perimetro culturale e politico. La singola storia di ciascuno di noi è parziale: per costruirne una nuova, più estesa e più profonda, bisogna contaminarsi".
Ma il progetto, a giudicare dagli umori del vertice e della base, sembra un po' in affanno. Non è così?
"La verità è che stiamo arrivando a un traguardo veramente storico. In Italia non era mai successo che due grandi partiti si unissero, e si aprissero al contributo di altri partiti e alle rappresentanze della società civile. Nella storia italiana di questi decenni, al contrario, le identità hanno sempre prevalso sui progetti, la parzialità ha sempre avuto la meglio sulla sintesi. Il bipolarismo malato nel quale viviamo in questa fase non è forse il frutto di questa anomalia? Ci siamo illusi di semplificare il sistema politico, e invece oggi ci ritroviamo con ben 23 partiti. L'idea della casa dei riformisti nasce proprio da qui: non solo due partiti in meno, ma un processo di convergenza che mira a ridisegnare l'intero sistema. Nella nostra metà campo, dove uniamo i riformisti e spingiamo anche i partiti che stanno alla nostra sinistra, pur così gelosi delle loro rispettive identità, a discutere su come mettersi insieme. Ma anche nel centrodestra, dove persino Berlusconi, suo malgrado, è costretto ormai a ragionare con la stessa logica. Mi chiedo davvero come si faccia a non cogliere lo spessore politico di questa rivoluzione".
Evidentemente il deficit politico dipende da voi, che non riuscite a farvi capire.
"In parte è così...".
Per questo lei se l'è presa con chi alimenta i dubbi sul Pd, invece di dimostrare entusiasmo.
"È una tendenza che dobbiamo invertire. La società ci pone di fronte a sfide nuove. Non faccio altro che ripetere un aneddoto. Qualche giorno fa ero ad un dibattito in una sezione del nostro partito, quando all'improvviso si è alzato un ragazzo, non iscritto, e ha chiesto: "Questo Partito democratico, a me che ho vent'anni, cosa mi dice sul fatto che nel mondo non fa più freddo?". Il messaggio che ci arriva da quel ragazzo è chiarissimo. Non ci chiede che cosa è successo nel secolo scorso, e che cosa vogliamo salvare di quel patrimonio culturale. Ci chiede che cosa sta succedendo oggi, e in che mondo vogliamo farlo vivere. Noi non possiamo più far finta di non vedere che questo è il problema. E per questo il Partito democratico dovrà parlare ai giovani, dovrà essere il partito dei giovani".
Appunto. E allora perché continuate a discutere sull'eredità del passato e sulle nomenklature del futuro?
"È il limite politico e culturale che io denuncio da qualche giorno. Ci vorrebbe più calore, ci vorrebbe più entusiasmo, e soprattutto ci vorrebbe più capacità di leggere i problemi che in questo momento la società ci pone all'attenzione. Faccio solo tre esempi. Il primo: le morti bianche, la piaga dei caduti sul lavoro. Come si rappresenta il lavoro in una società sempre più flessibile? Il secondo: la rivolta nella Chinatown di Milano. Come si dialoga con le comunità immigrate che fanno fatica a integrarsi? Il terzo: la questione degli ostaggi e la liberazione di Mastrogiacomo. Come si garantiscono, nello stesso tempo, la pace, la stabilità e la sicurezza? Questa è la portata delle sfide che ci aspettano".
Resta un fatto, quasi drammatico. I sondaggi inchiodano il Partito democratico tra il 23 e il 25%. A quattro giorni dai congressi, non le tremano i polsi?
"No, in tutta sincerità non mi tremano i polsi. Io rovescio il discorso. Un partito che non è ancora nato, se in partenza può contare su una base di consenso minimo del 23%, ha una possibilità espansiva enorme. Non a caso il sondaggio di Mannheimer sul Corriere di qualche giorno fa dimostrava che la nuova formazione ha un consenso potenziale che può arrivare fino al 37%. Queste cifre dimostrano che non c'è affatto una crisi di progetto. Ma semmai c'è una possibilità espansiva formidabile".
Non pecca di troppo ottimismo?
"Per niente. Io, al contrario di altri, in questi mesi ho girato l'Italia, per fare convegni e congressi regionali sul Partito democratico. Ho sempre trovato platee enormi, cinema strapieni, gente che non riusciva a entrare nei luoghi in cui si svolgeva il dibattito. Questo è il paradosso. L'interesse dell'opinione pubblica è forte, la sensibilità della nostra gente è altissima. Per questo dobbiamo accantonare i dubbi e le polemiche strumentali tra di noi, e dobbiamo parlare un linguaggio chiaro e condiviso, che tutti possano capire".
Eppure c'è chi, come Veltroni o Parisi, parlano di una fusione fredda, di una cinica resa di conti tra gruppi dirigenti. Lei cosa risponde?
"Di fronte a certe affermazioni io mi indigno. Non è affatto vero che si tratti di una mera sommatoria burocratica di vecchie nomenklature. E non è affatto vero che si tratti di fusione fredda. I fatti che le ho appena citato dimostrano esattamente il contrario. Fatti i congressi chiuderemo la prima fase, quella in cui si è discusso sul "se" fare il Partito democratico. Subito dopo si aprirà la fase nuova e cioè quella del "come" fare il Partito democratico. E in quel momento avremo bisogno del contributo di tutti. Non vogliamo iun partito che sia la semplice somma di Ds e Margherita. Noi chiediamo il contributo di tutti: delle altre forze politiche riformiste, a partire dallo Sdi, dei comitati della società civile, del popolo delle primarie. Tutti insieme dovranno partecipare alla fase costituente".
Ma insomma, lei si candida per la leadership oppure no?
"Non mi riproponga di nuovo questo argomento. Come le ho detto, deciderà il nostro popolo, votando le primarie. Detto questo, nessuno può essere impedito di avere aspirazioni. Ma io appartengo a una generazione che ha sempre anteposto alla legittima aspirazione personale un disegno politico collettivo. E oggi questo disegno politico collettivo è proprio il Partito democratico. Ci sarà tempo e modo per decidere chi dovrà guidarlo. La cosa importante è che io sono convinto che stiamo facendo la cosa giusta".
Per i Ds un trauma ci sarà comunque. Ormai Mussi se ne va. Vi toccherà passare per un'altra scissione.
Questo non è forse uno choc?
"Io mi auguro che ci sia ancora lo spazio per una riflessione da parte di Mussi. D'altra parte voglio chiedergli: qual è la strategia alternativa? La nascita dell'ennesimo piccolo partito di sinistra? E si è mai vista una scissione proclamata nel nome dell'unità della sinistra? Iniziata la fase del "come" fare il Pd, ci sarà modo per tutti di dare il proprio contributo. Spero ancora che tra questi "tutti" ci sia anche Mussi".
(Repubblica-15 aprile 2007)