User Tag List

Risultati da 1 a 2 di 2
  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    21 May 2010
    Messaggi
    5,561
     Likes dati
    2
     Like avuti
    4
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Gramsci. 70 anni dalla morte. Il ricordo di Bertinotti

    Gramsci. 70 anni dalla morte. Il ricordo di Bertinotti



    Intervento del Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti (Sala della Lupa, 17 aprile 2007)

    Saluto il Presidente della Fondazione della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini, che voglio ringraziare vivamente per aver promosso ed organizzato questo momento di riflessione in una ricorrenza così significativa per la storia e la cultura del nostro Paese.

    Saluto con lui il Vicepresidente del Senato, Milziade Caprili, le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti.

    Un ringraziamento particolare desidero rivolgere al professor Mario Tronti, presidente della Fondazione Centro per la riforma dello Stato, che ricorderà la figura e l’opera di Antonio Gramsci.

    La celebrazione di uno dei maggiori protagonisti della storia italiana del Novecento è assai impegnativa, specie quando essa viene compiuta dalle istituzioni che sono tenute a rispettare una divisa di equanimità che mal si addice alla ricerca storica. Il compito risulta ancor più impegnativo quando il protagonista non lo è stato soltanto sul piano istituzionale o politico o culturale ma lo è stato nella storia più generale del Paese, della sua formazione storica.

    Tale è stata indubitabilmente la figura di Antonio Gramsci.

    Gramsci è stato un protagonista del Novecento che ha assommato in sé la figura dell’intellettuale e del dirigente politico, secondo un registro che ha caratterizzato le maggiori personalità del movimento operaio in tutto il mondo nell’ascesa delle classi subalterne, ascesa che ha segnato di sé quel secolo grande e terribile che è stato il Novecento stesso.

    Come dirigente politico, Gramsci è stato una presenza cruciale nella storia politica del movimento operaio e comunista e dell’Italia intera. Attore diretto di una grande impresa che lo conduce dall’ideazione dell’Ordine nuovo alla nascita e alla definizione del connotato essenziale dell’essere comunista in Italia.

    Con l’Ordine nuovo, in un dialogo fecondo con un altro protagonista della storia politico-culturale del Paese come Piero Gobetti, affronta il biennio rosso lungo un’originale ispirazione di partecipazione operaia e di democrazia consigliare il cui deposito non si è certo esaurito in quella stagione.

    Partecipa alla nascita a Livorno nel ’21 del Partito Comunista d’Italia, seppure senza svolgere un ruolo di primo piano, tanto da non entrare a far parte dello stretto gruppo dirigente del partito, ruolo di guida che invece assumerà al congresso di Lione del 1926 e che segnerà indelebilmente il profilo culturale e l’attitudine politica di fondo del movimento comunista italiano.

    Vive direttamente, e in primo piano, la fase nascente del comunismo internazionale sorto dalla Rivoluzione d’ottobre. Il fascismo ne stronca la libera iniziativa, ma non riesce a spegnerne il pensiero che, nell’interminabile e drammatica detenzione nelle sue prigioni, si esprime al punto da realizzare un’opera come i Quaderni del carcere, che segnerà - e ancora influenza - la cultura del Paese.

    Contro l’affermazione del fascismo è partecipe dell’opposizione democratica anche nelle aule parlamentari, con la quale, seppure critico severo dell’Aventino, condivide la sorte della cacciata da parte del regime.

    Le carceri fasciste lo uccideranno, ma si può ben dire che il pensiero di Antonio Gramsci abbia costituito una causazione ideale della sconfitta del fascismo, erodendone le basi di legittimazione culturale, con la creazione di un pensiero interprete di una storia nazionale diversa e iscritta nell’onda lunga della formazione del carattere dell’Italia moderna e degli italiani.

    Diversamente da altri, pur grandi pensatori, non aveva letto il fascismo come una parentesi nella storia del Paese, ma ne aveva indagato le matrici profonde, fino a interrogarsi sul sovversivismo delle classi dirigenti; perciò aveva lavorato a fondo su una diversa fondazione civile della nazione.

    Il suo contributo intellettuale resta nella storia delle idee come una tappa saliente, nel pensiero rivoluzionario e nella storia dei marxismi quanto nella storia della filosofia e del pensiero umano. Perciò ancora oggi, e pur sempre tra andamenti assai alterni nel suo riconoscimento, Gramsci è così presente nel dibattito culturale nelle diverse parti del mondo.

    In Italia, quale che sia la collocazione che la critica gli voglia attribuire nella storia del pensiero - sia come caposaldo della linea che lo legherebbe a De Santis, a Labriola e a Croce sia che lo si consideri come punto di discontinuità e di fuoriuscita da quella tradizione, punto da cui prenderebbe vita una differente fondazione culturale - quale che sia dunque la lettura della sua opera, quel che è fuori discussione è la sua importanza fondamentale nella formazione della cultura del Paese.

    Nei Quaderni dal carcere vengono affrontate tutte le grandi questioni di così profonda portata storica da essere arrivate sino a noi e ancora in larga misura irrisolte, malgrado la vittoria dell’antifascismo, la nascita della Repubblica e la costruzione di uno straordinario impianto costituzionale. La questione cattolica, la questione meridionale, il rapporto tra gli intellettuali e la formazione della coscienza e dell’identità del Paese, la natura dei processi di lavoro nella modernizzazione testimoniano la straordinaria ampiezza e profondità di un’originale impresa intellettuale, in cui le stesse aporie - come ciò che pure è risultato contestabile - sottolineano la ricchezza di una ricerca guidata dal sistematico rifiuto di ogni dogmatismo.

    Si capisce meglio, alla luce della sua opera, la ragione profonda del suo essere insieme intellettuale e dirigente politico. Proprio la categoria forse più originale e riassuntiva del suo pensiero, quella di egemonia, sembra strutturarsi proprio sull’identità di politica e filosofia, quale capacità di una classe egemone di proporre una prospettiva di universalizzazione più alta di quella delle altre classi e perciò storicamente vincente.

    E’ quando, dirà Gramsci, “nasce concretamente il problema di una nuova civiltà e quindi la necessità di elaborare le concezioni più generali, le armi più raffinate e decisive”. Gramsci delinea così il compito della filosofia della prassi ed apre un capitolo nuovo nella storia delle culture politiche. L’onda lunga della storia profonda e di tanti smacchi può venire liberata per costruire una nuova storia.

    In questa intrapresa gli intellettuali possono trovare un compito e assolverlo ma - avvertirà Gramsci, con un’intuizione di acuta e straordinaria attualità - solo in un incontro con il popolo, quella che Antonio Gramsci chiamerà la “connessione sentimentale”.

    La sua connessione sentimentale, quella di Gramsci, è stata esemplare. Nasce in un piccolo centro della Sardegna e non se ne dimenticherà mai, fino ad ingaggiare - consapevole del peso del cibo e della cultura - persino una polemica modernissima con il Piemonte, dove viveva, che marginalizzava l’agnello nelle feste pasquali per favorire il consumo del coniglio della propria tradizione. Gramsci resta fedele alle radici, dirà di sé di essere “triplice e quadruplice provinciale”: eppure è l’umanità intera che lo interessa. Sposerà Julka, donna di un Paese lontano, da cui avrà due figli, Delio e Julik.

    La lezione di vita che Gramsci ci lascia è indissolubile da quella dell’intellettuale e del rivoluzionario. E’ la lezione di un uomo che non rinuncia mai alla sua umanità e alla sua umana ricerca anche nella tragedia.

    La tragedia della repressione, del carcere fascista, è pesante, violenta. Ma c’è anche, e quanto dura, la tragedia che viene dall’appartenenza alla propria parte. Il dramma di un primo grave dissenso, con la piega che prende il conflitto nel gruppo dirigente della Rivoluzione d’Ottobre perché la potrebbe perdere; poi i dissensi in carcere con i propri compagni e il duro isolamento, fino all’angoscioso dubbio di essere stato tradito dal proprio partito.

    Bisognerà capire e imparare come sia stato possibile in quelle condizioni estreme difendere la fede nelle proprie ragioni e nelle ragioni del movimento politico in cui si milita continuando a pensare, a scrivere, a lavorare, ad arricchire quelle ragioni e quella storia.

    Si può dire solo che l’Italia intera può essere onorata e fiera di questo suo straordinario figlio e maestro. Non mi pare il caso di ricordare qui altre ragioni di una sofferenza umana acuta: quelle fisiche, legate al dolore di una condizione di malattia e a malformazioni, e quelle psicologiche, legate alla straordinaria difficoltà dei rapporti familiari. Eppure anche questo non andrebbe dimenticato, non solo per leggere anche con questa attenzione una produzione culturale e politica eccezionale, ma anche per scorgere, con la delicatezza di sentimenti che questo piano richiede, anche a distanza di tempo, l’elaborazione del dolore e la costruzione della propria dignità.

    Per questo abbiamo voluto accompagnare a questa celebrazione un piccolo omaggio a un lato meno solenne del grande intellettuale e politico, a quello di padre, pubblicando - d’intesa tra la Fondazione della Camera dei deputati e la Camera medesima e con il concorso della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, che ringrazio - le lettere a Delio e a Julik. Un contributo ad un’educazione sentimentale che è anche un’educazione alla cittadinanza.


    Roma, 17 aprile 2007


  2. #2
    email non funzionante
    Data Registrazione
    21 May 2010
    Messaggi
    5,561
     Likes dati
    2
     Like avuti
    4
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Settantesimo. Il ricordo
    di Bertinotti Tronti e Casini

    Dopo
    Machiavelli,
    Gramsci

    Stefano Bocconetti
    A settanta anni dalla morte di Antonio Gramsci. Da dove iniziare? Mario Tronti, oggi presidente del Crs, il centro riforma dello Stato - il centro studi che fu diretto da Pietro Ingrao -, il professore che tanto tempo fa veniva sempre definito con un aggettivo oggi in disuso: "operaista" - Mario Tronti, si diceva, ieri alla Camera, in una sorta di strana incontro: più assemblea che commemorazione, per raccontare Gramsci è partito dalla sua storia personale. Prima di lui, il Presidente della Camera Bertinotti e il suo predecessore Pierferdinando Casini avevano «letto», da diversi angoli di visuale, il Gramsci intellettuale, il Gramsci politico. Con Bertinotti che aveva insistito molto sulla inscindibilità delle due figure. Mario Tronti parte invece da sè, dai suoi ricordi. Di lui da ragazzo, quando nell'Italia liberata dal fascismo, il Pci «in uno sforzo di educazione culturale delle persone» - all'epoca si faceva così, «senza assecondare invece le pulsioni, anche le peggiori, di una massa indistinta»- cominciava a ripubblicare le opere del dirigente comunista. Lui, un Tronti poco più che ragazzo decide di iscriversi alla federazione giovanile del Pci. Va in una sezione romana e con la tessera della Fgci gli danno anche tre libri. Della biblioteca che era a disposizione del quartiere. Come si usava all'epoca, come usavano fare i partiti - tutti - in quel primo dopoguerra. Tre libri. Naturalmente c'era il Manifesto di Marx ed Engels, poi «Il tallone di ferro» di Jack London - quella letteratura di confine che se non direttamente politica è decisamente schierata dalla parte degli ultimi - e infine Gramsci: «Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno».
    Si può iniziare da qui, allora, da questo Gramsci. Si può partire dall'esperienza personale di un professore per provare a capire perché sia Bertinotti, sia Casini l'abbiamo definito «un grande italiano». Il cui pensiero è servito a tutti, è servito alla democrazia di questo paese.
    Si parte da lì, dunque, dal Principe di Machiavelli. Che per Tronti è l'indizio che la politica, la forma moderna della politica, nasce proprio in Italia. In un paese che all'epoca - il Rinascimento - ancora non aveva la minima coscienza di sé ma già era in grado di proporre nozioni universali. Era in grado di proporre un'idea moderna della politica. E Gramsci sarà dentro questa cultura, questo "clima".
    Ci sarà dentro disegnando un moderno Principe. Non più persona ma «attore collettivo», non più legato a scelte individuali ma all'agire sociale. Certo, quasi ottanta anni dopo che sono state scritte, nessuno - e Tronti per primo - legge più acriticamente quelle pagine.

    L'«ombra della critica», magari maturata nelle durissime esperienze del secolo scorso, porta adesso tanti intellettuali a vedere anche i limiti del pensiero gramsciano. Per esempio, laddove uno dei fondatori del Pci parlava del partito come entità collettiva ma usava anche l'aggettivo «totale». «Aggettivo che deve far riflettere». Perché sottende un'idea che forse è alla base della sconfitta, forse è una parte importante della sconfitta del movimento operaio nel secolo breve.
    Ma chi lo studia - e tutti, Casini compreso, hanno lamentato la ancora troppa scarsa attenzione a questo pensatore che invece si è guadagnato molta più stima all'estero, tant'è che si sta organizzando un altro appuntamento con la fondazione internazionale di studi gramsciani -, chi lo studia, si diceva, sa che non è questa la cifra dell'intellettuale comunista. Chi lo studia sa che la sua idea di organizzare un'identità collettiva, la sua idea di partito doveva servire a "fondare" lo Stato. Non a farsi Stato.
    Una concezione che forse - ecco uno degli elementi più attuali del pensiero gramsciano - può diventare un antidoto anche oggi contro le nuove forme di autoritarismo. Neoautoritarismo che Tronti descrive benissimo qui alla Camera. Senza indulgere sui luoghi comuni, sulle banalità girotondine - «perché per fortuna esiste un sistema di bilanciamenti dei poteri» - racconta cosa è oggi "il leader forte". E racconta come questa nuova figura porti con sé i pericoli di una «delega a decidere». Rivoltagli da una moltitudine che si identifica con l'antipolitica. Una delega ad una personalità carismatica che però è anch'essa eterodiretta: dalla propria immagine.
    Sì, questo è il rischio. Questa è la malattia. La cura? Forse è ancora in quel binomio, sotteso più che dichiarato da Gramsci: che faceva nascere la politica dall'incontro di due elementi lontanissimi. Apparentemente lontanissimi. La passione e la sobrietà.
    Due "caratteristiche" che in Gramsci si fondono. Esattamente come si sommano in lui le due figure di intellettuale e di dirigente politico. Casini, nella affollatissima cerimonia-lezione nella sala della Lupa ieri alla Camera, ha insistito molto sul primo aspetto. Trovando un filo che collega Gramsci «alle radici del pensiero italiano», unendolo alla tradizione che va da Machiavelli, a De Santis, fino a Croce. Una tesi, comunque, largamente diffusa fra gli studiosi. Alla quale se ne contrappone un'altra che lo definisce esattamente come «il punto di discontinuità» con quella tradizione. Ma conta poco adesso. Conta di più provare a definire, come farà il Presidente della Camera, l'indissolubilità del suo «essere intellettuale e dirigente politico». Del suo essere filosofo e rivoluzionario. Contemporaneamente, sempre. Indissolubilmente.
    Serve un esempio? Il concetto di egemonia, forse la categoria più originale del pensiero gramsciano, in qualche modo riassuntiva della sua ricerca. Una categoria - dirà sempre Bertinotti, scambiando due parole coi giornalisti al termine della manifestazione-convegno - che è anche un po' il simbolo di quanto poco sia studiato Gramsci. Di più: di quanto sia stato stravolto. Al punto che l'intuizione di un uomo, «di un uomo di parte che però era in grado di pensare per tutti», è diventata via via un'altra cosa. E oggi, nella vulgata delle classi dominanti, la lotta per l'egemonia è diventata l'anticamera della dittatura.
    Non era così, non è così, è il suo opposto. La sua idea è che una classe si batte per l'egemonia quando è in grado di «elaborare una concezione più generale», più avanzata di quella delle altri classi. Quando insomma è in grado di indicare una prospettiva universalista, nella quale tutti possano riconoscersi.
    Dall'egemonia - dallo strumento per costruire «una nuova storia», per dirla ancora col Presidente della Camera - al ruolo degli intellettuali il passo è breve. Qui il discorso è più facile, perché chiunque abbia anche solo avuto a che fare distrattamente con la sinistra, sa cosa si intende quando si parla di "intellettuale organico". A Bertinotti piace però un'altra formula, che del resto è la stessa che usava il fondatore de l'Ordine Nuovo : la connessione sentimentale. Fra l'intellettuale e il suo popolo. Talmente profonda in lui che Gramsci, nato in un piccolo centro della Sardegna arriverà ad ingaggiare una simpatica - e molto moderna se ci si pensa - polemica col Piemonte, dove pure viveva, «colpevole» di rinunciare all'agnello nelle feste di Pasqua, come si usava fare dalle sue parti, per sostenere la locale produzione di conigli.
    Basta questo aneddoto, comunque, a raccontare di un rivoluzionario che nonostante le privazioni, nonostante il carcere, nonostante la violenza dell'isolamento - e nonostante «l'angoscioso dubbio» - ne parlerà sempre Bertinotti - di essere stato abbandonato dal suo stesso partito, non rinuncerà mai alla sua umanità. Certo perché «è l'umanità intera che lo interessa». Che lo appassiona.
    Ecco qui, allora, Gramsci. Comunista, "uomo di parte", si diceva, ma anche grande italiano. Lo dice ancora Casini: «L'italianità di Gramsci traspare da tutto il suo profilo biografico». Lui, figlio di un uomo d'origine albanese, con una nonna di vaghe origini italo-spagnole, madre sarda, ripeteva spesso: «Questo è il mio mondo». Lo dice Casini, lo spiega ancora di più Bertinotti: «Si può solo dire che l'Italia intera può essere onorata e fiera di questo suo straordinario figlio e maestro». Maestro di tante cose: non ultimo ha insegnato a tanti come si costruisce «la propria dignità» pur in condizioni di sofferenza umana e psicologica drammatiche.
    Eccolo qui, ancora, l'uomo, l'intellettuale, il rivoluzionario che è stata parte decisiva nella costruzione di un "ponte". Quale? Di nuovo Mario Tronti. Il Presidente del Crs racconta di come quella forma di cultura - cultura scientifica - che nasce dal lavoro abbia sempre avuto difficoltà ad incontrare quell'altra forma di cultura, umanistica, capace di progettare il futuro. Magari un mondo diverso, emancipato. Due culture diverse, se non separate. Il "ponte" fra quelle due lontane sensibilità l'ha gettato, nel secolo scorso, il movimento operaio. L'ha gettato Gramsci.


    18/04/2007

 

 

Discussioni Simili

  1. Ricordo di Amerigo Grilz a 21 anni dalla sua morte
    Di Chandra Bose nel forum Destra Radicale
    Risposte: 8
    Ultimo Messaggio: 19-05-08, 13:26
  2. Fabrizio De André, un ricordo a quattro anni dalla morte.
    Di indipendentzia nel forum Sardegna - Sardìnnia
    Risposte: 3
    Ultimo Messaggio: 18-01-03, 17:27
  3. Fabrizio De André, un ricordo a quattro anni dalla morte.
    Di indipendentzia nel forum Sardegna - Sardìnnia
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 13-01-03, 12:56
  4. Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 13-01-03, 12:56
  5. Fabrizio De André, un ricordo a quattro anni dalla morte.
    Di indipendentzia nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 13-01-03, 12:55

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito