"Figli di nessuno"
Questo che riporto è un'articolo apparso su "La Repubblica" il 4 gennaio 2006, e di questi casi ne avevo già sentito parlare in un documentario trasmesso tempo fa da un canale televisivo satellitare. Mi ha colpito molto nella testimonianza da parte di chi ha vissuto questa esperienza il saper descrivere perfettamente la rabbia che hanno ancora oggi a distanza di tempo.

[b]Oslo, l'incubo dei "figli di Hitler" nati per creare la razza pura
Trattati come vergogna nazionale rivendicano i loro diritti
Un gruppo di war children porta la Norvegia di fronte alla Corte europea dei diritti
Molti di loro sono stati rinchiusi in manicomio o in orfanotrofio sin da piccolissimi.
Unica colpa, l´essere figli di soldati tedeschi Chiedono scuse formali e compensazioni per 50 anni di maltrattamenti


OSLO - I segni della colpa Solvi Kuhrig Henningsen li porta impressi sul volto: sono due occhi blu perfetti, che quando parla trattengono a fatica le lacrime. È una signora elegante e parla sottovoce: ha 60 anni, una grande spilla sulla giacca e un amore profondo per Venezia e la Sicilia. Gerd Synnove Moen invece veste una vecchia tuta, porta i capelli senza nessun ordine e fuma una sigaretta dietro l´altra. Ha paura degli ascensori e di tutti i fantasmi che le compaiono davanti agli occhi ogni volta che racconta la sua storia. Un legame profondo unisce due donne tanto diverse sin dal giorno in cui sono venute al mondo: entrambe sono prototipi di quella razza superiore che, nelle intenzioni di Adolf Hitler e del capo delle SS Heinrich Himmler, avrebbe un giorno dovuto dominare il mondo.
Gerd e Solvi sono il frutto di due delle migliaia di relazioni fra donne norvegesi e soldati del Reich che, negli anni dell´occupazione nazista, i comandanti tedeschi incoraggiarono in nome della creazione della pura razza germanica. Le donne norvegesi - alte, bionde, sane - sembravano perfette allo scopo: i soldati - in tanti casi anche per amore - non si tirarono indietro. Alla fine della guerra nel paese si contavano fra i 10 e i 12mila war children, bambini nati da queste unioni. Parte di loro nacquero nei Lebensborn, "case-famiglia" collegate alle SS: inaugurate in Germania, furono "esportate" in Norvegia. Qui le donne incinte venivano accolte e fatte partorire e i bambini curati. Quello che ne sarebbe stato di loro una volta cresciuti è difficile dirlo: quando la guerra finì la maggior parte non aveva che pochi anni. Né Gerd né Solvi sono mai state in un Lebensborn: le madri le tennero con sé e mantennero i legami con i padri naturali, finchè la fine della guerra e la sconfitta nazista non li allontanarono, trasformando le donne in nemiche della loro stessa patria e le piccole in un imbarazzante lascito. Solvi rimase con sua madre, Gerd, che aveva due anni, fu rinchiusa in un orfanotrofio, dove rimase fino ai 18 anni. Per entrambe fu l´inizio di un´infanzia difficile, fatta di maltrattamenti e insulti: «bastarde tedesche» prima, «puttane tedesche» poi.
In quegli stessi mesi Paul Hansen, che di anni ne aveva tre, finiva in un ospedale mentale: la fine del conflitto lo aveva sorpreso nel Lebensborn dove la madre lo aveva abbandonato. Come tutti gli altri bambini che erano lì fu rinchiuso in manicomio sulla base della teoria, piuttosto comune nella Norvegia di allora, che le donne che avevano avuto relazioni con il nemico fossero pazze o criminali: i loro figli non potevano non portarsi dietro la stessa tara genetica. Di manicomio in manicomio crebbe fino ai 21 anni, quasi senza istruzione: oggi fa le pulizie all´università di Oslo, e fatica a trattenere la rabbia. «Se potessi, la farei saltare in aria», dice indicando la sede del governo.
Le storie di Paul, Gerd e Solvi e degli altri war children sono una diversa dall´altra, ma un filo rosso le unisce: dopo la fine del conflitto il loro Paese li trattò come un´eredità ingombrante. Privati dei diritti dei comuni cittadini, si pensò a un certo punto di deportarli in massa in Australia: il progetto fallì, ma i piccoli rimasero un peso. Molti furono abbandonati dalle madri e rinchiusi in orfanotrofi, altri finirono in manicomio, altri ancora crebbero con famiglie che li fecero sentire colpevoli per la loro stessa nascita. I più fortunati oggi ricordano ingiurie e maltrattamenti: altri, come Gerd, raccontano di esperienze vicine alla tortura.
Alla fine degli anni ‘90, dopo che le prime testimonianze ruppero un silenzio durato 45 anni, i war children sono venuti allo scoperto rintracciandosi l´uno con l´altro e riunendosi in associazioni. Da lì a far esplodere la rabbia il passo è stato breve: i figli della guerra hanno iniziato un durissimo braccio di ferro con il loro Paese, chiedendo al governo di assumersi la responsabilità dei maltrattamenti e delle discriminazioni e di indennizzare coloro che le avevano subite. La lotta ha portato qualche risultato: nel 2000 lo Stato, per bocca del premier Kjell Magne Bondevik si scusò con i war children per il modo in cui erano stati trattati per 55 anni. Qualche mese fa poi, il Parlamento ha riconosciuto loro il diritto ad una compensazione, fissando una cifra indicativa di 20mila corone, poco più di 3000 euro. «Un barile di aringhe», dice sprezzante Hansen.
I due atti hanno rotto un silenzio durato decenni, ma non sono bastati agli ex bambini: sostenuti dalla battagliera avvocatessa Randy Spydevold hanno portato la loro storia di fronte alla Corte europea per i diritti dell´uomo. La vicenda è all´esame del tribunale di Strasburgo in questi giorni: il verdetto dovrebbe arrivare in estate. Se lo sarà riconosciuto colpevole di aver violato i diritti di queste persone, lo Stato norvegese sarà probabilmente obbligato ad alzare la cifra stanziata per le compensazioni: e, sperano i diretti interessati, a parlare di nuovo della vicenda. «Questa non è una questione di soldi - spiega Spydevold - i miei clienti rivogliono la dignità che gli è stata negata per anni. Pretendono delle scuse vere. Queste persone sono state respinte, tenute ai margini, per anni. La civile Norvegia ha applicato a loro la teoria di Himmler, rovesciandola: li ha trattati da inferiori, solo in base alla loro nascita».
Spydevold parla con la passione della diretta interessata - «questo caso ormai è una parte della mia vita», dice - ma le ricerche dimostrano che tanta foga è giustificata: studi di storici indipendenti provano che fra i war children ci sono livelli di suicidi superiori alla media e i tassi di istruzione degli ex bambini sono stati inferiori a quelli dei coetanei. Questo li ha portato a lavori meno qualificati, redditi inferiori e quindi a pensioni più basse. Dati accettati dallo stesso governo norvegese, che oggi sembra ansioso di chiudere la vicenda e sostiene di aver già fatto la sua parte, con le scuse e la promessa di compensazione. «Balle, tutte balle - sbotta Bjorn Lengfelder, un commediografo che dal passato si difende con un´ironia tagliente - noi vogliamo che ammettano che politici, scuole, medici e funzionari hanno fatto qualcosa che ha rotto la legge. Che quello che abbiamo subito non sono state solo molestie, che c´è stato un disegno globale, che tutti sapevano e nessuno si è mosso».
Mentre parla Bjorn guarda i suoi compagni: fra tutti sembra il più forte. È lui che allunga la mano verso Gerd quando lei riprende a parlare dopo un lungo silenzio, come emergendo da un sogno. «Sono passati tanti anni, e continuiamo a chiederci perché ci siamo meritati questo trattamento - dice - ecco, noi vogliamo che qualcuno ci dica perché. E che ci chiedano scusa: eravamo solo bambini».



Nati per progettare la razza che avrebbe dominato il mondo, finita la guerra con la sua pazzia umana, questi all'epoca bambini sono stati nascosti perchè senza diritti e diventati figli di nessuno.