I Palestinesi sono derubati da Israele

di Amira Hass

Nei porti si richiede agli importatori palestinesi di pagare alle autorità israeliane un’IVA del 17% oltre alle altre tasse doganali dovute sui beni che entrano nella West Bank o a Gaza. Queste transazioni (unitamente alle transazioni dirette fra palestinesi e aziende e commercianti israeliani) l’anno scorso hanno prodotto un’entrata di 711 milioni di dollari. Ma di chi sono questi introiti?


E’ evidentemente difficile togliere l’etichetta incollata sul finestrino anteriore. Per questo quando una macchina nuova proveniente dalla Germana o dalla Corea del Sud o dagli Stati Uniti gira fra le strade stracolme di Gaza o di Ramallah, generalmente porta per parecchi mesi appiccicata al parabrezza una grossa etichetta con spessi e rossi caratteri ebraici che formano la parola “controllato”.

L’etichetta è il contrassegno di una speciale dogana e dei controlli di sicurezza eseguiti al porto israeliano di Ashdod o a quello di Haifa, che costituiscono l’ingresso principale per la maggior parte dei carichi destinati alla West Bank o a Gaza. I palestinesi importano prodotti di tutti i tipi: pompe per l’acqua dalla Svezia, bulldozers e scatole di fiocchi di granturco dagli Stati Uniti, giocattoli di plastica dalla Cina, lavatrici dalla Francia e formaggi dalla Danimarca – e praticamente tutte queste cose raggiungono la loro destinazione solo dopo essere transitate attraverso la capitaneria di porto e i controlli di sicurezza israeliani.

Nei porti si richiede agli importatori palestinesi di pagare alle autorità israeliane un’IVA del 17% oltre alle altre tasse doganali dovute sui beni che entrano nella West Bank o a Gaza. Queste transazioni (unitamente alle transazioni dirette fra palestinesi e aziende e commercianti israeliani) l’anno scorso hanno prodotto un’entrata di 711 milioni di dollari.

Ma di chi sono questi introiti?

A giudicare dalle azioni del consiglio dei ministri israeliano di domenica, il denaro appartiene ad Israele. Il consiglio ha annunciato che avrebbero trattenuto le tasse palestinesi e le entrate doganali, almeno per il momento, come risposta alla vittoria elettorale di Hamas. Fino a quando non sarà consegnato – se lo sarà – il tesoro israeliano percepirà gli interessi.

Ma non è previsto che le cose funzionino in questo modo. Secondo gli accordi di Oslo (e secondo qualsiasi standard di buon senso e di elementare giustizia) le entrate dovrebbero giovare alle persone che hanno comprato i beni. Questi introiti non sono donazioni di benevolenza da parte di Israele, non sono carità. Non sono come, per esempio, gli aiuti esteri olandesi, che sono dati liberamente dal popolo olandese e possono essere rifiutati se gli olandesi decidono di sospendere le donazioni. Questi sono proventi di tasse che sono dovuti alla gente dei territori a cui i beni sono diretti, e gli israeliani non hanno alcun diritto di trattenerli.

Dal 1994, questi introiti, assegnati ogni mese dal ministero israeliano delle finanze, hanno costituito una porzione critica del bilancio dell’Autorità Palestinese. Quando Israele per un breve periodo smise di assegnare questi introiti nel 2001, la pressione da parte dell’EU e di altri paesi – compresi gli Stati Uniti – costrinse Israele a cambiare la sua decisione. Sfortunatamente, dopo la vittoria di Hamas, questa pressione sembra improbabile.

Lo scorso anno, i 711 milioni di dollari costituivano almeno i due terzi delle entrate dell’Autorità Palestinese. (383 milioni di dollari sono stati raccolti in entrate e tasse di vendita solo all’interno della West Bank e di Gaza). Anche con tutti questi introiti, c’era ancora un deficit di 800 milioni di dollari nel bilancio di un miliardo e novecentomila dollari dell’Autorità Palestinese. Come mai le entrate ascrivibili alle tasse interne sono così modeste? Perché l’economia è in costante recessione e “opera ben al disotto della sua potenzialità” secondo la Banca Mondiale.

Quello che debilita e rende inefficiente l’economia palestinese sono le pesanti, sistematiche restrizioni di movimento imposte da Israele sui territori occupati – centinaia di blocchi stradali e di checkpoint militari che ritardano, allungano e danneggiano la normale attività economica e quindi le entrate potenziali dovute alle tasse.

L’Autorità Palestinese non può compensare la “perdita” – o forse sarebbe più preciso dire il “furto” – delle entrate per le tasse.

Il suo Ministero della Sanità, per esempio, non è stato in grado di pagare i suoi fornitori di cibo, attrezzature e medicine per gli ospedali per tre mesi ed è indebitato per 22 milioni di dollari. Ora con il furto mensile israeliano di altri 50 milioni di dollari, il ministero non sarà in grado di pagare il salario dei suoi 13.000 impiegati. La stessa cosa vale per i circa 40.000 impiegati del Ministero dell’Istruzione.

Nei territori palestinesi il 35% dei residenti fra i 20 e i 24 anni sono stati disoccupati durante l’ultimo trimestre del 2005. Circa il 43% vive al disotto della soglia di povertà stabilita dalla Banca Mondiale e il 15% vive in grave povertà – che significa, sempre secondo la Banca Mondiale, che non sono in grado assicurarsi i mezzi di sussistenza vitali.

Prendendosi le loro magre – ma indubbiamente loro – entrate, Israele non punisce Hamas e non li persuade a cambiare le loro posizioni. Dà soltanto ai palestinesi un’ulteriore ragione per guardare ad Israele come ad una forza d’occupazione aggressiva e repressiva.