«Il Pd avrà le facce di Craxi e Sofri, senza un posto per Berlinguer»
«Con dolore, ma dico sì a Mussi»
Parla Olga D'Antona: «Veltroni, che è un amico, mi ha capita. Nessun dialogo, invece, con Fassino e D'Alema»
Olga D'Antona, deputata Ds e vedova del giuslavorista Massimo D'Antona ucciso dalle Br (Imagoeconomica)
ROMA — Onorevole Olga D’Antona, anche lei con Fabio Mussi, anche lei fuori dai Ds.
«Anche io. Con fatica, con dolore...».
Le va di spiegarlo, questo dolore?
«Sa a quanti anni presi la prima tessera del Pci? A 25. All’epoca lavoravo nelle assicurazioni, ero soprattutto una militante sindacale, ma stare nel Pci significava vivere dentro un mondo di valori che...».
Dava un senso di appartenenza.
«Ecco, sì. Ti faceva sentire partecipe di qualcosa. E poi, vede: non vorrei apparirle retorica, ma era anche una questione di comportamenti, di facce.
Le facce erano importanti».
Lei sta pensando a Enrico Berlinguer...
«Sì, certo, chiaro... sto pensando a lui e a quelli che se ne vanno a fondare il partito democratico, dicendo che nel loro nuovo Pantheon, per uno come Berlinguer, non c’è posto».
L’ha detto il ministro Pierluigi Bersani.
«Guardi, credo l’abbiano fatto capire in molti, compreso Fassino, in un suo libro. Fassino, tra l’altro, ci ha persino spiegato di avere un Pantheon in cui c’è... c’è addirittura Craxi».
Craxi, sostiene Fassino, ebbe delle intuizioni che...
«Lasciamo stare, che è meglio. Prima parlavamo di valori, no? Beh, per me la questione morale è ancora un valore».
Lei, onorevole, ha un tono duro, polemico.
«Come immaginerà, ho preso certe decisioni così difficili attraversando un vero e proprio travaglio personale e...».
Senta: lei è in ottimi rapporti con Walter Veltroni, che di questo Pd è uno degli architetti politici. Ha cercato di convincerla?
«Vede, a Walter sono legata da un profondo senso di amicizia. Mi fu vicino quando le Br uccisero mio marito Massimo e poi fu sempre lui a chiedermi di candidarmi, nel 2001, alle elezioni. Ma, dopo avermi ascoltata, ha capito. Gli altri, invece...».
Gli altri, chi?
«Fassino e D’Alema. Con loro due non ho mai avuto l’opportunità di avere un colloquio».
Che, però, le sarebbe sembrato opportuno.
«Mi sarebbe sembrato logico ragionare tutti insieme, e invece alla fine è vero ciò che hanno scritto molti osservatori: è stata un’operazione decisa a freddo, da cinque, sei, sette persone al massimo».
Però poi c’è anche stato il congresso di Firenze, i militanti hanno votato, la mozione di Fassino è risultata largamente vincente.
«Vuol sapere cosa penso del nostro congresso e di quello della Margherita?».
Prego.
«Ha presente i matrimoni a distanza?»
Prodi sostiene che il Pd non sarà niente di meno dell’Ulivo...
«A me piaceva l’idea dell’Ulivo così come nacque. Ero disposta a quelle contaminazioni, mi sembrò un’utopia realizzabile. Oggi la scena mi sembra cambiata».
La spieghi, dal suo punto di vista.
«Fassino ci ha chiesto di fonderci con la Margherita, vale a dire con quel partito che più frequentemente fa sponda con un certo clero così tremendamente aggressiva... Devo continuare?».
Lei non crede alle parole di Rutelli, che promette equilibrio?
«Rutelli? Il quale ci dice chiaramente che il Pd non sarà mai nella famiglia del socialismo europeo? No, non credo alle sue promesse. Nella Margherita c’è chi mette in dubbio la legge sull’aborto, sappiamo ciò che pensano delle coppie di fatto... e poi, questo Pd: che tipo di rapporto intende avere con i lavoratori?».
Pensi: ad Adriano Sofri, il congresso di Firenze, invece, è piaciuto.
«Sì, lo so, è venuto ad assistere...».
Lei fu molto critica sulla sua presenza già quando lo vide sul palco del teatro Capranica di Roma, il pomeriggio in cui Fassino presentò la sua mozione.
«Se non avessi protestato, guardi, ce lo saremmo ritrovato pure sul palco di Firenze. Il che, diciamo, sarebbe stato un po’ troppo».
Fabrizio Roncone
26 aprile 2007