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  1. #21
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    Citazione Originariamente Scritto da Italianhawk83 Visualizza Messaggio
    (da un mio post precedente)
    Tutti i commentatori parlano di un progetto fortemente caldeggiato dal Cav (che dimostrerebbe ancora una volta la sua enorme scaltrezza): forse che abbiamo proprio bisogno, ALL'INTERNO DELLA CDL, di coprire la prateria ideologica che si sta aprendo al di là di An e di un'area speculare a quella rifondarola in un cdx fin troppo centrista? (si parla di non disperdere voti, voti concreti, non di grandi strategie ideali)

    La pensiamo diversamente Gilbert, non per questo non si può camminare insieme: le conclusioni sono diverse, molto diverse forse, ma le premesse restano pressoché identiche.
    ti dico, ci ho sperato per anni, non ci credo più che siano intenzionati a far nascere un partito conservatore.
    In ogni caso, Fini andava politicamente stroncato sul nascere del finianesimo.
    Ai "cons" di AN, la responsabilità di aver snaturato AN, e quella di non aver stroncato un nuovo "mostro".

    Ad ogni modo, ti assicuro che stima e rispetto sono reciproci!
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
    RICOSTRUIAMO LA NOSTRA PATRIA !

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da Gilbert I Visualizza Messaggio
    ti dico, ci ho sperato per anni, non ci credo più che siano intenzionati a far nascere un partito conservatore.
    In ogni caso, Fini andava politicamente stroncato sul nascere del finianesimo.
    Ai "cons" di AN, la responsabilità di aver snaturato AN, e quella di non aver stroncato un nuovo "mostro".

    Ad ogni modo, ti assicuro che stima e rispetto sono reciproci!
    Il partito "conservatore" è fuori discussione Gilbert, siamo in Italia. Questo aggettivo continua a essere utilizzato nella sua (peraltro inesistente) accezione deteriore da unionisti e cidiellini, senza che gli venga minimamente riconosciuta la sua origine storico-politica.

    Il compromesso realizzabile in Italia riguarda la Destra, non il conservatorismo propriamente detto. L'unica strada percorribile resta quella di armonizzare il retaggio post-fascista alle varie declinazioni della Tradizione (cattolica anzitutto).

    Un partito integralmente conservatore (non si parla del megacontenitore in stile Tories, a cui rimane solo l'etichetta) da 6-7% non ha alcuna possibilità di vedere la luce a meno che non esca un suicida partito "degli intellettuali" sul modello Democrazia nazionale che muore dopo un paio di giorni.

    Ai conservatori non resta che prendersi piccole porzioni (correnti, ali, chiamiamole come vogliamo) di questa destra italiana molto sghemba, ma a cui unicamente riconosco la titolarità di rappresentarmi.

  3. #23
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    Questi sono gli esempi da mostrare alle nuove leve, e per molti versi questa è la mia formazione (non gli stessi autori ma una mole di letture altrettanto importante). A Fini, però, gente così non serve. Ha dato esempio con il suo caso (si scoprì di destra dopo aver visto "Berretti verdi"; la sua profondità culturale è pari a quella di un merluzzo...), ora continua pretendendo - ovviamente dato il personaggio - solo lisciasuole tra i suoi piedi. Da Marcello Veneziani ad Andrea Ronchi: grazie Gianfranco!

    L'affollata solitudine
    int. a Marcello Veneziani

    "La mia formazione? Non è legata all’universo dei libri, ma alla vita pratica. Sono quasi tutte esperienze legate al mare, alla campagna, a semplici episodi di casa, piccole paure, oppure sogni che diventando ricorrenti si trasformano in incubi". Insomma, Marcello Veneziani, uno degli intellettuali più prolifici della cultura non conformista, ai libri ci è arrivato "dopo". Dopo essere cresciuto.

    Nessun ricordo legato alla lettura?

    A sette-otto anni lessi su un giornale la notizia di uno scienziato messicano che diceva che nel Duemila ci sarebbe stata la fine del mondo, preceduta da tre anni di catastrofi. Cominciai a piangere: fu il primo impatto con l’idea del morire. Il secondo impatto traumatico, invece…

    Ma sempre traumatici, questi impatti?

    Mi vengono in mente le cose negative, quelle piacevoli passano più inosservate.

    Ok. Dicevi?

    Mi convinsi di essere pazzo, e che tutti si fossero messi d’accordo per tacermi la mia follia.

    E come mai, proprio pazzo?

    In realtà ero condizionato dal fatto di vivere in un paese, Bisceglie, che aveva il più grande manicomio d’Europa. E poi di conoscere persone che avevano avuto disturbi mentali. Fu una specie di escalation che covai per qualche giorno, con un’esplosione finale durante la quale mi misi a gridare "io sono pazzo, non volete dirmelo!". In effetti non avevo dati né segnali per pensarlo… Ma tant’è. Per il resto, ho avuto un’infanzia serena, molta passione calcistica, mare, una famiglia fin troppo permissiva. Pensa che mia madre, la mattina, mi svegliava dicendomi "se proprio hai ancora sonno, non andare a scuola".

    E tu?

    Dovevo farmi forza. Capirai, era dura, con un invito del genere! Insomma, ero il quarto, il più piccolo, sempre coccolato.

    Non proprio l’educazione che ci si può aspettare in un uno di destra…

    Il contrario dell’educazione autoritaria: studia quando vuoi, esci quando vuoi, ritirati quando vuoi. In pratica avevo tutti i presupposti per diventare un bandito. Qualcosa cambiò nel periodo in cui cominciò l’impegno politico. Chiaramente, vedermi rientrare all’alba, dopo aver passato la giornata a volantinare e la notte ad attaccare i manifesti… be’, lì nacque qualche preoccupazione, naturalmente rapportata ad una cittadina di cinquantamila abitanti che non viveva certo la turbolenze di Roma.

    Cinquantamila abitanti… e quanti pazzi?

    Ottomila.

    Urca! Quasi uno a famiglia.

    E io avevo pensato di essere quello della mia. Insomma un paesone, con il mito della Upim di Bari (sta a trenta chilometri da Bisceglie), sai, la gioventù di provincia che andava ai grandi magazzini. Piccoli miti tranquilli.

    Nessun "mito fondante"? Personaggi, racconti di casa…

    Direi semplicemente fatti di vita, che mi sono però passati inosservati. Sono convinto che ci sia stata una formazione inconsapevole, non legata a particolari episodi né a specifiche letture. Anche i miei genitori non mi hanno dato una formazione impartita attraverso princìpi, ma attraverso comportamenti, silenzi, allusioni. Per quanto riguarda i libri, comunque, il primo che forse mi ha svegliato, nel senso che dici tu, è stato un volume di Giovanni Papini, alle scuole medie, Il muro dei gelsomini. In particolare mi colpì un racconto in cui ricordava dell’incontro a Firenze che lui, dodicenne (quindi della mia stessa età quando leggevo il libro), ebbe con un pazzo che poi si sarebbe rivelato essere Nietzsche. Passeggiava con la madre sul Lungarno quando incontrò un uomo con grandi baffi che si avvicinò a questo bambino vestito alla marinara e lo accarezzò. In questo racconto Papini disse: "Io che ho scritto la storia di Cristo, fui accarezzato dal profeta dell’Anticristo". Mi colpì molto la figura di questo filosofo che nemmeno sapevo come si leggesse…

    Come Buttafuoco: una costante linguistica della fascisteria meridionale!

    Evidentemente. Quindi, Papini mi trasmise la passione per i libri che prima non avevo, il furore dei libri, la voglia di cambiare il mondo, di volersi quasi trasformare in piccoli dèi. Insomma della vita eroica, attraverso le azioni, le letture e i comportamenti.

    Anno?

    1967.

    Io sono andato alle medie sei anni dopo, però di Papini non se ne parlava neanche lontanamente.
    Be’, intanto ancora non era arrivato il furore del ’68. E poi avevo un insegnante di lettere che, come scoprii inseguito, era di destra, ed evidentemente la scelta di Papini aveva qualche nesso con la sua formazione letteraria. C’era anche una cosa che avvertivo, senza rendermene conto razionalmente: il senso della diversità. Papini si sentiva diverso dagli altri ragazzi: un po’ misantropo, brutto, povero… si sentiva escluso dall’intellighentzia fiorentina.

    Perché, anche tu eri un solitario?

    No, al contrario, ma avevo un secondo registro di vita, un senso di solitudine in cui avvertivo una forte diversità e un certo disagio anche nell’ambiente paesano, mancante di stimoli. Scrissi allora, su un diario, un progetto di vita che si è quasi completamente realizzato: sarei andato a Roma, avrei cominciato a scrivere, avrei fatto il giornalista… Evidentemente si era già formata una personalità in quegli anni, prima che me ne accorgessi io stesso. Probabilmente è stato Papini a tirarla fuori.

    A casa trovavi letture interessanti?

    Sono stato favorito non dall’invito di mio padre a leggere questo o quest’altro, ma dalla semplice presenza dei libri e dal fatto che lui li sistemasse e risistemasse (aveva una bella biblioteca, era preside di liceo e insegnava filosofia). E la filosofia, prima di studiarla a scuola, è stata una passione che ho coltivato di nascosto.

    Perché di nascosto?

    Perché sentivo che a scuola me l’avrebbero rovinata. Ero uno dei più indisciplinati, dei più disattenti, ai limiti del teppismo, invece poi andavo a casa e la studiavo con tenacia. Ho sempre coltivato questo sdoppiamento: la schizofrenia è una cifra che mi appartiene.

    Quindi niente libri "per ragazzi"…

    No, non sono uno che si è formato su Moby Dick o su Pinocchio. Da bambino non leggevo assolutamente niente né vedevo la tv. Tutta la mia fantasia si scatenava giocando a pallone.

    In che ruolo?

    In attacco: ala sinistra, e non ero neanche male. Poi ho avuto un crollo di qualità di rendimento, contemporaneamente ad una crescita di attenzione per la lettura. Ma fino a tredici anni ero convinto che sarei diventato calciatore. Mi accorsi del cambiamento di prospettiva quando andai a Montecatini e costrinsi i miei genitori a portarmi ad Altopascio, dove era in ritiro la squadra del Palermo, della quale non me ne importava niente, ma per me il ritiro era qualcosa di mistico… Quando andai lì, però, mi interessai più al giornalista del Corriere dello Sport, che seguiva la squadra, che non ai giocatori. Da lì mi accorsi che la mia passione vera non era tanto il calcio ma il commento del calcio o, meglio ancora, il commento a prescindere dal calcio. E piano piano mi allontanai e passai dal Corriere dello Sport a Il Borghese e poi al Secolo d’Italia.

    Il Borghese di Mario Tedeschi?

    Quello dove scrivevano Prezzolini, Jünger, Buscaroli, Evola.

    Nel ’68, quindi, eri uno studente delle medie…

    Sì. Ricordo che non riuscivo a leggere i cartelli dei manifestanti: così mi accorsi di essere miope. Da allora misi gli occhiali e contemporaneamente cominciai a detestare i sindacati.

    E a far politica?

    Infatti. All’inizio del ’70 aderii all’organizzazione giovanile del Msi, Raggruppamento giovanile, che in quell’anno cambiò nome in Giovane Italia, di cui fui io il primo segretario biscegliese. Il mio impegno politico fu breve ma intenso: due anni di militanza come segretario dei giovani missini, tra i 15 e i 17 anni.

    E a casa?

    Non la presero bene, perché anche se la mia era una famiglia genericamente destrorsa il clima politico era già preoccupante. Fu visto con inquietudine soprattutto da mia madre il fatto che a 15 anni stessi otto ore al giorno in sezione, poi di notte ad attaccare i manifesti, poi ai comizi (organizzavamo i furgoncini, o i pullman se era Almirante a parlare) c’erano le manifestazioni antifasciste… insomma, un minimo di apprensione, anche se non ho mai avuto fatti traumatici. L’attività politica già si associava alla passione per il giornalismo: a differenza degli altri che usavano il ciclostile, noi avevamo un torchio a mano, comprato con i soldi della mia borsa di studio. Era di quelli con i caratteri a piombo che si mettevano uno per uno, un lavoro pazzesco che facevamo io e due camerati… dieci ore per fare un foglio di trenta righe. Ma erano manifesti bellissimi.

    I grandi vi davano una formazione di qualche tipo?

    Mah, ne davamo più noi, veramente. Feci una full-immersion di letture.

    Dove li trovavi i libri?

    Li ordinavo per posta, o venivo a Roma in via degli Scipioni, al Centro editoriale: quello sì, un mito. Non avendo chi mi dava indicazioni, me le cercavo. Ad esempio scoprii l’editore Volpe perché c’era una manchette su Il Secolo d’Italia. Cominciai con Orientamenti di Evola e poi lessi tutti i suoi libri, parallelamente a Nietzsche, Heidegger e altri. Sempre da Volpe scoprii l’esistenza di Adriano Romualdi. Di nessuno, però, potrei dire che ha avuto un ruolo "definitivo" nella mia formazione.

    Romanzi?

    Pochissimi.

    Cinema?

    Molti film. Quelli che mi hanno più colpito sono venuti con gli anni, Il Gattopardo, Arancia meccanica e anche Rollerball, poi film di nostalgia come quelli di Francesco Rosi, Tre fratelli, oppure Anima persa con Gassman e anche Profumo di donna… I film di Visconti… E mi piaceva molto Totò, una passione che ho sempre coltivato.

    Dopo la lettura fortissima di quegli anni, i corsi, e poi?

    A 17 anni prevalse l’anima intellettuale da una parte e il gusto di vivere dall’altra, perché devo dire che fino ad allora vivevo in sezione con uomini di 80 anni che raccontavano storie di guerra, episodi erotico-politici impensabili… C’era addirittura uno che si vantava di aver sodomizzato il Papa! A quell’età scoprii insieme il sesso e i libri, ed entrambi mi allontanarono dalla politica che allora, in paese, aveva una forte caratterizzazione di vecchi tromboni… Tutto diventava incompatibile con le pulsioni che sentivo sia a livello intellettuale sia erotico. Poi, all’indomani della vittoria del ’72 Almirante se ne uscì con lo slogan "Dopo il 7 maggio o al potere o in trincea"; noi eravamo eccitati da entrambe le prospettive, e quando vedemmo che non andavamo né al potere né in trincea, fu una grande delusione. Quindi andai via

    E arriviamo al periodo dell’università.

    Nel ’75 mi iscrissi a Bari, dove i professori erano legati al Pci, salvo alcuni che erano extraparlamentari. Quindi facevo l’università "per corrispondenza". Andavo solo per fare gli esami e concordavo con i professori programmi alternativi, perché quelli ufficiali erano tutti incentrati su Marx, Lenin, Gramsci, mentre io preparavo Jünger, Gentile, Evola…

    E i professori li accettavano?

    Sì. Mi sorprese che tutti quei professori comunisti accettassero i miei cambiamenti di programma ma, salvo un paio di volte, non ho sofferto casi di discriminazione. Mi sono addirittura laureato con una tesi su Evola e la ricerca dell’assoluto, che poi diventò un libro. Anche quello, insomma, fu un percorso autonomo, una sorta di bricolage personale. Il mio dramma è stato quello di non aver avuto maestri. A parte, forse, Giovanni Volpe. Cominciai a pubblicare con lui perché Ugo Spirito gli mandò una cartolina in cui segnalava un mio scritto. Volpe scrisse delle pagine estremamente positive nei miei confronti, ed ebbi con lui un rapporto di vero affetto.

    Che tipo era Giovanni Volpe?

    Sembrava un signore rinascimentale, alto, con questo pizzo bianco… Mi permise di conoscere un mucchio di gente interessante. Nel ’75 organizzò un seminario a Milano Marittima dedicato al fascismo, dove conobbi per la prima volta Stenio Solinas, Maurizio Cabona, Bruno Soccillo, Roberto de Mattei, Francesco Perfetti. Poi andai ad un altro convegno sul Medioevo, sempre organizzato da Volpe, che aveva ormai settant’anni. Arrivai in quel castello che aveva in Romagna, dove sentii per la prima volta Piero Buscaroli ed Enzo Erra: mi sembrava il mito di ragazzo che si faceva realtà. Fu un esperienza straordinaria. Poi collaborai a La Torre, per due numeri ad un mensile che si chiamava Omnibus che facemmo con Tarchi, Malgieri, de Turris. Poi litigammo subito con Volpe e tra di noi così finì subito, sul nascere.

    Cosa vi fece litigare?

    Nell’81 organizzammo un dibattito che fece storia, con Cacciari e Mughini. Tre mesi dopo lo fece Tarchi a Firenze, ma il primo lo facemmo io e Malgieri a casa di de Turris, davanti ad un quadro di Evola. Fu il primo incontro tra destra e sinistra: si chiamava "La cultura della tolleranza", un titolo un po’ puttanesco, però significativo. Dopo questo numero Volpe, che aveva un carattere difficile, cominciò a criticare questa libertà di incontri con gli avversari. Preparammo il secondo numero che non uscì mai e Omnibus chiuse i battenti. Io invece continuai il mio rapporto con Volpe con Intervento. Quando morì non ero presente, ed è una cosa che ancora mi fa star male. Era il 1984; lui chiuse i lavori di un convegno, si accasciò e morì davanti al pubblico. Era l’unico convegno a cui non ero andato per la semplice ragione che io e la mia fidanzata avevamo scoperto di aspettare un bambino, e mi dovevo sposare in quei giorni. Mi colpì per tante circostanze: era morto nello stesso giorno in cui morì Giovanni Gentile e lo stesso in cui era nato mio padre, infatti scrissi un articolo sull’Italia settimanale "I tre Giovanni", per dire che il 15 aprile, per me, è un giorno importante perché è legato alla morte di due padri spirituali e a quella del padre naturale.

    Padre spirituale? Ma se di Gentile non hai parlato…

    Devo dire che di Gentile mi colpiva più la sua vita che non la sua filosofia. Non è stato un autore di formazione, ma le ultime pagine Genesi e struttura della società, sulla fierezza del carattere, associate alla morte di Gentile mi lasciarono un segno. Ricordo che uno dei miei primi articoli, che scrissi a 19 anni su L’Alternativa di Benevento, fu dedicato a lui. Citavo Nietzsche che diceva di Schopenhauer: "Ciò che insegnò è finito, ciò che disse rimane". Per me Gentile era la stessa cosa: la sua filosofia è finita, ma il suo esempio di vita rimane.

    Tornando al "percorso", quando sei diventato giornalista?

    Appena laureato, dopo vari tentativi, cominciai a scrivere per Il Tempo, sulle pagine pugliesi; per Il Secolo, dove facevo articoli culturali, inchieste, poi su Vita. Sfumò un contratto a Bari con La Gazzetta del Mezzogiorno perché avevano saputo che ero di destra: avevo iniziato a scrivere su Linea di Pino Rauti. Finalmente fui chiamato a Roma con un contratto di praticante a Il giornale d’Italia. Dopo il praticantato, ebbi la possibilità di diventare direttore editoriale con Ciarrapico. Pubblicammo molti libri che credo abbiano un certo valore. Ma il mio progetto era (e credo di averlo portato fino ad un certo punto) quello di far nascere una grande casa editrice di destra. Riuscii a spingere Ciarrapico a comprarsi il magazzino del Borghese, il magazzino della Fenice che deteneva l’opera omnia di Mussolini e che ripubblicammo, e la casa editrice di Giovanni Volpe, che intanto era morto. Volpe, come ho detto, ha avuto per me un ruolo importantissimo. Tra la fine degli anni ’70 e i primi degli ’80 è stato un mio riferimento. Insomma, riuscii a creare le condizioni per una grande casa editrice di destra. Però, arrivati al momento culminante, cioè quando avevamo ormai i mezzi per fare "la grande opera", avvenne qualche cosa per cui Ciarrapico (pare su indicazione di Almirante) mi lasciò fuori. Improvvisamente mi disse che non intendeva più fare attività culturale, ma solo pubblicare qualche libro come infatti fece… ciarpame nostalgico o di cose militari.

    Come mai questa esclusione?

    Quando gli feci prendere l’editrice Volpe, assunsi la direzione di Intervento dove pubblicai saggi di destra anche con qualche critica nei confronti del Msi. Ci fu anche un rapporto epistolare con Almirante che poi ho anche citato in Sinistra e destra riportando le sue frasi, dopo quel colloquio in cui io ribadii l’autonomia della rivista e mia personale nei confronti del Msi. I rapporti peggiorarono con Ciarrapico e fui messo in mezzo ad una strada, con due figli e con una bella targa di "uomo di destra", anche se allora si diceva in un altro modo…
    Fascista.

    Già. Con tutto il problema che comportava. Ragionando con la logica di poi, quella defenestrazione fu salutare, ma obiettivamente in quel momento fu difficile. Avviai un po’ di collaborazioni; Augusto Del Noce mi portò a Il Tempo, per collaborare con la pagina culturale, e questo fu già un bel risultato. C’era Gianfranceschi che appoggiò la mia collaborazione, e anche se Letta non era convinto ci fu il prestigio di Del Noce a giocare per me.

    Tirando le somme, la costante è stata la mancanza di veri maestri.

    È stata anche la mancanza di riferimenti, di protettori e quindi anche di ispiratori, di fratelli maggiori. I miei pregi e i miei difetti sono legati a questa antica solitudine.

  4. #24
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    Citazione Originariamente Scritto da Gilbert I Visualizza Messaggio
    ti dico, ci ho sperato per anni, non ci credo più che siano intenzionati a far nascere un partito conservatore.
    In ogni caso, Fini andava politicamente stroncato sul nascere del finianesimo.
    Ai "cons" di AN, la responsabilità di aver snaturato AN, e quella di non aver stroncato un nuovo "mostro".

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    Il partito "conservatore" è fuori discussione Gilbert, siamo in Italia. Questo aggettivo continua a essere utilizzato nella sua (peraltro inesistente) accezione deteriore da unionisti e cidiellini, senza che gli venga minimamente riconosciuta la sua origine storico-politica.

    Il compromesso realizzabile in Italia riguarda la Destra, non il conservatorismo propriamente detto. L'unica strada percorribile resta quella di armonizzare il retaggio post-fascista alle varie declinazioni della Tradizione (cattolica anzitutto).

    Un partito integralmente conservatore (non si parla del megacontenitore in stile Tories, a cui rimane solo l'etichetta) da 6-7% non ha alcuna possibilità di vedere la luce a meno che non esca un suicida partito "degli intellettuali" sul modello Democrazia nazionale che muore dopo un paio di giorni.

    Ai conservatori non resta che prendersi piccole porzioni (correnti, ali, chiamiamole come vogliamo) di questa destra italiana molto sghemba, ma a cui unicamente riconosco la titolarità di rappresentarmi.
    AN per anni, è stata un bel partito, la colpa di non aver stroncato fini e la sua visione di destra, ricade sulla testa di chi non lo ha fatto.
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
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  5. #25
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    Il partito "conservatore" è fuori discussione Gilbert, siamo in Italia. Questo aggettivo continua a essere utilizzato nella sua (peraltro inesistente) accezione deteriore da unionisti e cidiellini, senza che gli venga minimamente riconosciuta la sua origine storico-politica.

    Il compromesso realizzabile in Italia riguarda la Destra, non il conservatorismo propriamente detto. L'unica strada percorribile resta quella di armonizzare il retaggio post-fascista alle varie declinazioni della Tradizione (cattolica anzitutto).

    Un partito integralmente conservatore (non si parla del megacontenitore in stile Tories, a cui rimane solo l'etichetta) da 6-7% non ha alcuna possibilità di vedere la luce a meno che non esca un suicida partito "degli intellettuali" sul modello Democrazia nazionale che muore dopo un paio di giorni.

    Ai conservatori non resta che prendersi piccole porzioni (correnti, ali, chiamiamole come vogliamo) di questa destra italiana molto sghemba, ma a cui unicamente riconosco la titolarità di rappresentarmi.
    Su questo tema tutti gli amici conservatori sono d'accordo?

  6. #26
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    AN per anni, è stata un bel partito, la colpa di non aver stroncato fini e la sua visione di destra, ricade sulla testa di chi non lo ha fatto.
    Ossia Gianfranco Fini: la mia non è un'ossessione o un refrain malmostoso. Sto semplicemente ai fatti. Se non fai i congressi, se seppellisci la cultura, se deprimi l'iniziativa, se non coltivi il movimento giovanile, se non incoraggi le scuole di formazione NON CREI CLASSE DIRIGENTE. Se allevi tappeti è solo perché ti servono per pulirci le suole, punto.

    Gli Amendola, i Dossetti, i Gedda, i Rauti non potevano venire fuori con Fini: lui vuole solo il partito UNITO, si guarda bene dal volere il partito MATURO.

 

 
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