Ferenc «il sincero» affonda Nabucco e i bei sogni dell’Ue L’Ungheria, stufa dei ritardi del progetto europeo, si collegherà a Blue Stream. E sarà una base Gazprom
Ferenc Gyurcsany è un ragazzo di sincerità disarmante. In alcuni casi nel vero senso della parola. Nel mondo è diventato famoso non tanto perché è il primo ministro ungherese ma soprattutto perché, poco dopo avere vinto le elezioni lo scorso aprile (è al potere dal 2004), ha detto queste poche ma rivelatrici parole: «Abbiamo fatto idiozie. Non un po’. Alla grande...È perfettamente chiaro che quello che stavamo dicendo non era vero...Non potete citare una singola, importante misura presa dal governo della quale possiamo andare fieri...Quasi sprofondavo quando ho dovuto sostenere che stavamo effettivamente governando. Abbiamo mentito mattina, pomeriggio e notte». Ora, quello sfogo rubato a una riunione interna di partito e reso pubblico gli creò l’autunno scorso non pochi guai. Il Partito Socialista (gli ex comunisti dei bei tempi) riuscì però a tenerlo in piedi e, soprattutto, a procurargli la solidarietà di Joaquín Almunia, il commissario agli Affari monetari dell’Unione europea, nonostante per mesi avesse fatto credere a Bruxelles, alla Banca centrale europea e ai mercati che le finanze pubbliche erano sotto controllo mentre non era per nulla vero. Ora, Gyurcsany, 45 anni, si è ripetuto ma, questa volta, volontariamente. E la Ue farebbe bene a prenderlo sul serio.
Succede che l’Ungheria aveva deciso di partecipare al progetto di gasdotto Nabucco, uno dei progetti di diversificazione energetica più voluti da Bruxelles per allentare la dipendenza dal metano di Mosca. Nabucco è un tubo che dovrebbe correre dall’Azerbaijan - dove raccoglierebbe il gas dell’Asia centrale - fino all’Ungheria e all’Austria passando prima da Turchia, Bulgaria e Romania. Non solo garantirebbe forniture di metano non russo: aprirebbe anche una nuova strada che non passa per la rete di gasdotti controllati dalla potente Gazprom. Improvvisamente, qualche settimana fa, Gyurcsany ha fatto sapere di essere stufo di aspettare un progetto che fatica a concretizzarsi: ha chiamato il Nabucco «un lungo sogno» e ha aggiunto che il suo Paese è stanco di bei sogni. Ragion per cui, appoggerà un’idea alternativa avanzata da Mosca.
Invece di arrivare per la nuova rotta, il gas arriverà in Ungheria come prolungamento del gasdotto Blue Stream, controllato dai russi. Per segnare la differenza rispetto al piano europeo, il premier magiaro ha detto che «Blue Stream è sostenuto da una volontà e da un potere organizzativo molto forti». Il fatto è che Budapest è già oggi dipendente per l’80% delle importazioni di metano da Mosca, e con la nuova pipeline </B></I>lo diventerà ancora di più. Inoltre, il Cremlino ha promesso di fare dell’Ungheria uno degli snodi della distribuzione del suo metano in Europa, di costruirvi cioè un gigantesco centro di raccolta, gestione e distribuzione. Gli esperti e i funzionari della Ue ritengono che, senza l’Ungheria, il Nabucco ben difficilmente ha un senso economico. Ma, di fronte a chi gli obiettava che la sua scelta stava facendo saltare la politica energetica comune europea, il giovano Ferenc ha risposto che non si può fare saltare qualcosa che non esiste.
In effetti, la svolta di Gyurcsany disarma ulteriormente gli strateghi della Ue. Di fronte alla Russia di Vladimir Putin che mostra i muscoli, infatti, Bruxelles non riesce a dare una risposta comune: i singoli governi vanno al Cremlino sperando di avvantaggiarsi rispetto ai partner e stabilire un rapporto privilegiato con Mosca e con Gazprom. La maggior parte dei Paesi europei - comprese Francia, Germania, Italia, Austria - ha firmato accordi bilaterali con quell’entità mezzo politica e mezzo affaristica che è la Cremlino-Gazprom. La Germania dell’ex cancelliere Gerhard Schröder ha anche concordato la costruzione di un gasdotto, Nord Stream (del quale lo stesso Schröder è poi diventato presidente), che passa per il Baltico e arriva ai mercati ricchi europei senza toccare Polonia e Ucraina, un progetto che, secondo l’Agenzia di Ricerca sulla Difesa svedese, dividerà l’Europa e la renderà ancora più dipendente dal gas russo (lo è già per il 50% delle importazioni).
I critici delle cancellerie europee che hanno scelto la strada degli accordi bilaterali con Mosca sono numerosi, a Bruxelles, a Londra e a Washington. I recenti accordi dell’Eni con Gazprom e la sua partecipazione a un’asta per una parte della ex compagnia Yukos, dell’ex oligarca Mikhail Khodorkovskij oggi in prigione in Siberia, hanno attirato le critiche anche su Roma e su Romano Prodi, che dell’accordo Eni-Gazprom e dell’asta si sarebbe interessato direttamente con Putin. L’avvocato di Khodorkovskij, Robert Amsterdam, con una certa iperbole è arrivato a dire che, se a un recente incontro tra Prodi e Gyurcsany fosse stato invitato anche Schröder, ci si sarebbe trovati di fronte a un «asse della codardia».
Che Putin eserciti il potere contando sul bisogno di gas degli europei e sul loro timore di restare tagliati fuori è indubitabile. Il problema, per i Paesi Ue, è che la strategia del Cremlino e di Gazprom finora è passata di successo in successo. Mosca controlla la produzione e i gasdotti interni e nei Paesi vicini. Per garantire forniture di lungo periodo, firma accordi che, tra l’altro, prevedono che ogni singolo Paese della Ue apra il suo mercato domestico, cioè la rete dei clienti, alla distribuzione diretta da parte di Gazprom. Nel frattempo, sviluppa una strategia dei tubi, come nei casi tedesco e ungherese, per rendere l’Europa ancora più dipendente e impedire che sviluppi una politica comune di diversificazione.
Il gas, a differenza del petrolio, è infatti difficile da andare a comprare dal produttore che si vuole. Se in un Paese non ci sono rigassificatori (impianti che rendono gassoso il gas naturale liquefatto) bisogna affidarsi ai gasdotti e questi, nel caso europeo, arrivano da Russia e Algeria. Per ora, Bruxelles non riesce a farci niente: come ha rivelato «Ferenc il sincero».