È in atto la guerra ai “costi della politica”. Contro sprechi, sovente nemmeno avviluppati da parole d’ordine rituali come democrazia, libertà, partecipazione, sono scesi in campo in tanti. Queste stesse pagine segnano una denuncia di privilegi, feudi, corporazioni, che costano al contribuente. Taluni politici si sono mossi, dalla coppia Cesare Salvi e Massimo Villone (col fortunato libro-denuncia Il costo della democrazia), alle recenti proposte di legge radicali (per esempio, per abolire le comunità montane), all’ammissione dello stesso Prodi di essere tali costi superiori alla media europea, sia a livello centrale sia negli enti locali, preludio forse a interventi da operarsi nella finanziaria 2008. Articoli e libri di Gian Antonio Stella (da ultimo La casta, che ha infastidito qualche ospite del Quirinale) continuano la battaglia per anni condotta da Raffaele Costa.
Bisogna, tuttavia, confessare un timore: la guerra ai costi della politica rischia di finire come sovente impegnative guerre, boriosamente dichiarate alla fame, all’odio, alla miseria, che vedono vincere appunto fame, odio, miseria. Già si sono sollevati i difensori dello status quo. A tutela dei vitalizi di deputati e senatori si è ovviamente mossa l’associazione degli ex parlamentari della repubblica; e poiché ogni ritocco ai privilegi dei suddetti dev’essere assunto in sede domestica, è difficile agire. Le centinaia di comunità montane che pullulano nelle nostre plaghe, delle quali è arduo se vituperare più l’inutilità oppure le spese, si sono già schierate, senza distinzioni politiche, a tutela della propria esistenza. I giornali straboccano di lettere contro l’ente provincia: è un fatto che mediamente, negli ultimi anni, ne è nata una dodici mesi, mentre centinaia di parlamentari premono per istituirne alcune decine.
Non si tratta, però, solo di difesa di quel che c’è, per opera di chi vi campa sopra. Si tratta addirittura dell’esasperazione. Tolti il presidente e i funzionari stipendiati del Cnel, non c’è persona con un minimo di buon senso che non ritenga superfluo tale organismo. Allora si può sopprimerlo? Non solo i progetti di legge costituzionale al riguardo non hanno mai percorso un passo, ma le regioni Abruzzo, Friuli, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta si sono costituite ciascuna il proprio cnellino, un Cnel regionale, così da moltiplicare sprechi e inutilità. Fabio Mussi mesi addietro scrisse per l’Unità un garbato articolo nel quale citava, alla trita domanda “che farai da grande?” l’inattesa risposta di un giovane: “il consigliere di circoscrizione”. Ebbene, il mese prossimo a Gorizia si svolgeranno le elezioni per rinnovare, oltre il consiglio comunale, ben dieci consigli di circoscrizione: per una città di 36mila abitanti. Non solo nessuno intende razionalizzare il panorama dei piccoli comuni italici (duemila hanno popolazione inferiore a mille abitanti), ma la camera ha approvato una legge per elargire vantaggi a tali minuscoli centri. Nel dibattito, qualcuno ha chiesto, con sprezzo del ridicolo, l’obbligatoria istituzione di scuola e farmacia in ciascuno di essi (compresi i comuni con meno di 50 residenti).
Alle parole, quindi, si oppongono crudi fatti, come gl’incrementi del finanziamento pubblico alle forze politiche, i vantaggi economici conferiti ai gruppi monoconsiliari nelle regioni, gli aumenti del numero di consiglieri e assessori locali, la sempre più ampia introduzione di costosi direttori generali nei comuni per espropriare i segretari generali. Non si schiodano enti-doppione come i consorzi di bonifica, mentre ci s’ingegna a conferire altre funzioni (a spese dei cittadini) a burosauri come le camere di commercio. I padri Zappata abbondano: più si predica in un senso, più si interviene in senso opposto.
Marco Bertoncini