Una tregua civiledi Maurizio Ferrera
Poteva essere una buona occasione per discutere del modello sociale italiano, per lanciare proposte su come aiutare le giovani coppie e le madri che lavorano. Invece il Family Day rischia di trasformarsi in una contrapposizione tra due diverse visioni della società. Nel nostro Paese vi sono già stati accesi confronti su questioni «eticamente sensibili». Ma questa volta toni e linguaggio hanno raggiunto asprezze preoccupanti. Se una manifestazione sulla famiglia mette in allerta le forze dell’ordine, gli appelli alla compostezza non bastano.
Ciò che occorre è una riflessione su come si dialoga in una società «civile», su come si decide in un sistema liberal-democratico. Ciascuno ha il diritto di dire ciò che pensa, alla politica spetta il compito di mediare. Ma sui temi eticamente sensibili (come il riconoscimento legale delle coppie di fatto) non è facile trovare compromessi: le parti in causa tendono a considerare i propri valori come «non negoziabili ». Vi sono due percorsi per risolvere questo tipo di conflitti. Il primo è quello della «tregua civile». Si prende atto che ci sono visioni non conciliabili sulla famiglia ma si ammette che la radicalizzazione del conflitto non giova a nessuno.
Si negozia un accordo, creando le condizioni per un modus vivendi tra soggetti con valori diversi ma che si sentono comunque parte della medesima comunità politica. Il secondo percorso è quello della «sintesi ragionevole ». Qui non si tratta solo di negoziare un compromesso perché conviene, ma di trovare un minimo comun denominatore che possa essere considerato anche «giusto ». Che di fronte a scelte di convivenza diverse dal matrimonio le gerarchie ecclesiastiche si arrocchino in un dogmatico «non possumus » è cosa che non sorprende.
Ma è davvero altrettanto impossibile per il mondo cattolico italiano individuare un terreno di condivisione «liberale» sul tema delle coppie di fatto? Una condivisione che parta dal riconoscimento che tutte le persone hanno pari dignità, che i cittadini devono essere tutti liberi ed eguali? Nel suo bel libro «Liberalismo politico », il filosofo John Rawls ha osservato che, dopo secoli di lotte religiose, nelle democrazie contemporanee si sono finalmente create le condizioni per forme di «pluralismo ragionevole», basato sul linguaggio e i valori della cittadinanza, sulla capacità di offrire e di ascoltare buone ragioni.
Proprio mentre l’Europa deve affrontare la sfida dell’Islam, vogliamo che nel nostro Paese le relazioni fra laici e cattolici regrediscano verso il confronto «irragionevole»? Può darsi che il disegno di legge sui Dico non rappresenti ancora un buon punto di equilibrio, ma è possibile migliorarlo in Parlamento. È poco probabile che dalle manifestazioni di domani arrivino suggerimenti ragionevoli. Ciò che però si deve chiedere ai manifestanti è di rispettare le regole del dialogo civile. Non solo nei comportamenti ma, per favore, anche nei toni e nelle parole.
11 maggio 2007