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    Predefinito David Miliband, il futuro sono io

    IL PERSONAGGIO / Ambizioso, bello e giovane. Oltre che ministro. Può essere lui l'erede di Tony Blair. Ma prima deve battere la concorrenza del vecchio Gordon Brown

    di Enrico Franceschini

    Suo nonno era un ebreo del ghetto di Varsavia: ne uscì per arruolarsi nell'Armata Rossa, durante la guerra russo-polacca degli anni Venti. Suo padre, nato in Belgio, scappò in Gran Bretagna per sfuggire alle persecuzioni antisemite dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale: nel Regno Unito il giovane rifugiato ebreo fece fortuna, affermandosi come un celebre teorico del marxismo. Quanto a lui, nipote e figlio di tali antenati, ha studiato a Oxford, si è specializzato al Mit, il Massachusetts Institute of Technology, una delle più prestigiose università degli Stati Uniti, a trent'anni è stato il capo di gabinetto di Tony Blair nel partito laburista.

    E poi, quando Blair è diventato premier, ha conservato a lungo lo stesso ruolo anche a Downing street, dove i suoi collaboratori gli hanno affibbiato l'ironico soprannome di Brains. Ovvero, Cervellone. Ci vorrebbe la penna dello scrittore mitteleuropeo Joseph Roth per raccontare la "fuga senza fine" di tre generazioni della famiglia di David Miliband, dal ghetto di Varsavia agli albori del Novecento fino al numero 10 di Downing street dei giorni nostri. Un romanzo storico il cui epilogo non è ancora stato scritto, ma la maggioranza dei commentatori inglesi concordano su cosa conterrà: l'elezione di Miliband a leader del Labour e a primo ministro. Il loro unico dubbio riguarda la data: se avverrà già questa estate, come sperano alcuni analisti politici, o se bisognerà attendere altri 5 o 6 anni perché si compia un simile destino, come invece ritengono i più.

    Di certo c'è che Miliband appartiene alla cosiddetta next generation, la prossima generazione della sinistra britannica e, in senso più ampio, della sinistra europea: coloro che oggi hanno una quarantina d'anni, e che nei prossimi due decenni reciteranno una parte di primo piano nella leadership politica del proprio Paese e di quella continentale. Mentre un grande leader, se non il leader assoluto, di questo schieramento, Tony Blair, è appena uscito di scena dopo avere dominato e trasformato il panorama del progressismo in Europa per circa 15 anni, in effetti è ora di cominciare a fare conoscenza con quelli che verranno dopo di lui: e non c'è nessuno più significativo di David Miliband, perlomeno nel partito laburista britannico, a cui passare il testimone.

    Quarantun anni, deputato da una legislatura e ministro dell'Ambiente, sorriso gioviale e - come suggerisce il suo soprannome - cervello fino, sufficientemente telegenico per far colpo nella società dei media e dello spettacolo, ma con una spruzzata di valori vecchio stampo che lo nobilita, assegnandogli un'aura di serietà, onestà e sincere convinzioni, Miliband è considerato da sempre il "ragazzo prodigio" del Labour, l'erede ideale di Blair, o addirittura un suo clone: l'evoluzione della specie del blairismo.

    Tanto che, qualche mese or sono, quando un giornalista sportivo prese letteralmente Blair in contropiede, chiedendogli se nel partito laburista c'era "un Wayne Rooney", ossia un giovane campione, una versione politica del centravanti del Manchester United, il premier - solitamente molto attento a non fare confidenze premature ai cronisti - si lasciò scappare: "Miliband". Come se ciò non bastasse, la "first lady", Cherie Blair, con maggior propensione alle gaffe del marito, alla domanda di un reporter su chi fosse l'erede preferito dal primo ministro, rispose senza peli sulla lingua: "Miliband".

    Ma l'erede designato e praticamente certo di Tony Blair è un altro: Gordon Brown. Da un decennio brillante ministro delle Finanze e artefice del boom economico della Gran Bretagna, oltre che perenne numero due laburista, è il "vice" con cui Blair, in una ormai famosa cena in un ristorante italiano di Islington (quartiere della Londra nord) avrebbe firmato una specie di patto di sangue: "Tu sostieni la mia candidatura alla leadership del partito e io, una volta diventato primo ministro, dopo un po' mi dimetto e lascio il posto a te". Un patto, ammesso che sia davvero esistito, più volte violato e rinviato da Blair, ma che ora, dopo dieci anni di premiership, sta per diventare realtà. È Brown, infatti, l'unico candidato ad assumere la guida del Labour e automaticamente - in base alle norme britanniche - anche quella del governo, quando Blair darà le dimissioni, probabilmente a fine giugno, costretto a cedere anticipatamente lo scettro del comando, dopo il record senza precedenti di tre vittorie consecutive alle urne, perché indebolito dalle polemiche sulla guerra in Iraq e dalle accuse di corruzione.

    A dispetto dell'apparente inevitabilità di questa successione, Brown suscita grandi preoccupazioni nel popolo laburista: perché è un volto "vecchio", sia anagraficamente, avendo 56 anni (quattro più di Blair), sia politicamente, essendo da 10 anni la seconda figura di maggior rilievo nel governo. Preoccupa soprattutto perché, sul fronte opposto, i conservatori hanno scelto come leader, dopo tante batoste elettorali, un politico 41enne, David Cameron, soprannominato "Tory Blair" per quanto somiglia a Blair nello stile e nell'abilità di conquistare voti al centro, ago della bilancia delle sfide alle urne. La previsione più ripetuta oggi a Londra, dunque, è che Brown diventerà primo ministro in estate, governerà il Regno Unito sino al termine della legislatura, ovvero per altri due anni, e poi sarà nettamente sconfitto da Cameron alle prossime elezioni: questo predicono, del resto, tutti i sondaggi. Per scongiurare uno scenario del genere, una corrente del partito laburista preme da tempo affinché Miliband sfidi Brown nelle primarie del Labour, riceva lo scettro di Blair in estate e quindi affronti Cameron tra due anni alle urne, in una sfida che si profilerebbe assai più equilibrata e incerta tra due politici poco più che quarantenni.

    Ma Miliband, finora, ha detto di no. Per due ragioni fondamentali. Una è che sente di non avere sufficiente esperienza ad alto livello, specie a confronto di Brown. La seconda ragione è che non vuol dividere il partito. La rivalità Blair-Brown, una rivalità più fondata sulla personalità che su concrete differenze ideologiche o di programmi, ha fatto male al Labour in tutti questi anni. Miliband non vuole protrarre per un'altra generazione il presunto dualismo fra laburisti moderati (l'ala "liberale", blairiana) e laburisti socialisteggianti (l'ala "radicale", browniana). Al contrario, vuole unire il partito, e ha un'arma speciale per farlo: un fratello. Ed Miliband, suo fratello minore, è da anni il capo di gabinetto di Brown. In pratica, David e Ed fanno lo stesso lavoro per due uomini politici diversi e rivali: ma loro due, i "portaborse", vanno d'accordissimo. Tant'è che hanno perfino vissuto per molto tempo insieme, a Primrose Hill, quartiere alla moda di Londra, frequentato da attori, politici, intellettuali di sinistra.

    Non abitano più insieme da quando David si è sposato con Louise Shackelton, violinista della London Simphony Orchestra (hanno adottato un bambino nel 2004). Ma i due fratelli rimangono vicini di casa e ottimi amici. La scommessa è che, in cambio della rinuncia a sfidare Brown nelle primarie laburiste, David riceverà un ministero di primo piano nel governo Brown e sarà il candidato del Labour alla premiership non alle prossime elezioni (2009) ma alle successive (2013). C'è tempo per vedere come finirà la storia di questo nipote di un soldato ebreo dell'Armata Rossa, figlio di un teorico marxista, soprannominato "Cervellone" dai colleghi. Ma cominciate a tenerlo d'occhio.

    INTANTO I CONSERVATORI...

    Anche lui giovane, telegenico, moderato. E ambientalista. Capace di fare quello che, finora, sembrava impensabile per un leader conservatore: tagliare con il passato. E con Margaret Thatcher. Ma soprattutto simile a un altro quarantenne sorridente, riformista e vincente: il Tony Blair del 1997, che riuscì a spostare al centro l'elettorato trascinando i laburisti al trionfo. Un copione che David Cameron sembra voler replicare passo dopo passo. "Per vincere dobbiamo cambiare", aveva annunciato nel suo discorso di insediamento. Era il dicembre del 2005. Cameron, nato nel 1966 e diventato membro del Parlamento nel 2001, era stato nominato alla guida dei conservatori stracciando il suo avversario, David Davis. Qualcosa, nei Tory, era cambiato.

    Il giovane Cameron parla del suo partito usando vocaboli come "modernità" e "compassione" e citando temi come la giustizia sociale, la lotta alla povertà o il rispetto per l'ambiente. Sposato con una Lady, padre di tre figli, una lontana parentela con la famiglia reale, Cameron ha frequentato Eton - la scuola dei principi - si è laureato in Filosofia a Oxford e ha lavorato nel mondo dei media. Forse per questo è riuscito a conquistarsi la fama di politico vicino alla gente. Sarà per l'abitudine a farsi fotografare in maniche di camicia o a usare la bicicletta per andare in ufficio. In fatto di ecologia, per l'appunto, dichiara ottime intenzioni. E per dimostrarlo ha invitato al prossimo congresso del partito - a ottobre - il campione statunitense della lotta contro l'inquinamento, Arnold Schwarzenegger.

    I sondaggi gli danno ragione. Quelli pubblicati dal filolaburista Guardian lo vedevano in vantaggio di 13 punti su Gordon Brown: il massimo distacco degli ultimi anni. E poco importa se per vincere dovrà trasformarsi in "Tory Tony", un secondo Blair. Almeno a livello esteriore la svolta sembra già avvenuta. Da metà marzo, hanno notato, Cameron si pettina con la riga a sinistra. La portava a destra. Il motivo? Per gli esperti è un dettaglio che trasmette la sensazione di un uomo più virile.

  2. #2
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    Ho già letto qualche articolo su di lui. Porterà avanti la nuova politica di Blair sull'inquinamento?

    Cmq credo che lo scenario più probabile sarà quello in cui Brown governa 2 anni, poi perde le elezioni contro Cameron, e Miliband si presenta a quelle del 2013.

  3. #3
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    magari david è un grande

  4. #4
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    La politica di Tony Blair la devono portare avanti con convinzione, perchè durante il suo periodo ha fatto grande cose, tranne condividere troppo la politica di Bush.
    Davide Zerillo

 

 

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