Tesoretto di qua, tesoretto di là
Scritto da Carlo Panella
E' gustoso leggere le reazioni alla riunione di domenica a palazzo Chigi sul contratto degli statali e sugli altri temi sul tappeto del governo. Gustoso, perché disegna l'immagine precisa di una nave di ubriachi in cui il comandante impreca contro il vento e -per evitare un ammutinamento, impegna i riottosi in corvéès inutili nella stiva, mentre concerta contromosse con gli ufficiali nel chiuso del suo quadrato. Intanto Ferrero, Diliberto, Bertinotti, Migliore e tutti gli altri esclusi continuano a ringhiare o quantomeno a sostenere che a loro di quanto deciso da Prodi domenica non può interessare di meno, perché non hanno sottoscritto l'accordo e si tengono le mani libere. Qualcuno però, Migliore, saluta positivamente la marcia indietro di Padoa Schioppa e già prefigura un secondo match allargato in cui il diktat sindacale verrà accettato e lo sciopero del pubblico impiego verrà evitato al prezzo di una vittoria piena del sindacato e di una sostanziale calata di braghe totale del governo.
Il tutto in una noiosissima atmosfera di dejà vu, di gioco da serie D, senza passione in cui persino uno come D'Alema si rende conto che il paese non sopporta più questi giochetti e il libro di Stella sugli esorbitanti costi della politica rischia di innescare una stagione di moralizzazione senza precedenti.
Alle tante colpe di Prodi si aggiunge dunque anche questa: ha reso noiosa la politica, che invece è appassionante più del calcio, l'ha ridotta a manovrette a piccole ipocrisie, a parole vuote, a piccoli aggiustamenti.
Uno spettacolo inguardabile -anche per i più fedeli elettori dell'Unione.
Un crimine culturale imperdonabile.