L'INCAPACITA' DEI POLITICI DI AMMETTERE I PROPRI ERRORI
"Gli italiani, specie i politici, non si scusano mai", sostiene Claudio Risè su Il Mattino.
Andando a ritroso con la memoria, lo psicologo scrive: "Abbiamo visto un regime sostenuto da un sostegno plebiscitario, il fascismo, dissolversi senza che il giorno dopo nessuno (o quasi) osasse dichiarare di avervi appartenuto. Anche alla fine dell'epoca del CAF (il triumvirato Craxi-Andreotti-Forlani), accadde qualcosa di molto simile: finì senza autocritiche un regime (la "Prima repubblica"), tra
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condanne e carcerazioni. Forse anche oggi, in Italia come in tutto l'Occidente, sta finendo lo stile di vita, e di direzione della politica, affermatosi negli anni 70 del secolo scorso, senza però che nessuno dica che quei criteri sono ormai impraticabili, e che seguirli fino ad ora è stato sbagliato. Questa assenza di autocritica da parte dei dirigenti che hanno sbagliato crea anche questa volta un effetto caotico, genera comportamenti contraddittori […] Dire: «Abbiamo sbagliato» non è un segno di debolezza, come credono i nostri politici, ma, al contrario, di flessibilità intellettuale, e dunque di forza […] Il confronto con i propri errori consente all'individuo e alla collettività di identificarli meglio, e di superarli".
E se non ha ammesso i propri errori ("Alle Europee ho preso 834 mila preferenze non perché ero imposto dal Pcus. Se siamo delegati di diritto non va bene perché rappresentiamo il ceto politico che riproduce se stesso. Se ci sottoponiamo alle elezioni non va bene perché forse ci votano. Possiamo solo farci fucilare?"), ha comunque lanciato un serio allarme un politico esperto, rispettato, temuto: Massimo D'Alema.
Lo ha fatto ieri con un'intervista al Corriere della Sera in cui il vicepremier ha parlato di "crisi della credibilità politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni 90 segnarono la fine della Prima Repubblica".
"D'Alema ha preso una cantonata", ha detto stamattina ad Omnibus Giampaolo Pansa, "perché siamo già in piena crisi".
Una tesi confermata su La Stampa da Mario Segni "a turno – scrive Jacopo Iacoboni - visto come campione antipolitico o eroe di una stagione poi finita male". Per Segni «La società è quasi in una situazione di rivolta verso la politica, in cui si mescolano elementi pericolosissimi di sfiducia e di ribellione; come nel '92». "Il referendum, a detta sua, sarebbe l'unico strumento per incanalarli verso qualcosa di costruttivo: «La cosa incredibile è che Berlusconi sia totalmente assente da questa partita»".
L'ennesima conferma del distacco della politica dalla società arriva dai numeri, quelli che troviamo su la Repubblica: "Il Palazzo perde l'umiltà e la gente si allontana. Da Tangentopoli a oggi lo stesso clima di diffidenza. E nella graduatoria della sfiducia (Persone che dichiarano di non avere fiducia verso alcuna istituzione) siamo quinti (col 68%) dietro Polonia, Lituania, Repubblica Ceca e Bulgaria. In quella dell'immagine dei partiti (Persone che dichiarano di avere fiducia nei partiti politici) ci piazziamo penultimi col 17% davanti al Portogallo, e lontanissimi dalle posizioni di testa di Danimarca, Olandia, Finlandia e Lussemburgo.