Spagna sull’orlo della crisi
Maurizio Blondet
25/05/2007
Il presdiente spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero in carica dal 2004
SPAGNA - Negli ultimi due mesi, la Banca Centrale iberica (Banco de Espana) ha venduto 80 tonnellate d’oro, e inoltre Buoni del Tesoro USA e titoli britannici.
Le riserve del Paese, che ammontavano a 41,5 miliardi di euro nel 2002, sono scese così a 13,2 miliardi: dei due terzi.
Ora la Spagna ha riserve per pagare solo 12 giorni di importazioni.
Nell’ultima settimana la svendita d’oro s’è intensificata.
Cosa sta accadendo?
In apparenza, l’economia spagnola è prospera.
Nel primo trimestre del 2007 la crescita del PIL è stata del 4%.
Il bilancio è in attivo per l’1,8 del PIL.
Le esportazioni tirano.
Vero è che il prezzo degli immobili è triplicato dal 1995, segno di bolla speculativa: la quale si va sgonfiando rapidamente da quando il governo ha varato norme contro la speculazione edilizia.
Perché ha speso i risparmi?
La banca tace.
Il problema spagnolo è il deficit dei conti correnti, che è salito al 9,5% del prodotto lordo, raggiungendo gli 8,6 miliardi di euro nel solo mese di gennaio.
Il settore privato ha accumulato un debito verso l’estero pari a 600 miliardi di dollari. L’indebitamento delle aziende è pari al 100% del PIL.
I mutui sono sestuplicati nell’ultimo decennio.
Le famiglie hanno debiti per il 120% del reddito, a tassi fluttuanti.
E poichè la Banca Centrale Europea ha elevato i tassi al 3,75%, la bolla immobiliare sta per scoppiare in insolvenze che avranno un immediato contraccolpo sul sistema bancario sovra-esposto coi mutui.
Una crisi bancaria può diventare incontrollabile per Madrid.
Secondo la mitologia finanziaria corrente, un Paese che sia entrato nel sistema euro è «salvo» e sicuro, e le riserve nazionali non contano più.
Ma non è vero.
E’ sì la Banca Centrale Europea a decidere se aumentare gli interessi, ma sono le 13 Banche Centrali nazionali ad essere i «prestatori di ultima istanza» in caso di crisi, con le loro riserve e risorse interne.
E’ l’assurdo «federalismo» eurotico: le Banche Centrali non hanno più potere sulla moneta, ma hanno la responsabilità di salvare il sistema bancario.
Non esiste una solidarietà europea per cui gli altri Paesi aiutino quello in crisi.
La Banca Europea può intervenire solo se la crisi traboccasse nel resto d’Europa; le è positivamente vietato sostenere finanziariamente un singolo Stato membro.
Per quanto riguarda le riserve, ogni Paese deve vedersela da sé, ed è per questo che tutti i Paesi mantengono immobilizzate grosse riserve da quando sono entrati nell’euro: la Germania 86 miliardi, la Francia 76, l’Italia 59,5 miliardi.
La Germania sviluppò, subito dopo la riunificazione, una bolla immobiliare del 15% del PIL, e quando scoppiò lasciò la Banca Centrale tedesca - che dovette far fonte alla marea di insolvenze con le proprie riserve - dissanguata per anni.
Oggi l’edilizia spagnola «vale» il 17% del PIL.
La bolla è molto più gonfia di quella tedesca.
Il sistema - largamente concepito da Padoa Schioppa - espone la zona euro a «rischi sistemici finanziari», ha avvertito il Fondo Monetario.
Molti anni fa, Padoa Schioppa scrisse che proprio una crisi asimmetrica sarebbe stata benvenuta, perché avrebbe obbligato gli Stati a cedere quel che resta loro di sovranità per darla alla commissione eurocratica, che così sarebbe diventata, finalmente, una sovranità politica.
Perché questo è il punto.
Il Giappone, nella gravissima crisi degli anni ‘80 (anche là a cominciare da una colossale bolla immobiliare), ha salvato il sistema bancario perché il governo (sovrano) ha potuto garantire i depositi manipolando gli interessi primari, riducendoli a zero, di fatto «stampando moneta» come fa un governo sovrano.
Ma questo è impossibile in Europa perché non c’è un governo unico come prestatore politico di ultima istanza.
Ci sono automatismi, piloti automatici, robot burocratici che applicano le regole.
Un recente grafico che illustra lo sbilancio spagnolo
Cosa può accadere alla Spagna?
L’insolvenza nel pagare le importazioni.
La riduzione tragica dei consumi.
Una crisi argentina.
E il gelo dell’economia: lo Stato privo di sovranità monetaria non può tirarsi fuori da guai svalutando la sua moneta (come ha fatto il Giappone), e perciò non gli resta che la deflazione e la lèsina.
Ma gestire una deflazione con un costo del denaro del 3,7% imposto dalla cosiddetta Europa significa il suicidio, sociale e politico.
In deflazione, qualunque interesse è «troppo» alto; anche l’interesse zero nipponico era un interesse reale eccessivo per le imprese; in deflazione occorrerebbero tassi negativi, il che è impossibile e rende la deflazione molto più intrattabile dell’inflazione.
Il tutto è peggiorato dal fatto che l’oro, che oggi la Spagna svende ai prezzi relativamente bassi correnti, rincarerà di colpo «dopo» la crisi.
Il peggio è che anche Grecia e Portogallo hanno drammaticamente ridotto le loro riserve auree in queste settimane.
E l’Italia come sta?
Che sta facendo Draghi?
Probabilmente c’è pochissimo da fare.
In questo momento esistono nel mondo molte, troppe «bolle» speculative contemporanee e convergenti: la bolla immobiliare USA, la bolla del deficit e dei consumi USA, che finora la superpotenza ha maneggiato con vari trucchi da Paese sovrano, ma la cui efficacia non dipende dalla sovranità, ma dai Paesi creditori che prestano denaro a Washington per il suo deficit astronomico; fino a quando Cina, Giappone e arabi petroliferi accetteranno la carta statunitense è ovviamente la domanda cruciale.
Poi c’è la bolla cinese: immobiliare, della borsa, della sovraccapacità produttiva, aggravata dal rifiuto di Pechino di rivalutare la sua moneta nazionale, per non ridurre le sue esportazioni surriscaldate.
Le molteplici bolle USA e cinesi sono convergenti, e le rispettive Banche Centrali non hanno alcuna capacità di coordinarsi in vista di una crisi.
E’ improbabile, in questo quadro, che una bancarotta di Madrid si limiti alla Spagna sola.
Maurizio Blondet
(Fonte: Gold Forecaster, 21 maggio 2007)
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