Quanto ci costa il paradiso?

| Venerdi 25 Maggio 2007 - 158 | Ernesto Ferrante |

Ai tempi della riforma protestante di Martin Lutero circolava una battuta alla Sorbona che recitava così: “Appena il soldo in cassa rimbalza, l'anima via dal Purgatorio balza”. Era la frase che i banditori delle indulgenze ripetevano per invogliare i fedeli ad acquistarle. Un automatismo che deve essere ancora valido, se è vero com’è vero che i 500 parlamentari ed i 252 senatori che occupano gli scranni delle due Camere, pur avventurandosi di tanto in tanto in dettagliate analisi politiche e teologiche del Concordato del 1984 tra Stato e Chiesa, non ne affrontano mai i risvolti economici. L’accordo, firmato dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, il 18 febbraio 1984 a Roma, fu ratificato dal Parlamento italiano con la Legge 25 marzo 1985, n. 121 (Allegato 1). Quanto costa ogni anno allo Stato italiano, e dunque ai contribuenti italiani, in particolare ai lavoratori dipendenti che le tasse le pagano, la Chiesa cattolica, ricchissima e sempre più reazionaria e invadente del Papa moralizzatore Ratzinger? Con la pazienza e l’elementare logicità delle massaie proveremo a dare una risposta. Solo dai proventi derivanti dall’8 per mille sul gettito totale dell’Irpef, il Vaticano intasca una cifra che sfiora il miliardo di euro (2 mila miliardi delle vecchie lire). Fondi che, per stessa ammissione della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), in maggioranza vanno a finanziare il sostentamento del clero (34%) e delle “esigenze di culto” (46%). Solo il 20%, invece, è destinato ad interventi di beneficenza. Questo meccanismo di finanziamento, introdotto con la revisione del Concordato del 1984 voluta dal governo Craxi, nasconde un trucco. In caso di non scelta da parte dei contribuenti, la destinazione dell’8 per mille va in proporzione alle scelte espresse. E poiché la maggioranza delle pie anime italiane opta per la devoluzione a favore della Chiesa cattolica, questa ottiene comunque l’85% dell’intero gettito. Un altro miliardo di euro lo Stato lo sborsa nei modi più disparati. Nel 2004, ad esempio, sono stati elargiti 478 milioni di euro per lo stipendio degli insegnanti di religione, 258 milioni per i finanziamenti delle scuole ed università cattoliche, 25 milioni per la fornitura dei servizi idrici alla Città del Vaticano, 20 milioni per l'Università Campus Biomedico dell'Opus Dei, 19 milioni per l'assunzione a ruolo degli oltre 15 mila insegnanti di religione, 18 milioni per i buoni scuola degli studenti delle scuole cattoliche, 9 milioni per il fondo di sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e dei loro familiari, 9 milioni per la ristrutturazione di edifici religiosi, 8 milioni per gli stipendi dei cappellani militari, 7 milioni per il fondo di previdenza del clero, 5 milioni per l'Ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, 2 milioni per la costruzione di edifici di culto; a cui andrebbero aggiunti i contributi erogati da regioni, province e comuni. Ma andiamo avanti con la lista della spesa "benedetta". Una buona fetta del miliardo e mezzo di euro di finanziamenti pubblici alla sanità va alle istituzioni cattoliche presenti in modo massiccio nel settore, attraverso centri di assistenza, confraternite ed associazioni. Ma non è finita: non si devono dimenticare le mancate entrate per lo Stato dovute ad esenzioni fiscali di ogni genere alla Chiesa, valutate attorno ai 6 miliardi di euro (circa 12 mila miliardi delle vecchie lire). Una cifra esagerata? Non tanto, se si tiene conto che i 59.000 enti ecclesiastici posseggono 90 mila immobili adibiti agli scopi più vari: missioni, ospedali,scuole, collegi, istituti, case di cura, ospizi, e così via. Il loro valore ammonta ad almeno 30 miliardi di euro e sono esenti dalle imposte sui fabbricati, sui terreni, sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg), sulla compravendita e sul valore aggiunto (Iva).Ricapitolando e sommando: un miliardo dell'8 per mille, più un altro miliardo di contributi vari, più un altro miliardo attraverso i finanziamenti alla sanità cattolica, più altri 6 miliardi di tasse non versate fanno 9 miliardi di euro, vale a dire quasi 18 mila miliardi di lire. E non finisce qui. Alle esenzioni fiscali statali vanno aggiunte anche quelle comunali, a partire dall’Ici (Imposta comunale sugli immobili). Imposta che gli enti ecclesiastici non pagano autocertificandosi come “non commerciali”. Un marchingegno truffaldino questo, che la Corte di Cassazione aveva messo in chiaro con una sentenza dell’8 marzo 2004 dove tra l’altro era detto che: un centro di assistenza per bambini e anziani gestito dalle suore del Sacro Cuore dell’Aquila non poteva essere esentato dall’imposta, avendo fatto pagare rette regolari ai suoi ospiti; e stabilito alle stesse di pagare 70 mila euro di arretrati al comune di residenza. Dato che questo principio poteva valere per i tanti casi simili esistenti, richiamando così la Chiesa a pagare il dovuto, i governi Berlusconi e Prodi sono corsi immediatamente in aiuto del Vaticano: il primo, allegando alla Finanziaria 2006 un provvedimento temporaneo di sospensione del pagamento, il secondo approvando una misura definitiva che garantisce furbescamente l’esenzione agli enti “non esclusivamente commerciali”. In pratica è sufficiente che le imprese commerciali gestite da preti e suore siano dotate di una cappella dove pregare negli intervalli per rientrare in questa singolare e truffaldina categoria. Cosa non si farebbe per un posto in paradiso! Questi intollerabili ed ingiustificati privilegi fiscali concessi alla Chiesa cattolica impediscono ai comuni italiani di incassare un gettito valutato intorno ai 2 miliardi e 250 milioni di euro l'anno. Basta analizzare rapidamente l'immenso patrimonio nelle mani del clero cattolico. Nella sola Italia si contano: 504 seminari, 8.779 scuole suddivise in 6.228 materne, 1.280 elementari, 1.136 secondarie e 135 universitarie o parauniversitarie. Oltre a 6.105 centri di assistenza, suddivisi in 1.853 case di cura, 1.669 centri di “difesa della vita e della famiglia”, 729 orfanotrofi, 524 consultori familiari, 399 nidi d’infanzia, 136 ambulatori e dispensari e 111 ospedali, più 674 di altro genere. Il tutto per un valore complessivo di alcune centinaia di miliardi di euro. Naturalmente “vergini” da ogni tipo di volgare e profana forma di tassazione. Senza contare gli enormi introiti che la Chiesa ricava dalle rendite finanziarie (ossia dalla compra-vendita delle azioni in borsa) senza pagare, anche in questo caso, un solo euro all’erario. Com’è ormai evidente ogni giorno di più, la Chiesa Cattolica sta attuando un operazione che mai aveva fatto dall’emanazione della Carta Costituzionale. Ogni giorno si presenta sempre di più come soggetto politico che pretende di intervenire a gamba tesa su tutte le questioni che ritiene più opportune. Oltre ai benefici economici, appena analizzati, ce ne sono altri non meno importanti e non meno scandalosi, come la scelta degli insegnanti di religione (delle scuole elementari, medie inferiori e medie superiori) che vengono reclutati su decisione del vicariato senza che lo Stato possa intervenire (se non per pagare loro lo stipendio) e che qualora perdano la fiducia del vescovo sono assunti di diritto come insegnanti di altre materie, eludendo ogni tipo di concorso e di graduatoria (ignorando chi da cittadino italiano, studia e suda per un concorso e magari attende 15 anni prima di entrare in ruolo), avendo una retribuzione superiore rispetto a quella degli altri professori. Lo Stato Vaticano, scendendo direttamente nell’agone politico ma anche incitando a disobbedire alle leggi della nostra Nazione, pretende di organizzare macchine elettorali incitando i cittadini di un altro Stato, l’Italia, a non andare a votare in occasione di referendum su temi ad esso invisi. Ci domandiamo quindi perché lo Stato Vaticano possa pretendere di avere solo diritti e non rispetti i doveri discendenti dal Concordato, in primis quello di lasciare lo Stato totalmente indipendente nel suo ordinamento. La Città del Vaticano percepisce tutti i benefici di cui abbiamo detto e gli altri tantissimi che non abbiamo citato grazie al Concordato, che gli consegna alcuni doveri come quello di non interferire con la vita politica dello Stato Italiano. Poiché ciò non accade, non si capisce perché dovremmo continuare a concedere diritti e a non vedere rispettati i doveri conseguenti. E’ allora giunto il momento di chiedere e di pretendere l’abolizione del Concordato per avere finalmente un Italia veramente laica e libera, che non sia sotto protezione “spirituale” di nessuno, ma che sia libera di autodeterminarsi come i suoi cittadini, e solo loro, meglio credono.