LA CULTURA DELL’ANTI-FAMIGLIA

Chi, nei dibattiti sui DICO e sulla manifestazione del 12 maggio ci indicava come modella di civiltà i paesi del Nord Europa sarà contento. In Italia, secondo le ultime statistiche, aumentano divorzi e separazioni. Certo, non abbiamo ancora raggiunto la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra o il Belgio! Però il tasso di incremento fa ben sperare chi desidera una rimonta: i divorzi sono cresciuti del 22,4% rispetto al 2000 e del 40,6% rispetto al 1996. Se ci sforziamo di continuare con le attuali politiche mirate alla disgregazione del nucleo familiare, forse, nel giro di pochi anni, riusciremo a raggiungere i livelli delle nazioni europee più avanzate…
Stano paese, il nostro. Dopo 62 anni di trascuratezza, in cui si è approfittato della naturale solidità della famiglia italiana senza far nulla per alleviarne i compiti; anzi, gravandola di continui balzelli e difficoltà burocratiche, finalmente si costituisce un ministero ad hoc. Fuori tempo massimo, però!
La denatalità e divenuta un fattore maggiore di crisi che mette a repentaglio l’equilibrio del sistema pensionistico; eppure le donne vorrebbero avere più figli di quelli che riescono a fare,; e il divario tra desiderio di maternità e sua possibilità di realizzazione è ormai un problema di libertà. Inoltre, sulle famiglie 8e in particolare sulle donne) pesa in modo sproporzionato il carico dell’assistenza ad anziani e malati, oltre che la cura e l’educazione dei figli non più assicurata da una scuola pubblica dove sono in libera circolazione (assieme a deleteri professori sessantottini) droghe, pornografia, bullismo e, purtroppo, pedofilia organizzata.
Lo Stato non assicura educazione nella sicurezza però ha pretese economiche che aumentano annualmente in maniera esponenziale; non offre un welfare a misura di famiglia (per esempio, l’assistenza domiciliare) e nemmeno i tradizionali servizi sociali (come asili nido gratuiti per tutti).
Le nazioni che riescono a far nascere più bambini sono quelle in cui il lavoro part-time è un diritto, in cui la conciliazione tra tempi del lavoro domestico ed extradomestico è un problema che la politica prende sul serio, mentre da noi queste cose sembrano miti irraggiungibili. Di equità fiscale non si parla; rinunciare a un figlio, considerando che ogni bimbo riduce il reddito familiare del 20%, stà diventando un vero affare!
Invece di dare priorità alle politiche di sostegno alla famiglia, i nostri governanti hanno ritenuto più importante legiferare attorno al riconoscimento istituzionale delle coppie di fatto, gay ed etero. Infatti, dicono loro, il nostro paese non può essere il fanalino di coda dell’Europa quando si tratta di vere “battaglie di civiltà”.
Siamo stati costretti a scendere in piazza per dimostrare che le famiglie esistono, hanno esigenze che sono prioritarie rispetto a quelle di minoranze capricciose e rumorosissime, e non sono più disposte ad essere ignorate senza ingaggiare battaglia.
Oggi lo Stato deve tornare ad affermare la natura di bene comune e nazionale insita nella stabilità della famiglia tradizionale e nei suoi impegni indissolubili assunti attraverso regolare matrimonio. Lo Stato deve tornare a garantire, a fronte di doveri che si assumono sposandosi, l’accesso a diritti non solo nominali che siano sostenuti da scelte politiche organiche, durature, strutturali.