...leader a sinistra

Fa piacere che Edmondo Berselli (Rep.), Michele Salvati (Corriere), Andrea Romano (Stampa) e altri, ciascuno con il proprio stile, si siano finalmente spinti ieri oltre la barriera difensiva eretta con spirito banalmente oligarchico intorno al perimetro del Partito democratico e dunque dell’intera politica italiana. Era ora.
All’appuntamento, con qualche timidezza e ambiguità, sembrano essersi presentati anche i capigruppo di Camera e Senato. Franceschini e Finocchiaro, e il sindaco di Roma e potenziale front runner in eventuali primarie (vere?) del Partito democratico.
A proposito.
Riceviamo lettere e messaggi, da destra e da sinistra, che ci domandano perché abbiamo lanciato con tanto anticipo nel dibattito pubblico la questione della leadership a sinistra, e perché con tanta insistenza.
Chi dice che tiriamo la volata a Veltroni, chi che vogliamo danneggiarlo perché sarebbe nel suo interesse concludere il suo ciclo di sindaco e prepararsi bene per la successione a Prodi.
Chi dice che tutto il nostro giochino è per sottrarre a Prodi la sedia su cui è seduto, accelerare il tempo del nuovo confronto elettorale e restituire il potere al nostro eterno mandatario, il Cav., o alla Brambilla o a chi altri sia purché sia un capo del centrodestra.
Vabbè, ma ragionare così e non ragionare è la stessa cosa.
C’è un qualche fondo di obiettività politica, se non di amore per questo paese (amore e paese sono parole grosse di cui non abusare mai), nella nostra campagna per la leadership del Pd e contro la prospettiva di tre o quattro anni di nevrosi degenerativa della politica.
E ora ce lo si dovrebbe riconoscere, visto che non siamo più soli a denunciare l’assurdo di un partito che, lo diciamo da sempre, da anni ormai, ha senso solo in quanto non sia una banale alleanza tra apparati dispettosi e diffidenti, e rappresenti invece un’innovazione di sistema, per dirla chiara e semplice
“all’americana”, fondata su un potere di mandato degli elettori, degli aderenti, insomma del popolo dei democratici.
Alla quale seguirà necessariamente una potenziale e molto da noi attesa riforma della postura politica della “destra repubblicana” (a proposito: perché non assumere questa dizione di origine francese, di questi tempi?), una coalizione di forze e di debolezze che potrebbe ancora affidarsi un’ultima volta al populismo democratico-manageriale e di marketing di Berlusconi, in mancanza di strumenti più raffinati, perché la storia del centrodestra italiano nasce in quella fornace di fantasie politiche volitive che fu costruita nel 1994 ad Arcore, ma sarebbe appunto l’ultima volta.
Comunque la faccenda l’hanno illustrata bene Salvati, che non a caso lanciò il Partito democratico su queste colonne, e Berselli, che è un tipo svelto di comprendonio, una giovane promessa capace di diventare venerato maestro senza passare per il solito stronzo.
(Romano, nel senso di Andrea, si è un po’ improsciuttito di recente, ha un po’ di spocchia da giovane notabile del giornalismo, sarà l’effetto cattedratico di tutta questa smisurata attenzione che dedica ai suoi compagni di scuola.)
E la faccenda è semplice. Non contano tanto le regole dei gioco interno (la base elettorale definita dal comitatone per la Costituente eccetera).
Non conta chi sia il leader che prevale:
vanno benissimo Veltroni, D’Alema, Fassino, Rutelli, Bersani, la Finocchiaro, un ragazzo che si inventa da sé e regge la sfida, un sindaco, un governatore, un o una outsider, chi vogliano.
Quel che conta è che coloro che rappresentano qualcosa o pensano di rappresentarlo nel Pd e più in generale nella storia del centrosinistra italiano confluita in quel partito, si diano seriamente da fare per essere eletti leader in felice e democratica contraddizione con gli altri, e con i progetti degli altri, con le ambizioni degli altri, con le idee degli altri.
Il che significa, in tempi non farsescamente rapidi ma nemmeno biblici, battersi per governare ed eventualmente provarsi a cambiare le cose che non vanno in Italia secondo un progetto, una cultura e una visione che non siano l’aritmetica elettorale antiberlusconiana.
Significa conquistare un partito, nel rispetto ma non nell’ossequio omertoso alle regole della convivenza, per dare un’impronta alla sinistra attuale, senza vera identità riformista e modernizzatrice, per fare in modo che il Pd sia davvero un’avventura nuova capace di tenere la scena e di recitare un copione interessante nello scenario vecchio e polveroso della sinistra e del centrosinistra europei.
Il nuovo leader dica pure che l’Ulivo ha prefigurato tutto, che il centrosinistra italiano è fichissimo, un modello da esportare eccetera, basta che non ci creda e lavori per trovarne uno serio e vero, di modello.
Il resto, compreso il rispettabile ma imbolsito Jacques Prodi Chirac, è dettaglio.

Giuliano Ferrara su il Foglio di oggi

saluti