Come tante nobili creature, anche l'Italia ha tanti Padri: Garibaldi, Vittorio, Cavour e Mazzini. Di Madre invece ce n'è scrupolosamente una sola ma si cerca di tenerla nascosta, sia perchè quello italiano è un patriottismo maschilista, sia perchè qualcuno pare vergognarsi dei suoi costumi. Così dal patrio album di famiglia è stata fatta sparire l'immagine della Mamma della Patria. Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria era nata a Firenze il 22 marzo 1837 dalla fiorentina Isabella Lamporecchi e dal marchese spezzino Filippo Oldoini. Come è giusto in questi casi, anche questa paternità non è poi certissima: la disinvolta contessina Isabella si sarebbe infatti intrattenuta con grande cordialità -a seconda delle versioni - con 1) il Granduca di Toscana, 2) un Bonaparte, 3) un Savoia, 4) il nobile polacco Giuseppe Poniatowski, o 5) un cardinale. In ogni caso la fanciulla è bene imparentata: il nonno materno conte Ranieri era stato tutore di Luigi Bonaparte (poi diventato Napoleone III), il padre ufficiale è invece cugino di secondo grado di Camillo Benso, conte di Cavour, e amico di Massimo d'Azeglio, che conia il nomignolo della fanciulla: Nicchia, da Virginia passando per Virginicchia. La ragazza è di una bellezza stravolgente, è anche sveglia, intelligente e piena di voglia di vivere.
Il 9 gennaio 1854 sposa, a 17 anni, il conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d'Asti assumendo così il titolo con cui è consegnata alla storia: contessa di Castiglione. Nel giro di un anno gli scodella un figlio ma si lancia fin da subito in un vorticoso giro di relazioni amorose. Il suo patriottismo la fa svolazzare fra tutte le alcove più importanti del piccolo Regno di Sardegna, fino ad approdare nel boudoir di sua maestà Vittorio Emanuele II, noto per il suo vigore amatorio. Delle straordinarie doti di affabilità della cugina si accorge subito Cavour (uno dei pochi – per quel che se ne sa – a non averne sorseggiato neppure un po' le grazie) che la affida a Costantino Nigra per una operazione di spregiudicata diplomazia segreta: far sedurre da Nicchia l'imperatore di Francia e “indirizzarlo” verso l'appoggio alla causa dell'unità italiana. Confessa il Cavour: “Se facessimo per il nostro personale interesse, quello che stiamo facendo per l'Italia, saremmo le persone più spregevoli del mondo”. Nicchia ci si butta con l'entusiasmo dei suoi 19 anni, con la consapevolezza della sua bellezza mozzafiato e – ci piace pensarlo – intonando l'inno di Mameli nei momenti dei suoi assalti e delle sue compiacenti rese. Per quasi due anni la Castiglione si occupa dell'uomo più potente d’Europa, lo infervora all'ideale unitario, gli fa assaporare le voluttuose brezze della redenzione italiana.
In realtà finisce per esagerare in slancio patriottico: oltre a Napoleone, concede le sue fragranze anche a Costantino Nigra (che completa l'assedio tricolore alle Tuileries trafficandosi l'imperatrice Eugenia) ed a uno stuolo di ammiratori altolocati, suscitando le invidie delle dame di Corte, e pruriti alla pur spaziosa fronte imperiale. Nicchia viene perciò esiliata da Parigi alla fine del 1857, ma ormai il suo compito è stato portato fruttuosamente a termine: Napoleone si è invaghito della causa sabauda e a Plombierés mette nero su bianco il suo impegno. Delusa per la cacciata e per la scarsa riconoscenza dei Padri della Patria (tutte le spese della spedizione parigina sono state pagate dal povero conte Verasis) Nicchia se ne torna a casa, dove si consola diventando l'amante fissa del re per qualche stagione (riesce anche, finalmente, a spuntare una pensione annua di 12.000 franchi per i servigi alla Patria) e di molti altri baldanzosi eroi risorgimentali, come Emilio Faà di Bruno (perito a Lissa) e Guglielmo Acton (l'ufficiale borbonico che a Marsala “non aveva visto” lo sbarco garibaldino, poi diventato ammiraglio e ministro italiano), ma anche di politici e i finanzieri, come il Rothschild, la cui frequentazione e famigliarità le permette di accumulare una discreta fortuna economica in speculazioni di borsa.
Negli anni che seguono, la sua specialissima versione dei rapporti diplomatici si rende ancora molto utile nel creare contatti con lo Stato della Chiesa (sarebbe interessante esplorare la versione curiale del suo bagaglio diplomatico) e nell'aiutare la Francia a mitigare le conseguenze della sconfitta del 1870. La Francia diventa la sua vera patria, si trasferisce a Parigi nel 1872 e lì resta fino alla sua morte, nel 1899. Viene sepolta nel cimitero parigino di Père Lachaise perchè il governo italiano si rifiuta di accoglierne le spoglie. Una brutta storia di ingratitudine a una donna che aveva fatto di più (e di meglio) di ogni altro per unificare la Patria. Ne aveva totale coscienza, avendo più volte affermato: “Ho fatto l'Italia”. Aveva solo ragione.
Gilberto Oneto