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  1. #1
    assiduo luceat igne
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    Predefinito Sud, nazioni, indipendenza

    Mettere al centro della nostra analisi e della nostra azione di liberazione sociale le caratteristiche economiche e culturali locali porta ad affrontare la “questione meridionale” in un modo nuovo, diverso dal riformismo e dal gramscismo. Il primo non coglie alla radice i problemi e quindi è incapace di fornire corrette soluzioni. Il secondo riflette convinzioni operaiste e fiducia nello “stato socialista” superate dagli eventi.

    Più volte sul forum si è sottolineato come Stato e Nazione non siano sinonimi. Che una nazione non corrisponda allo Stato e che entro i confini di uno Stato ci possano essere più Nazioni. In Italia questo è più che mai vero. Più nazioni, con più lingue, più storie sono giunte ai giorni nostri con le loro peculiarità di sempre ma dentro i confini dello Stato Italiano.

    Il 1861 è l’anno dell’Unità. Così venivano cancellati più popoli, più culture, più stati, più confini, per dare vita al Regno d’Italia. Sarebbe utile riflettere su come questa unità si sia realizzata, ma l’avvento della Repubblica ha spazzato via le ragioni dell’espansionismo piemontese. Il punto fondamentale resta un altro: fatta l’Italia, siamo davvero sicuri, dopo oltre 150 anni di storia, di avere “fatto” gli italiani?

    L’Italia ha sempre avuto una debole identità, legata prima al Re e al Duce, poi alla Resistenza e al Moloch americano, ma è bastata affinché i popoli sedassero la loro coscienza. Ciò che non si può sedare però sono le questioni economiche che emergono nel quotidiano e che affondano le proprie radici, come la storiografia meridionalista ci insegna, proprio nel processo unitario.
    Dunque lascio da parte le evidenti diversità identitarie dei popoli del Sud, fragilmente omologate alla cultura televisiva nazionale, per concentrarmi sulla questione indipendentista che esiste ed è anzi una necessità forte dal punto di vista strettamente economico.

    La non industrializzazione, la bassa produttività, l’alta disoccupazione, la camorra, l’inquinamento sono tutti fenomeni scientificamente pensati, progettati ed attuati per garantire lo sviluppo del Nord. Il Sud è la sacca di svuotamento della produzione del Nord e coi suoi alti livelli di disoccupazione permette di tenere non solo un ampio esercito di riserva di manodopera concorrente, ma anche di contenere salari e costo della vita. Basti pensare che intere città del Nord sono state costruite da lavoratori meridionali pagati quattro soldi. Altri invece diventano carne da macello per le guerre nazionali. In tutto questo la camorra fa da braccio destro, impedendo la nascita di una imprenditoria locale ma soprattutto creando un fiorente mercato nero, anche di smaltimenti di rifiuti industriali del Nord.

    Questi problemi non si possono risolvere nel quadro di una unità nazionale e molti storici hanno paragonato questa situazione a quelle tedesca e francese. I popoli del Sud hanno un'unica via di riscatto sociale: la loro indipendenza, che sia prima di tutto culturale, quindi geopolitica (riscoprirsi parte del mediterraneo in contrapposizione con l’invenzione nazionale dell’europeismo), poi politica ed economica che valorizzi le caratteristiche e risorse locali, bonifichi i territori, riconverta le industrie, rilanci le esportazioni verso il Nord, spazzi via in questo modo la camorra.

    Esprimo così il mio pensiero, come promesso qualche sera fa ad Outis. Napoli – Mediterraneo in contrapposizione a Italia – Europa. Cosa ne pensate?

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da diavolo Visualizza Messaggio
    Mettere al centro della nostra analisi e della nostra azione di liberazione sociale le caratteristiche economiche e culturali locali porta ad affrontare la “questione meridionale” in un modo nuovo, diverso dal riformismo e dal gramscismo. Il primo non coglie alla radice i problemi e quindi è incapace di fornire corrette soluzioni. Il secondo riflette convinzioni operaiste e fiducia nello “stato socialista” superate dagli eventi.

    Più volte sul forum si è sottolineato come Stato e Nazione non siano sinonimi. Che una nazione non corrisponda allo Stato e che entro i confini di uno Stato ci possano essere più Nazioni. In Italia questo è più che mai vero. Più nazioni, con più lingue, più storie sono giunte ai giorni nostri con le loro peculiarità di sempre ma dentro i confini dello Stato Italiano.

    Il 1861 è l’anno dell’Unità. Così venivano cancellati più popoli, più culture, più stati, più confini, per dare vita al Regno d’Italia. Sarebbe utile riflettere su come questa unità si sia realizzata, ma l’avvento della Repubblica ha spazzato via le ragioni dell’espansionismo piemontese. Il punto fondamentale resta un altro: fatta l’Italia, siamo davvero sicuri, dopo oltre 150 anni di storia, di avere “fatto” gli italiani?

    L’Italia ha sempre avuto una debole identità, legata prima al Re e al Duce, poi alla Resistenza e al Moloch americano, ma è bastata affinché i popoli sedassero la loro coscienza. Ciò che non si può sedare però sono le questioni economiche che emergono nel quotidiano e che affondano le proprie radici, come la storiografia meridionalista ci insegna, proprio nel processo unitario.
    Dunque lascio da parte le evidenti diversità identitarie dei popoli del Sud, fragilmente omologate alla cultura televisiva nazionale, per concentrarmi sulla questione indipendentista che esiste ed è anzi una necessità forte dal punto di vista strettamente economico.

    La non industrializzazione, la bassa produttività, l’alta disoccupazione, la camorra, l’inquinamento sono tutti fenomeni scientificamente pensati, progettati ed attuati per garantire lo sviluppo del Nord. Il Sud è la sacca di svuotamento della produzione del Nord e coi suoi alti livelli di disoccupazione permette di tenere non solo un ampio esercito di riserva di manodopera concorrente, ma anche di contenere salari e costo della vita. Basti pensare che intere città del Nord sono state costruite da lavoratori meridionali pagati quattro soldi. Altri invece diventano carne da macello per le guerre nazionali. In tutto questo la camorra fa da braccio destro, impedendo la nascita di una imprenditoria locale ma soprattutto creando un fiorente mercato nero, anche di smaltimenti di rifiuti industriali del Nord.

    Questi problemi non si possono risolvere nel quadro di una unità nazionale e molti storici hanno paragonato questa situazione a quelle tedesca e francese. I popoli del Sud hanno un'unica via di riscatto sociale: la loro indipendenza, che sia prima di tutto culturale, quindi geopolitica (riscoprirsi parte del mediterraneo in contrapposizione con l’invenzione nazionale dell’europeismo), poi politica ed economica che valorizzi le caratteristiche e risorse locali, bonifichi i territori, riconverta le industrie, rilanci le esportazioni verso il Nord, spazzi via in questo modo la camorra.

    Esprimo così il mio pensiero, come promesso qualche sera fa ad Outis. Napoli – Mediterraneo in contrapposizione a Italia – Europa. Cosa ne pensate?
    Guarda, il discorso che affronti è estremamente complicato.
    Conosco il sud Italia, ho conosciuto tantissima gente del sud, e molti di essi sono miei personali amici.
    Posso dirti che ritengo sbagliato e antistorico sollevare al momento odierno una questione legata ad un sentimento di apprtenenza intermeridionale: primo perchè tale sentimento non esiste, ma si snoda all'interno di localismo molto più locali del sud in quanto tale. Tra napoletani e siciliani e calabresi non credo che ci sia un sentimento di solidarietà e unità intermeridionale. Ma questo lo dico per ciò che conosco ( e da non meridionale ).
    Credo, e questo lo credo più in generale, che sollevare questioni nazionali in Europa all'interno di Stati- nazione liberalborghesi ( indifferenti a repressioni etniche o a smantellamento attivo di culture locali in quanto tali, ma solo interessati allo smantellamento dell'uomo in quanto uomo e della comunità in quanto comunità generale ) non sia una buona idea.
    Non è una buona idea perchè rishia di diventare un esercizio artificiale di ricerca di identità estremamente incerte, ricche di commistioni e tutte avvilite dall'omologazione liberale.
    Quindi, dal punto di vista culturale, io credo che la fuoriuscita si una lotta solidale e comunista all'interno dello spazio nazionale e la successiva rinascita intercomunitaria ( con valorizzazione di ogni localismo senza eccezioni ) all'interno di uno spazio politico, l'Italia, che nel bene e nel male, continuo a ritenere il mio capo d'azione.
    Ho affrontato qui tale discussione più volte. Molti non concordano con me. Tuttavia sono convinto che rinchudersi in una ricerca nazionalitaria a caccia di indipendenze non popolarmente vive e sentite, rischi di essere uno sforza terribile e vacuo, rischi di riscvegliare settarismo e odio all'interno degli stati esistenti.

    Siccome sono convinto che il liberalcapitalismo ha distrutto ormai tutto, credo che sia il tempo di rinascere insieme, credo sia il tempo di recuperare la dimensione comunitaria con una lotta condotta dagli uomini di buona volontà per il comunismo e per la rinascita comunitaria. E tale lotta, non vedo perchè no, può avre come base naturale contingente lo spazio nazionale, senza dispersioni faticose in lotte indipendetistiche che peraltro possono tradursi in sangue, dolorose separazioni, artificiali confini ( più di quelli che già esistono ) e sopratutto nascita di piccole patrie ancora dominate dal capitalismo.

    Per ciò che riguarda il discorso di sfruttamento economico, sono perfettamente d'accordo con l'analisi che proponi. Il sud è ed è sempre stato carne da macello per il resto della penisola e lo stesso vale perla Sardegna e il suo popolo.
    Tuttavia, sono convinto che per affrontare il problema, ci voglia una lotta comunista solidale contro il sistema e parallelamente la rinascita comunitaria indifferenziata per ogni luogo e ogni regione d'Italia, di cui parlavo prima.

    Spero di non aver messo troppa carne al fuoco.


  3. #3
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    Poi vorrei aggiungere, per far riflettere tutti sulla problematica sollevata:
    tra i miei esempi di lotta anticapitalista e di rinascita comunitaria ci sono i movimenti sud americani, patriottici e antimperialisti.
    In Colombia, in Brasile, in Messico, in Venezuela, a Cuba, in Argentina....tutti i movimenti sociali antisistemici si connotano per uno spirito patriottico legato alla patria in cui vivono, per la sua rinascita socialista e comunitaria.
    Gli stessi indios, gruppi etnici distinti che hanno altra storia e altre tradizioni ed avrebbero tutte le ragioni per rivendicare diritti storici, sono perfettamente integrati e attivi nelle lotte sociali che si svolgono gloriosamente nelle rispettive patrie.
    Questo è il mio esempio e la mia prospettiva
    Come credete che sia nato il patriottiso cubano? Eppure i cubani non si può certo dire che siano un popolo nato dalla stessa radice.
    Inoltre nelle lotte indipendentiste ( salvo quelle di vera liberazione colonale e antidiscriminatorie ) vedo sempre il rischio atroce e dolorosissimo dellaex-jugoslavia. Non parlo certo degli indipendentismi genuini e socialisti cui tanti si ispirano, ma parlo del rischio, concreto, politico, di degenrazione in lotta fratricida.
    D'altronde nel mondo decaduto, per la lotta iniziale, lo spazio politico esistente, a me sembra uno stabile e buon luogo di partenza.

  4. #4
    Omia Patria si bella e perduta
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    Citazione Originariamente Scritto da diavolo Visualizza Messaggio
    Mettere al centro della nostra analisi e della nostra azione di liberazione sociale le caratteristiche economiche e culturali locali porta ad affrontare la “questione meridionale” in un modo nuovo, diverso dal riformismo e dal gramscismo. Il primo non coglie alla radice i problemi e quindi è incapace di fornire corrette soluzioni. Il secondo riflette convinzioni operaiste e fiducia nello “stato socialista” superate dagli eventi.

    Più volte sul forum si è sottolineato come Stato e Nazione non siano sinonimi. Che una nazione non corrisponda allo Stato e che entro i confini di uno Stato ci possano essere più Nazioni. In Italia questo è più che mai vero. Più nazioni, con più lingue, più storie sono giunte ai giorni nostri con le loro peculiarità di sempre ma dentro i confini dello Stato Italiano.

    Il 1861 è l’anno dell’Unità. Così venivano cancellati più popoli, più culture, più stati, più confini, per dare vita al Regno d’Italia. Sarebbe utile riflettere su come questa unità si sia realizzata, ma l’avvento della Repubblica ha spazzato via le ragioni dell’espansionismo piemontese. Il punto fondamentale resta un altro: fatta l’Italia, siamo davvero sicuri, dopo oltre 150 anni di storia, di avere “fatto” gli italiani?

    L’Italia ha sempre avuto una debole identità, legata prima al Re e al Duce, poi alla Resistenza e al Moloch americano, ma è bastata affinché i popoli sedassero la loro coscienza. Ciò che non si può sedare però sono le questioni economiche che emergono nel quotidiano e che affondano le proprie radici, come la storiografia meridionalista ci insegna, proprio nel processo unitario.
    Dunque lascio da parte le evidenti diversità identitarie dei popoli del Sud, fragilmente omologate alla cultura televisiva nazionale, per concentrarmi sulla questione indipendentista che esiste ed è anzi una necessità forte dal punto di vista strettamente economico.

    La non industrializzazione, la bassa produttività, l’alta disoccupazione, la camorra, l’inquinamento sono tutti fenomeni scientificamente pensati, progettati ed attuati per garantire lo sviluppo del Nord. Il Sud è la sacca di svuotamento della produzione del Nord e coi suoi alti livelli di disoccupazione permette di tenere non solo un ampio esercito di riserva di manodopera concorrente, ma anche di contenere salari e costo della vita. Basti pensare che intere città del Nord sono state costruite da lavoratori meridionali pagati quattro soldi. Altri invece diventano carne da macello per le guerre nazionali. In tutto questo la camorra fa da braccio destro, impedendo la nascita di una imprenditoria locale ma soprattutto creando un fiorente mercato nero, anche di smaltimenti di rifiuti industriali del Nord.

    Questi problemi non si possono risolvere nel quadro di una unità nazionale e molti storici hanno paragonato questa situazione a quelle tedesca e francese. I popoli del Sud hanno un'unica via di riscatto sociale: la loro indipendenza, che sia prima di tutto culturale, quindi geopolitica (riscoprirsi parte del mediterraneo in contrapposizione con l’invenzione nazionale dell’europeismo), poi politica ed economica che valorizzi le caratteristiche e risorse locali, bonifichi i territori, riconverta le industrie, rilanci le esportazioni verso il Nord, spazzi via in questo modo la camorra.

    Esprimo così il mio pensiero, come promesso qualche sera fa ad Outis. Napoli – Mediterraneo in contrapposizione a Italia – Europa. Cosa ne pensate?
    Contrario per tanti motivi, ma soprattutto perché nega ai 20 milioni di nostri connazionali che vivono nel Meridione di essere italiani (non parlo della Sardegna).
    Non confondiamo appartenenza a una certa nazione con i problemi economici e sociali del nostro paese. Certe nel Meridione c'è la camorra, c'è la mafia, ma e allora? Ci sono tanti problemi anche al Nord e ti assicuro che le concentrazioni di potere economico e finanziario del Settentrione possono essere pericolose almeno quanto la mafia, anche perché hanno il potere di utilizzarla per i loro fini.
    Teniamo distiti i due piani:
    1) popolo italiano, formatosi nel corso di almeno 1000 anni attraverso la costruzione di una lingua e di una cultura capace di mescolare elementi dotti (tipo Gian Battista Vico) e popolari.
    2) i problemi attuali dell'Italia con i suoi squilibri regionali, ecc.

    Io penso che si debba riprendere lo spirito che aveva Gramsci quando analizzava la questione meridionale (l'analisi è ormai superata dalle trasformazioni della società). Ovvero i comunisti devono porsi come fine quello di passare dall'unione politica del nostro paese del 1861 a un'unione sociale ed economica da ottenere con una nuova rivoluzione che si basi su un'alleanza Nord-Sud.

  5. #5
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    Ottimi spunti di riflessione! Appena ho un po' di tempo mi butto nella mischia... Intanto spero di leggere anche altri commenti...

    PS: grazie diavolo!

  6. #6
    no parri berus
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    Citazione Originariamente Scritto da terraeamore Visualizza Messaggio


    Per ciò che riguarda il discorso di sfruttamento economico, sono perfettamente d'accordo con l'analisi che proponi. Il sud è ed è sempre stato carne da macello per il resto della penisola e lo stesso vale perla Sardegna e il suo popolo.
    Tuttavia, sono convinto che per affrontare il problema, ci voglia una lotta comunista solidale contro il sistema e parallelamente la rinascita comunitaria indifferenziata per ogni luogo e ogni regione d'Italia, di cui parlavo prima.

    Spero di non aver messo troppa carne al fuoco.

    esistono luoghi o meglio nazioni,purtroppo facenti parte dell'italia, dove non si può applicare una lotta come in un'altra qualsiasi regione d'italia.
    prima di tutto perchè l'autodeterminazione di un popolo e una coscienza identitaria nazionale non potrebbero mai andare di pari passo con nessun altra lotta dove entra di mezzo un altra nazione(che oltrettutto sarebbe l'attuale colonizzatrice). ogni popolo e ogni terra è giusto che nelle proprie lotte si guardi bene in faccia con il proprio popolo che conosce meglio di chiunque altro.
    potresti anche sostenere che la nostra lotta non è popolarmente cosi' sentita, le cause potrebbero essere molteplici , ma io ti risponderei se anche fosse vero che si tratterebbe solo ''per il momento'' dando fiducia al tempo,ai nostri mezzi e alla nostra lotta che come priorità mette la sensibilizzazione delle coscienze prima di tutto.
    sa libertade de tottusu !

  7. #7
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    Premettendo che non parlo di "popolo" meridionale, ma di POPOLI distinti, sebbene con radici comuni assolutamente "mal integrate" nella cultura italiana. Io parto dal presupposto che i problemi del Sud non sono risolvibili nel quadro nazionale, ma anzi l'unità nazionale si basa su un Sud pattumiera. Per questa ragione il tema dell'indipendenza, non lo pongo io come uno sfizio personale, ma è una necessità. Qui al Sud ci sono tante nazioni con un unica lotta "comunitaria" da portare avanti.

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da diavolo Visualizza Messaggio
    Premettendo che non parlo di "popolo" meridionale, ma di POPOLI distinti, sebbene con radici comuni assolutamente "mal integrate" nella cultura italiana. Io parto dal presupposto che i problemi del Sud non sono risolvibili nel quadro nazionale, ma anzi l'unità nazionale si basa su un Sud pattumiera. Per questa ragione il tema dell'indipendenza, non lo pongo io come uno sfizio personale, ma è una necessità. Qui al Sud ci sono tante nazioni con un unica lotta "comunitaria" da portare avanti.
    ti do una risposta brevissima, in attesa di apprfondire il discorso:
    1-trovo che l'unità nazionale italiana la si possa ricostruire su basi nuove, partendo dalla valorizzazione di ciò che abbiamo in comune, nonchè delle differenze
    2- mi sembra assai difficile e confuso parlare di varie nazioni nel sud: ovvio che vari popoli si sono succeduti nella storia, ma altrettanto ovvio che tali popoli sono oggi perfettamente integrati e fusi tra di loro e con i popoli del resto d'Italia. Insomma staimo attenti alle distinzioni artificiali e ripartiamo per ricostruire questa povera patria allo sbando ( il sud come il nord come il centro), uniti, e determinati.

  9. #9
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    Salve, mi permetto un'annotazione: non è vero che la distruzione delle identità locali e della solidarietà sociale (che tradizionalmente procedevano di pari passo a Nord e a Sud) sia causata dal c.d. liberal-capitalismo. E' lo Stato a distruggere le identità e a sostituirsi all'individuo, de-responsabilizzandolo e burocratizzando (cioè s-personalizzando) il legame sociale.
    Meno Stato e più mercato può apparire uno slogan, e in realtà è una strategia per restituuire autonomia e vitalità a un tessuto sociale provato e forse ormai compromesso dall'assistenzialismo. Che ha vanificato l'ethnos, la Kultur. Che ha distrutto la civiltà europea in quanto civiltà e cioè luogo di tradizioni.
    Meno Stato significa due cose: autonomie locali e proprietà privata. Paradossalmente, solo su questi due assi è possibile parlare di comunità. Solo sulla scorta della necessità di provvedere associativamente e direttamente alle diseconomie sociali è possibile ricreare un pensiero e un'azione orientata alla collettività e non all'individualismo.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da ZENA Visualizza Messaggio
    Salve, mi permetto un'annotazione: non è vero che la distruzione delle identità locali e della solidarietà sociale (che tradizionalmente procedevano di pari passo a Nord e a Sud) sia causata dal c.d. liberal-capitalismo. E' lo Stato a distruggere le identità e a sostituirsi all'individuo, de-responsabilizzandolo e burocratizzando (cioè s-personalizzando) il legame sociale.
    Meno Stato e più mercato può apparire uno slogan, e in realtà è una strategia per restituuire autonomia e vitalità a un tessuto sociale provato e forse ormai compromesso dall'assistenzialismo. Che ha vanificato l'ethnos, la Kultur. Che ha distrutto la civiltà europea in quanto civiltà e cioè luogo di tradizioni.
    Meno Stato significa due cose: autonomie locali e proprietà privata. Paradossalmente, solo su questi due assi è possibile parlare di comunità. Solo sulla scorta della necessità di provvedere associativamente e direttamente alle diseconomie sociali è possibile ricreare un pensiero e un'azione orientata alla collettività e non all'individualismo.

    Guarda ti rispondo molto brevemente. Il Mercato oggi come oggi senza il monopolio dello Stato e le sovvenzioni (che tra l'altro gli imprenditori chiedono e piagnucolano sempre con più insistenza) crollerebbe dopo due ore, perchè il liberla-capitalismo di cui parli è fatto di debiti, di nulla, con soldi che non si hanno. Motivo per cui non solo lo Stato entra pesantemente nella discussione ma diventa la conditio sine qua non dell'esistenza stessa del Mercato e del Capialismo, non a caso lo Stato è Stato rappresentativo delle classi dominanti nelle varie declinazioni del Capitale stesso (da PRC fino a Forza Nuova).

    Non trovo poi una reale corrispondenza o congruenza scientifica (antropologica e sociologica) tra etnia e cultura (non è che se scriviamo con termini non italiani la sostanza cambia). L'etnia è categoria biologica (che tra l'altro si modifica costantemente nel tempo per rimanere tale ma in maniera umanamente non percepibile) e la cultura è categoria antropologica in costante mutamento per contaminazione esterna.
    Le tradizioni essendo prodotto umano hanno dunque un inizio e si sviluppano nell'ambito storico e non in quello metastorico. Non esiste tradizione che rimanga eterna ed immutabile, non esiste la Tradizione come motore primo ed immobile della cultura ma esiste un processo indifferentemente graduale e di frattura a seconda del momento storico in cui è immerso.

    A luta continua

 

 
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