La CdL: "Siamo all'emergenza democratica"
di Claudia Passa
Di cosa esattamente il generale Roberto Speciale debba pagare lo scotto lo si comprenderà forse meglio quando arriveranno in Parlamento le intercettazioni sul caso Unipol-Bnl che il gip Clementina Forleo chiede di utilizzare. Quel giorno il quadro sarà più nitido. Ma già da oggi bisogna prendere atto che aver indagato sulla scalata della compagnia assicurativa delle cooperative rosse ad una delle maggiori banche italiane, aver difeso il proprio Corpo militare dalle pressioni politiche, averne riferito ad un’autorità inquirente sotto la propria responsabilità, in questo strano Paese, in cui il capo del primo partito di maggioranza si preoccupa di sapere se “abbiamo una banca”, è considerato un atto di insubordinazione da pagare caro.
Non solo. Nella lunga lista dei “capi d’imputazione” a carico di vertici ed ex vertici delle fiamme gialle vergata nei giorni scorsi da qualche quotidiano vicino alla maggioranza di governo, c’è pure l’imperdonabile “colpa” d’aver mantenuto buoni rapporti con un altro generale della Finanza, poi direttore del Servizio segreto militare, mandato dal governo Prodi a ingrossare le file della magistratura amministrativo-contabile nei ranghi del Consiglio di Stato: Nicolò Pollari. E chissà, forse sulle spalle del comandante delle fiamme gialle pesa pure il ruolo giocato nel decennio scorso dal suo ex Capo di Stato maggiore, Emilio Spaziante, nell’indagine sulla privatizzazione della Telecom e sulla scalata dei cosiddetti “capitani coraggiosi”.
Chissà. Di certo, se la sinistra ha pensato di risolvere un problema decapitando da un giorno al giorno stesso la GdF, se ha creduto d’aver imboccato l’unica strada possibile per dribblare la resa dei conti a Palazzo Madama e salvare la faccia di Vincenzo Visco, costretto a rinunciare temporaneamente ad una delle sue deleghe, non ha fatto i conti con un’opposizione ricompattata dopo un lungo periodo di incomprensioni e sgambetti. Il comunicato congiunto vergato da Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Lorenzo Cesa e Umberto Bossi subito dopo la riunione a Palazzo Chigi che ha decretato il cambio della guardia ai vertici della Finanza ha un significato politico che la sinistra farebbe bene a non sottovalutare. Anche perché la Cdl ha fatto chiaramente intendere che, seppur disinnescata la miccia degli ordini del giorno presentati in Senato – e ora ritirati – dall’Italia dei Valori e dal duo Bordon-Manzione, il mirino si sposta più in alto, fino a centrare Tommaso Padoa-Schioppa (che ha chiesto invano a Speciale di dimettersi) e lo stesso Romano Prodi, che era stato incaricato dalla sua coalizione di gestire in prima persona il “caso Visco”.
I centravanti di sfondamento del centrodestra parlano di una “gravissima prevaricazione” che “rappresenta un’autentica emergenza democratica”. Tanto da “vanificare l’appello al dialogo rivolto dal Capo dello Stato”, per di più “alla vigilia della Festa della Repubblica che è la giornata delle Forze Armate”. “Di fronte a questo fatto – affermano Berlusconi, Fini, Cesa e Bossi -, che è di inaudita gravità e senza precedenti nella storia della Repubblica, tutta l’opposizione reagirà con assoluta fermezza”. Una promessa che per l’opposizione è un campanello d’allarme. I numeri in Senato sono quelli che sono, le quotazioni della maggioranza non erano mai scese così in basso, e pur avendo l’Idv ritirato il suo ordine del giorno, il ministro Antonio Di Pietro ha già fatto sapere che l’avvicendamento disposto da Palazzo Chigi non dev’essere “un atto di ritorsione personale”, giacché “fino a prova contraria, così come deve essere creduto il vice-ministro Visco, va creduto anche il generale della Guardia di Finanza”.
Una dichiarazione che pesa. Già, perché come accaduto in occasione della relazione Parisi sulla base Usa di Vicenza, ancora una volta la “buccia di banana” in grado di scompaginare l’Unione in Senato potrebbe essere una mozione di Roberto Calderoli. Il documento si limita ad esprimere “fiducia” nei confronti di Roberto Speciale, e Roberto Castelli ha confermato che la Lega non lo ritirerà. Il dibattito si preannuncia dunque infuocato, la ritrovata coesione nella Cdl non fa presagire niente di buono per la maggioranza, e il fuoco di fila che s’è levato dal centrodestra per difendere il capo della Gdf da quella che con varietà di toni è stata definita ora “ritorsione”, ora “vendetta”, ora “atto degno di un regime totalitario”, non è cosa facile da digerire. Specie alla vigilia di un ballottaggio elettorale.
Anche il richiamo al Colle contenuto nella nota congiunta dei leader del centrodestra ha un significato da non prendere sotto gamba. La visita al Quirinale, paventata alla vigilia della amministrtaive, non è stata ancora calendarizzata. Ma dopo il secondo turno tutto è possibile, e uno strappo così forte da parte del governo Prodi nel giorno in cui Napolitano aveva invitato al dialogo è un argomento pesante da gettare sul tavolo. Senza contare quel che potrebbe accadere se il capo della Guardia di Finanza decidesse di rifiutare la nomina alla Corte dei Conti, rivolgersi al Tar e far rischiare al governo un secondo “caso Petroni”.
La sera del “colpo di mano”, al termine di una infuocata ridda di dichiarazioni, era parso che un uomo avveduto come Pierluigi Bersani si fosse reso conto dei potenziali contraccolpi di quanto veniva deciso ai piani alti di Palazzo Chigi. “Voglio testimoniare l’amarezza di vedere che una persona perbene venga messa in condizioni così spiacevoli”, ha osservato il ministro dello Sviluppo economico. Sembrava che si riferisse a Speciale. E invece no. Parlava di Visco.