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    Predefinito Cosa sognava D’Alema?

    Roma. La settimana infernale del governo Prodi sembrerebbe concludersi meno peggio del previsto e forse persino meglio di com’era cominciata, tra primo turno delle elezioni amministrative, vicenda Visco-Speciale e manifestazioni contro Bush di sinistra radicale e movimenti antagonisti.
    La conclusione, come previsto, coincide con i risultati dei ballottaggi e con quelli delle intercettazioni del caso Antonveneta. Meno peggio del previsto, se non per altro, perché il governo Prodi è ancora in piedi, nonostante la micidiale sequenza di colpi incassati in questi giorni, innanzi tutto dai suoi alleati.
    E da buona parte dei suoi elettori.
    Per Palazzo Chigi il secondo turno del voto amministrativo è un mezzo pareggio che vale più di mille vittorie, o se si preferisce una sconfitta su cui Romano Prodi avrebbe messo la firma, dopo la disfatta del primo turno.
    Il risultato allontana i timori della “spallata” berlusconiana e attenua la sindrome da stato d’assedio. Vincere alla provincia di Genova, come a Pistoia e Piacenza, in altri tempi sarebbe stato semplicemente scontato. Ma con l’aria che tira e dopo il colpo subito al primo turno, lì si giocavano in gran parte le residue speranze di vita del governo.
    La vittoria del centrodestra a Parma e Lucca non è sufficiente a provocare una nuova crisi.
    E nemmeno il contenuto delle intercettazioni – almeno a giudicare dalle prime reazioni, nella maggioranza e nell’opposizione – non sembra recare traccia di quel clima da Italia del ’92 tante volte evocato in questi giorni.
    Dalle prime “indiscrezioni” – riportate ieri da tutte le agenzie – Massimo D’Alema direbbe a Giovanni Consorte: “Facci sognare” (a proposito della scalata Unipol a Bnl) e di “fare attenzione alle comunicazioni”; Piero Fassino gli chiederebbe informazioni in vista di un incontro con Luigi Abete (presidente di Bnl); Nicola Latorre gli spiegherebbe:
    “Fassino non capisce nulla”.
    Dopo le minacciose dichiarazioni del gip Clementina Forleo riportate giorni fa dalla stampa, e dopo il conseguente intervento dei presidenti delle Camere che richiamavano la magistratura alla riservatezza e al rispetto della legge in materia di intercettazioni, l’istantanea diffusione delle conversazioni ha suscitato proteste da tutte le forze politiche.
    Alle otto di sera, Roberto Castelli, Stefania Craxi e Francesco Storace erano gli unici ad avere attaccato i Ds sul contenuto delle intercettazioni, diffuse via agenzia già all’ora di pranzo. Dall’altra parte, tra i primi a reagire c’è naturalmente Guido Calvi, parlamentare e avvocato dei Ds, che in una nota dichiara:
    “Come non era difficile prevedere, ed era stato da noi previsto, a Milano il tribunale si è trasformato in una sorta di circo mediatico illegale nel quale il nostro sistema di garanzie è stato travolto da una farsa indecorosa”.
    Ma almeno per capire clima e delicati equilibri nella maggioranza, la dichiarazione più significativa è senza dubbio quella di Arturo Parisi, che ai tempi della scalata Unipol non aveva esitato a parlare di “questione morale a sinistra”.
    A domanda dei giornalisti, il ministro della Difesa risponde: “Commentare questi fatti sarebbe come avvalorare quanto già sta accadendo in merito al mancato rispetto del segreto istruttorio”.
    Persino Antonio Di Pietro, rispetto a toni e contenuti delle sue ultime interviste, sceglie parole assai più rassicuranti:
    “Intervenire strumentalmente, su un’indiscrezione che non ha alcuna rilevanza penale è semplicemente usare la calunnia quale mezzo fine a se stesso”.
    Parole misurate e ispirate al massimo fair play arrivano anche dall’opposizione. Fabrizio Cicchitto (Forza Italia) vede l’aprirsi di “una partita assai pericolosa, inquietante e dagli sbocchi imprevedibili”, ma ricorda pure che ai tempi di Mani pulite il Pds “non parlò di circo mediatico illegale”.
    Sulla stessa linea An, con Altero Matteoli e Gianni Alemanno, che parla di “polverone”, e l’Udc, con Francesco Pionati, che definisce una vergogna l’uso politico delle intercettazioni.
    In attesa dei giornali di oggi, e visto anche l’atteggiamento dell’opposizione, il centrosinistra appare dunque sufficientemente unito per reggere l’urto. Ma le mine inesplose della settimana infernale sono ancora molte.
    Sulla vicenda Speciale, ieri la Corte dei conti ha chiesto al Tesoro di fornire chiarimenti sulla nomina del suo successore. E dopo il fallito sit-in contro Bush, le parole del segretario di Rifondazione a Repubblica certo non promettono nulla di buono. “La prossima volta saremo con i movimenti – dice Franco Giordano – anche se la piattaforma non dovesse convincerci”.
    Una dichiarazione di resa, osservavano ieri molti allibiti alleati, tanto più preoccupante all’indomani del fallimento della stessa manifestazione no global, con appena dodicimila persone.
    E’ l’ombra di una disperata rincorsa alla radicalizzazione, senza più argini a sinistra, che potrebbe minacciare non solo il governo Prodi, ma la stessa possibilità di una coalizione di centrosinistra, che suscita nell’Unione cupe “premonizioni francesi.

    Il Foglio del 12 giugno

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Sogni d'oro

    Facci sognare. Vai!”.
    Per chi per anni non ha sognato, non c’è scandalo.
    Per chi non ha coltivato moralismi, non c’è morale da fare né da trarre.
    Per chi non ha menato il can del conflitto d’interessi per l’aia del tornaconto politico, non c’è sorpresa da ostentare.
    Ma per gli altri una riflessioncina sarebbe utile.
    Perché se tu dici che politica ed etica dormono nello stesso letto, poi, colto con l’amante banchiere o cooperatore o imprenditore nell’armadio, ti conviene almeno a posteriori ammettere che a volte gli affari flirtano eccome con i partiti (e viceversa), con le classi dirigenti politiche (e viceversa).
    Se il 21 luglio 2005 D’Alema alla Repubblica diceva:
    “Non conosco quello che è stato definito il ‘compagno’ Ricucci. Compagno di chi? Falsità montate ad arte per depistare… Io nell’operazione Unipol non c’entro nulla”, quando il “facci sognare, vai” a Consorte è del 7 luglio 2005 e il 18 luglio 2005 (tre giorni prima del 21), Ricucci scherzava al telefono con il simpatico senatore dalemiano Latorre: “Eccolo, il compagno Ricucci all’appello”, vuol dire che c’è del copioso velleitarismo nel progetto di salvare la denominazione “del lavoro” della Bnl, ma tenendo ben distinte politica ed economia, l’acqua santa e il diavolo.
    E’ velleitario soprattutto in un paese come l’Italia, che non ha netta la separazione tra diritto pubblico a difesa delle regole e affari privati liberi nella gara del mercato, ma che anzi vive di un’economia parte privata, parte socialista, parte clanica, parte salottiera, parte da merchant bank che parlano inglese, bolognese, bresciano, romano.
    Il nostro è il paese del diritto elastico, qui per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano, è la regola aurea definita da Giovanni Giolitti.
    Ma suvvia, è ovvio, una banca molto amica, “a un anno dalle elezioni”, fa comodo a tutti e una classe dirigente lo rivendicherebbe (e soprattutto otterrebbe il risultato), non lo nasconderebbe nei conciliaboli a cena, perché “attento alla comunicazione”, potresti essere ascoltato.
    Certo, le cooperative e Unipol sono grandi realtà indipendenti, come ricordava, in pubblico, il D’Alema dell’estate 2005, ma poi alla fine arriva il mandato politico:
    “Facci sognare. Vai”.
    Insomma, forse è il caso di smetterla di baloccarsi nel meraviglioso mondo in cui “la politica è una cosa, le imprese un’altra”, dove “non c’è una linea data dal partito” perché “c’è il massimo rispetto dell’autonomia delle imprese” e non sia mai che ci sia “un assalto politico alle banche”, tutte gladiatorie affermazione, sempre in pubblico, del D’Alema del luglio 2005.
    Meglio la chiarezza e l’efficacia, anche perché poi c’è sempre sullo sfondo, dunque al centro, quel dettaglio che non c’entra con le intercettazioni ma a noi sta a cuore, quei due conti di Consorte e Sacchetti (Unipol), con quelle due somme uguali (25 e 25 milioni di euro), immobili e bisognosi di attenzione chiarificatrice.
    Meglio la chiarezza. Altrimenti, sogni d’oro.

    G.Ferrara su il Foglio

    saluti

  3. #3
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    Predefinito Massimo cinque euro

    Mia figlia ha letto quella roba. Poi mi ha detto: papà, visto che hai tutti questi soldi in Brasile, perché non la smetti di regalarmi borsette cinesi da cinque euro?”.
    Borsette. Cinesi. Da cinque euro.
    Che Massimo D’Alema in persona si vanta di regalare alla propria figlia ventenne.
    Ora, è evidente che le faccende di presunti dossier (noiosissime, complicate, illeggibili) non interessano a nessuno: l’unica cosa che conta è il D’Alema style, cioè le borse cinesi, cioè il massimo dell’orrore e dello scandalo.
    Un’estate D’Alema disse con smisurato snobismo che la moglie Linda
    “comprando al mercatino sembra che si vesta da grandi stilisti. Non so come faccia, è sorprendente”,
    ma era ancora di moda il pettegolezzo allegro (allegro non per lui: “mi sono molto pentito di non aver querelato tutti”) sulle scarpe da un milione e mezzo, e comunque i mercatini, qualunque mercatino dell’usato con le borse ammonticchiate in un cesto e duecento signore che se le strappano di mano, non hanno niente a che vedere con le borsette cinesi di plastica, quelle con le cuciture gigantesche che si rompono subito, quelle che imitano le borse vere, quelle che hanno incollata sopra la scritta “Prado”.
    Una cosa da distruggersi l’adolescenza, da farsi bocciare agli esami, da entrare nei circoli delle Libertà e fare la groupie di Silvio Berlusconi.
    Forse Massimo D’Alema non sa che frase terribile ha pronunciato, perché in effetti nei negozi e sulle bancarelle dei cinesi non vendono le barche a vela: Ikarus 1, Ikarus 2, le regate, in Cina non c’è ancora questo business del taroccamento.

    La situazione è grave, lo stile in discesa
    La borsa cinese doveva essere solo una battuttina nervosa e dalemiana (per questo genere di battute molte signore farebbero follie e corsi di vela, ma questa volta è diverso, questa volta nessuna femmina lo perdonerà).
    Invece ha provocato grande scompiglio: ci sono già famiglie sinceramente democratiche pronte a prendere in affidamento la figlia di D’Alema e portarla a fare shopping, ci sono giovani e generose militanti che offrono le proprie borse (italiane, spagnole, francesi) usate pochissimo per uscire dall’imbarazzo, ci sono negozi del centro pronti a fare eccezionali sconti sull’acquisto, ad esempio, di una classica “Rive Gauche” a tracolla, ci sono persino bancarelle cinesi affollate di padri di famiglia suggestionabili e ubbidienti.
    La situazione è grave e il D’Alema style in veloce discesa (considerato poi che l’estate scorsa D’Alema ha indossato in vacanza dei bermuda sotto il ginocchio, con la coulisse).
    Allora, signor ministro degli Esteri, ritiri tutto, dica che non è vero, che era solo una battuta da maschio ignorante che si rifiuta di accompagnare le proprie donne per vetrine (e però porta fuori il cane, fa il risotto, appende e sposta quadri), ammetta che era furibondo per quelle cose brasiliane e ha già querelato tutti, così potrà presto permettersi di regalare alla ragazza, per il prossimo esame, almeno una Balenciaga penultimo modello.

    Il Foglio

    saluti

  4. #4
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    Predefinito D'Alema in barca

    La storia è cominciata già da un bel pezzo.
    Voleva diventare presidente della Repubblica, per esempio.
    Ma i grandi giornali e i suoi colleghi gli hanno aperto un fuoco di sbarramento tale che ha dovuto ritirarsi con le pive nel sacco.
    Avrebbe ripiegato volentieri sulla presidenza della Camera.
    Ma Prodi e i suoi colleghi gli hanno preferito il compagno Bertinotti.
    Lui ha inghiottito la pillola senz’acqua.
    Avrebbe voluto che la sua Unipol si prendesse la Banca nazionale del lavoro.
    E c’è perfino chi sospetta che sia arrivato al punto di trafficarci un po’.
    Ma poco è mancato che i magistrati un tempo amici gli intercettassero pure i pensieri. E gli è arrivata comunque una tranvata che ancora sta vibrando. Voleva
    tagliare l’erba sotto i piedi a Prodi, come l’altra volta. Ma il risultato, per ora, è che Prodi sta trascinandosi nell’abisso anche lui.
    Voleva continuare a essere il numero uno del partito, il più temuto, il più potente, soprattutto il più amato e seguito.
    Ma il sinuoso Veltroni gli sta facendo un mazzo tanto.
    Molti si erano leggermente distaccati da lui, nel frattempo.
    Però non Vincenzo Visco.
    Il viceministro dell’Economia gli era rimasto vicino.
    Adesso, rischia che dopo le deleghe gli tolgano la pelle.
    Ecco.
    E vorrebbero farci credere che D’Alema è andato in barca solo ieri?

    il Foglio

    saluti

  5. #5
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    Predefinito La Coop dei privilegiati

    Nessuno è perfetto, e anch'io devo ammettere una debolezza, alla quale quasi mai resisto. Al solo sentire le prime note della Internazionale, epico inno comunista, già mi emoziono.
    E se poi è cantata in russo non riesco a trattenere la commozione.
    Perché l'idea di un mondo fraterno nel quale il reciproco aiuto muove l'economia, e non l'interesse di pochi, è la più nobile. E per quanto mi dica poi che lo Stato, e i comunisti veri, di tanta nobiltà abbiano fatto scempio, tuttavia la debolezza mi resta.
    Questo per dire che giudico ogni movente fraterno che si attui senza Stato e partiti, insomma la solidarietà cosciente, voluta e libera, davvero bella.
    Avrei insomma un pregiudizio positivo fino alle lacrime per quant'è fraterno, mutualistico e cooperativo.
    E però che ti leggo l'altro giorno sui giornali?
    Che a commuovere i potentati delle cooperative, anzi a gasarli non era più l'Internazionale.
    Infatti nell'eccitazione della tentata conquista di Bnl Consorte spiegherebbe a D'Alema: «Sto riunendo i cooperatori perché sono tutti gasati. Gli ho detto: però dovete darmi i soldi, non è che potete solo incoraggiarmi».
    Al che D'Alema: «Di quanto hai bisogno»;
    Consorte: «Di qualche centinaio di milioni di euro».
    Insomma aridanghete: dalla poesia rieccoci italianamente nel dovere di occuparci di prosa, come quasi sempre.
    Trovo molto ignobile che qualcuno, chiunque, sia spiato, e che soprattutto se ne divulghino le battute e gli stati d'animo, non foss'altro perché ogni anima è precaria e vagabonda.
    Dunque inclina per sua natura senza rimedio a perdersi chiacchierando.
    Tuttavia mi pare vi sia un altro guaio ben poco considerato.
    Forse peggiore del discredito di D'Alema o Fassino o delle sinistre. Discredito che compiace i prodiani, e dunque per istinto di italiano settario mi dispiace.
    C'è il guaio di un tribunale ben più pericoloso di quello di Milano. Fossero comprovate, le trascrizioni che riempiono i giornali prima o poi finirebbero per essere lette a Bruxelles.
    Nel luminoso ufficio della signora Neelie Kroes, commissario europeo responsabile della politica di concorrenza.
    Là dove in uno scaffale riposa bel bello il recente ricorso delle associazioni del Commercio di Federdistribuzione, riguardo agli aiuti di Stato concessi alle cooperative.
    Si dubita in esso infatti che le cooperative siano ancora quelle dei tempi dell'anarchico Malatesta. E che dunque meritino i notevoli privilegi non solo fiscali con cui la legge seguita a premiarle.
    Insomma, se vere, le gesta telefoniche di D'Alema illuminato di sognare assieme al compagno Ricucci, poi carcerato, sono per i sentimenti di sinistra un disdoro.
    Fanno sentire molto più imbecilli di me quei militanti che ancora per certi inni si commuovono, e votano Prodi.
    Ma non è questo il guaio maggiore.
    Danno ben più potente è che sulla scrivania della Kroes finisca quel colloquio tra Consorte e D'Alema.
    Perché offre un argomento potentissimo a quanti dubitano dei fini solidali delle cooperative odierne.
    Se la Kroes chiedesse magari di verificare le intercettazioni adesso trapelate e certe parole risultassero vere, diverrebbe ovvia l'apertura di un’inchiesta formale.
    Come giustificare i privilegi fiscali delle cooperative se usati davvero per scalare le Banche col compagno Ricucci? Non so.
    Ma il viso della signora Neelie Kroes non è di quelli che si commuoverebbero troppo al canto dell’Internazionale.

    G.A. su il Giornale di oggi

    saluti

  6. #6
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    Predefinito D’Alema: giudici cattivi

    È un attacco senza mediazioni quello che il vicepremier Massimo D’Alema rivolge alla magistratura nel corso di una sua intervista al Tg5 sul caso Unipol.
    «Io sono rimasto colpito per lo spettacolo di questi avvocati che vanno e ricopiano le frasi e vanno su e giù per le scale per portare al giornalista le frasette... È uno spettacolo indecente, una specie di suk arabo e questo è un reato. Per un moralista cominciare a fare la morale agli altri commettendo un reato non è granché, è uno spettacolo indecente ed è avvenuto sotto lo sguardo trascurato della magistratura».
    E aggiunge: «È un reato e in Italia c’è l’obbligatorietà dell’azione penale. Mi aspetto che qualcuno venga perseguito»
    Parla di «attacco sgangherato e immotivato» e di «arrogante illegalità dell’uso illegittimo di materiali riservati o di indagini illegali» e una delle poche frasi positive è rivolta al leader di Forza Italia e alla Cdl: «Ho sentito da Berlusconi, Fini, Casini e altri, parole molto misurate e questo è sicuramente apprezzabile. D’altro canto, in altre circostanze di uso scorretto di intercettazioni, anche io stesso avevo già preso specularmente posizioni analoghe. Del resto questo episodio non tocca soltanto noi ma anche diverse personalità del centrodestra».
    D’Alema apprezza anche la solidarietà di Romano Prodi e puntualizza: «Prodi ha usato parole chiare, ma il grado di solidarietà è anche legato al rilievo dell’attacco: trovo che questo attacco sia così sgangherato e così immotivato che, in fondo, non richiede neppure grande solidarietà».
    E aggiunge: «Ma forse una certa preoccupazione sì» sottolineando che se il politico commette reati «deve essere perseguito come un cittadino comune, con in più l’onta perché ha una responsabilità in più. Ma se il politico non commette reato perché deve essere perseguitato? Non solo non c’è reato, ma non trovo nemmeno niente di moralmente sconveniente».
    Entra nel merito delle intercettazioni del caso Unipol e ribadisce:
    «Questo attacco si basa sul nulla e questa è la cosa più impressionante. Mi vedo processato per avere fatto una battuta, con ogni evidenza... Io non lo dico neanche allo stadio “facci sognare” (la frase detta a Consorte che comunicava l’acquisizione della Bnl, ndr)... Era una cosa ironica, diciamo quasi sarcastica. Questo è il crimine? Cioè, questo è il tema che occupa i giornali e per cui viene messa sotto accusa la classe dirigente? È un’indecenza».

    I primi a rispondere alle accuse di D’Alema sono i magistrati milanesi.
    Il presidente della Corte d’appello, Giuseppe Grechi, precisa che «tutte le cautele che potevamo prendere per evitare la diffusione delle intercettazioni, le abbiamo prese basandoci su un rigido protocollo stilato dal gip Clementina Forleo», e risponde anche a proposito dello «sguardo trascurato della magistratura:
    «Il termine magistratura è molto vago». Il presidente Grechi ha anche annunziato che con il procuratore generale Mario Blandini dovrà verificare se «le cautele poste in opera siano state osservate e se nonostante questo è uscito qualcosa in quella sede, cioè dalla stanza numero 9 dove è avvenuta la consultazione degli avvocati».
    «Io devo accertare solo quello che è accaduto nell’ufficio gip - ha proseguito Grechi - mentre tocca eventualmente alla Procura accertare quello che è accaduto nella fase in cui gli atti sono passati dalla Procura al gip».
    Al vicepremier replicano con durezza gli avvocati. «Non si deve permettere di offendere gli avvocati - ha detto Antonella Augimeri, legale di un indagato nell’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta - affermando che prendono appunti sui polsini della camicia per poi darli ai giornalisti.
    Nessun reato è stato commesso in quanto le indagini sono chiuse da mesi e non vige alcun segreto istruttorio».

    Il Giornale

    è da notare come il ministro degli Esteri sia esperto in "spettacoli indegni", in attacchi "sgangherati", in moralisti immorali (prima ringrazia l'opposizione minacciandola subito dopo), nell'uso dell'ironia quando gira attorno alla sua battuta sul farlo sognare, dimenticandosi che in effetti poi il sogno divenne realtà.
    Pare, il ministro, molto nervoso e seduto sulle spine.
    Riuscirà anche stavolta a sfilare la poltrona da sotto il culone del premier?

    saluti

  7. #7
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    che razza di pezzente è d'alema? lui in giro in barca a vela e la figlia con le borsette dei cinesi da 5 euro?

  8. #8
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    la minaccia di Dalema,se non fosse infantile avrebbe i connotati di quella mafiosa.
    Certamente la sinistra ,ovvero il suo popolo che vuole sempre vittime sacrificali ,non può pretendere di avere uomini migliori di lei:si tenga stretto Dalema che è il massimo e il peggio che essa può esprimere.

  9. #9
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    Predefinito La Farnesina non lo sa

    Solo dieci giorni fa, alla vigilia della sua ultima missione a Damasco, Massimo D’Alema affidò i suoi pensieri all’Unità annunciando che «l’Italia vuole che la Siria sia parte attiva in un processo di pace» e che avrebbe chiesto ai suoi interlocutori di «cooperare alla stabilizzazione della regione».
    Parlò per due ore con Bashar Assad, ebbe due incontri con il suo collega Mouallem e, nella conferenza stampa conclusiva, non lo corresse quando gli sentì dire che «Italia e Siria praticamente condividono tutto sui temi della politica estera».
    Non deve essere stato molto convincente vista la nuova strage compiuta a Beirut per eliminare Walid Eido, una delle figure di primo piano della maggioranza parlamentare antisiriana, l'ennesima personalità uccisa dopo il primo ministro Rafic Hariri, un assassinio sui cui mandanti non esistono troppi dubbi.
    Del resto, un inviato al seguito di D'Alema annotò che «l'ipocrisia fa parte integrante dei colloqui di Damasco».
    Ma anziché prendere atto del fallimento di un anno di politica estera, di cui è il simbolo la missione Unifil, Palazzo Chigi e la Farnesina perseverano nell'errore.
    Il presidente del Consiglio Romano Prodi, se non ha avuto esitazioni nell'esprimere la sua «più ferma condanna per il vile attentato» di Beirut, non ha voluto spendere neanche un'allusione al ruolo di Damasco.
    È stata una reticenza accentuata dall'incontro che in quelle stesse ore il segretario di un partito dell'Unione, Oliviero Diliberto, aveva con Bashar Assad «in un clima di grande cordialità» per sostenere anche l'impegno a «rafforzare le relazioni tra Siria ed Italia in tutti i settori».
    C'è da chiedere: anche in quello delle stragi e dell'eliminazione fisica degli avversari?
    Forse una correzione, anche soft, dell'entusiasmo del segretario dei comunisti italiani sarebbe stata utile, per il buon nome del Paese.
    Il tutto mentre nella striscia di Gaza si sta consumando un altro tragico fallimento, quello dell'illusione dell'Italia (in compagnia dell'Unione Europea e della sua trentennale simpatia per l'Olp prima e l'Anp poi) di riuscire a governare la transizione palestinese attraverso la scelta dell'«equivicinanza» e la rivendicazione costante della superiorità del «multilateralismo».
    Un disastro.
    Non c'è altra parola per definire la linea Prodi-D'Alema.
    Si tratta della simulazione di una politica di pace: parole, il più delle volte semplici vanterie, a cui non corrisponde alcun risultato. Il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri hanno rivendicato il merito di saper parlare chiaramente a George W. Bush.
    Ma la loro voglia di chiarezza finisce lì.
    Invece, dove si è rapidamente bruciata la loro ambizione di svolgere un ruolo decisivo non sanno cosa dire. Balbettano sull'implosione palestinese, non hanno il coraggio di indicare nel regime siriano e nei suoi alleati la fonte della destabilizzazione libanese, sanno che la missione dell'Unifil è ormai solo ostaggio di chi vuole cancellare la parola stabilità dalla prospettiva del Medio Oriente e si comportano di conseguenza.
    Il disastro dell'Unione va oltre i confini dell'Italia.

    Renzo Foa su il Giornale

    Evidentemente il leader è strenuamente impegnato in Senato a contare i Sì e i No.
    L’altro, il ministro, ….sapete bene i problemini che ha!

    saluti

  10. #10
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    Predefinito Marciano divisi ma colpiscono....

    ...insieme i pm

 

 
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