«Famiglia naturale»: termine offensivo
Maurizio Blondet
13/06/2007

Dovevamo arrivarci: i termini «famiglia naturale» e «matrimonio come unione di uomo e donna» sono punibili come discriminatori, incitatori all'odio (hate speech) in quanto contengono «un senso omofonico».
Lo ha sancito il 5 giugno scorso il tribunale di Oakland, California, in una causa che decreta il licenziamento di chi usi le suddette espressioni in un ufficio pubblico.
Il caso nasce nel 2002, quando alcuni impiegati del municipio di Oakland formarono un gruppo omosessuale che ebbe accesso al sistema e-mail del Comune, e immediatamente invitarono tutti i dipendenti comunali a partecipare ad una «Giornata del Coming-out», insomma di orgoglio gay.
Allora altri impiegati formarono nel gennaio 2003 un gruppo cristiano, «Good News Employees Association» (Asssociazione Buona Novella) e chiesero ai superiori se questo uso delle e-mail pubblica era consentito, non parendo che la giornata gay avesse a che fare con le funzioni del Comune.
La risposta scritta del consigliere comunale Danny Wan fu che «la celebrazione del movimento gay-lesbiche» era parte dei compiti del municipio di «celebrare la diversità».
L'associazione Buona Novella replicò con un volantino («Preserve our workplace with integrità») in cui si dichiarava contrario ad iniziative miranti a «ridefinire la famiglia naturale e il matrimonio che, secondo la legge della California, è unione di un uomo e di una donna».
Il volantino, firmato da due impiegati, Regina Rederford e Robin Christy, fu affisso nelle bacheche comunali.
Una impiegata lesbica, Judith Jennings, fece denuncia: il volantino, si legge nella sua deposizione, la faceva sentire «esclusa» e «presa di mira».
Il volantino venne rimosso dal comune perché «viola le leggi anti-discriminazione».

Si arrivò ad una prima causa, in cui un giudice distrettuale della Northern California stabilì che le parole «famiglia naturale» e «matrimonio» avevano effettivamente un «significato anti-gay», ma che il gruppo Buona Novella poteva postare i suoi volantini nelle bacheche pubbliche, purchè «ripulisse le espressioni offensive per i gay».
Ma non è finita.
Nel gennaio 2003 Joyce Hicks, vicedirettore amministrativo del Comune, invia una circolare a tutti i dipendenti, ricordando loro che possono essere licenziati se «apporranno in vista del pubblico opinioni e dichiarazioni di natura omofobica».
La Buona Novella perciò ha fatto causa, sostenendo che contro il gruppo era stato violato il primo emendamento sulla libertà d'opinione.
Nelle bacheche, dicevano, era apposto ogni tipo di comunicato, da idee su Bin Laden agli eventi sportivi locali, e nessuno aveva minacciato di licenziamento gli autori…
La nona corte distrettuale d'appello ha dato torto al gruppo cristiano.
Sancendo che la libertà d'espressione «viene in secondo piano rispetto agli interessi legittimi dell'amministrazione».
I perdenti si sono appellati adesso alla Corte Suprema.
«La sentenza distrettuale», dicono infatti i loro legali, «rischia di creare un tremendo precedente legale in tutta la nazione. Con l'effetto di ridurre al silenzio migliaia di persone che vogliono parlare in pubblico di famiglia naturale e di valori familiari».

Così infatti sarà (è) il diritto nel tempo dell'Anticristo: punirà la verità e tutelerà il vizio a norma di legge.
La censura sarà applicata per vietare la difesa, anzi anche solo l'evocazione, della normalità.
La nuova normalità imposta sarà l'anormale.
Ovviamente il primo emendamento non accenna ad alcuna limitazione della libertà di pensiero, e non fa eccezioni per alcun «hate speech», vero o presunto.
Ma proviamo ad immaginare come deciderà la Corte Suprema.
Non è difficile, in questi tempi.

Maurizio Blondet

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Note
1) «The word marriage is now hate speech», News from the West, 11 giugno 2007.

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