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  1. #11
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Bagdad«Se sarò nominato premier affronterò prima di tutto il problema della sicurezza perché senza di quella un Paese non sopravvive. Subito dopo cercherò di aumentare il potere d’acquisto delle famiglie perché quando nelle case non c’è da mangiare garantire la legalità è ancor più difficile». Sei anni fa era l’uomo forte di Bagdad, oggi è pronto a tornare ad occupare la vecchia poltrona di primo ministro, ma anche a diventare il simbolo della riconciliazione nazionale. Lui si chiama Iyad Allawi e nei suoi 65 anni di vita è sopravvissuto prima ai killer di Saddam Hussein e poi a quelli di Al Qaida. Figlio di uno dei protagonisti della lotta per l’indipendenza, Allawi è anche il simbolo della complessità e delle contraddizioni di questo Paese. Nato da una famiglia sciita, ha iniziato la sua carriera come membro del partito Baath per trasformarsi poi in uno dei più strenui oppositori del raìs e lavorare a stretto contatto con la Cia.
    Al pari del defunto dittatore è considerato un uomo privo di scrupoli, capace di imporre il proprio volere con il pugno di ferro. Non a caso voci e leggende sul suo breve mandato da primo ministro si sprecano. La più truce vuole che durante una visita ad un carcere abbia ucciso di persona due detenuti di Al Qaida per dimostrare ai suoi generali la necessità di una lotta al terrore senza compromessi. Sei anni dopo, Allawi si presenta come il simbolo della riconciliazione e dell’unità nazionale. La sua coalizione - battezzata Iraqiya - raccoglie sia ex esponenti del partito Baath, sia militanti sciiti poco inclini al fanatismo religioso. Questo doppio legame ne fa uno dei candidati favoriti per la vittoria finale.
    «Le differenze etniche, culturali, religiose - spiega Allawi in questa intervista a Il Giornale - sono una delle ricchezze di questo Paese, per questo noi vogliamo mettere fine al settarismo, eliminare le discriminazioni e avviare una nuova stagione di solidarietà e unità nazionale. Io sono stato perseguitato da Saddam Hussein per trent’anni, ma non cerco né vendetta né riscatto, voglio solo la riconciliazione e il benessere della nazione».
    L’accusano di fare il gioco degli ex di Saddam.
    «Chi ha commesso dei crimini deve vedersela con i giudici, chi non ha fatto nulla di male ha, invece, il diritto di venir reintegrato nel processo politico».
    Durante il suo primo mandato ha scontentato tutti. Che errori non rifarebbe?
    «Cambiare un Paese in pochi mesi non è facile. Il mio programma non è cambiato, mi batterò anche stavolta per costruire delle istituzioni efficienti. La mia vittoria regalerà stabilità all’Irak e a tutta la regione».
    Se vince lei perdono gli alleati di Teheran. L’Iran la lascerà lavorare?
    «Con l’Iran voglio rapporti buoni, ma chiari. Voglio chiudere le questioni rimaste aperte dagli anni della guerra e aprire un capitolo nuovo basato su riconoscimento e rispetto reciproco».
    L’Italia sta diventando uno dei principali partner dell’Irak in campo petrolifero. Come vede i rapporti con il nostro Paese?
    «I rapporti con l’Italia sono tradizionalmente buoni e con me si continuerà su questa linea. Gli italiani e gli europei hanno bisogno del petrolio iracheno, noi iracheni abbiamo bisogno d’infrastrutture, tecnologie e investimenti che solo voi potete darci. Il bisogno è quindi reciproco».
    L’attuale premier Nuri Kamal al Maliki vuole chiedere agli americani di restare. È della stessa idea?
    «Gli americani non sono la soluzione ai nostri problemi. Non possiamo dipendere da loro. Non possiamo tenerceli qui per sempre. Per me devono partire quanto prima. Solo la riconciliazione e una politica di sovranità nazionale pienamente condivisa garantirà la fine della violenza. Senza questi elementi neppure l’esercito più potente del mondo garantirà la nostra tranquillità».
    Ma l’esercito iracheno è in grado di garantire la sicurezza?
    «Questo esercito non si basa sulle competenze e sulla professionalità dei suoi componenti, ma sulla loro appartenenza ad alcuni gruppi di potere. Per questo bisogna ristrutturarlo e riformarlo trasformandolo in una forza fedele al governo, libera da condizionamenti esterni e da legami con i partiti. Inoltre vanno messe fuori legge tutte le milizie private o di partito».
    Tra le vittime del settarismo ci sono i cristiani. Cosa farà per mettere fine alle persecuzioni?
    «Da giovane studiavo dai gesuiti e i miei migliori amici erano cristiani. So bene che quella comunità ha contribuito alla crescita del Paese. Perdere i cristiani significa rinunciare a una parte della nostra identità. Da primo ministro sono stato il primo a cercare di garantire la loro sicurezza e a mettere a disposizione dei fondi per far ricostruire le chiese distrutte. Se verrò rieletto farò di tutto per garantire il ritorno di chi è fuggito all’estero e assicurare a quella comunità il ruolo che aveva in passato».


    «Gli americani tornino a casa ora l’Irak deve fare da solo» - Esteri - ilGiornale.it del 07-03-2010

  2. #12
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Citazione Originariamente Scritto da Unghern Kahn Visualizza Messaggio
    Effettivamente! :giagia: Abbiamo anche il suolo patrio occupato da decine di basi americane ...ncav:

    E non solo, abbiamo anche una grossa fetta della popolazione rincoglionita da decenni di propaganda atlantista che l'ha completamente americanizzata. Almeno gli iracheni sono ancora relativamente immuni a cio'.

    A proposito segnalo questo articolo di Falchi sul sito del CPE:

    CpEurAsia

  3. #13
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    I risultati definitivi del voto iracheno si conosceranno, a quanto ho letto, soltanto oggi. Qualunque sia l'esito del voto resta una messa in scena degli occupanti americani. Gli iracheni sono convinto che rimpiangono i bei tempi di Saddam Hussein quando il paese prosperava economicamente e c'erano ordine, stabilità e disciplina non l'attuale caos, le faide tribali fra clan e gruppi etnico-religiosi contrapposti e il terrorismo d'importazione.

  4. #14
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Forza Allawi !

  5. #15
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Le elezioni parlamentari irachene ovvero “molto rumore per nulla”
    Iraq :::: Pietro Longo :::: 29 marzo, 2010 ::::
    Lo spoglio delle schede elettorali relative alle elezioni irachene del 7 marzo scorso è stato ultimato, dopo settimane di intenso lavoro ed un testa a testa tra i due candidati favoriti, Nuri al-Maliki e Iyyad ‘Allawi. Dei 323 seggi della Camera bassa, il Primo Ministro uscente ha ottenuto 89 poltrone, mentre il principale concorrente appena 2 in più, totalizzando 91 seggi. Inoltre un dato piuttosto rilevante è costituito dai 70 seggi ottenuti dalla lista shi’ita denominata Alleanza Nazionale Irachena (al-I’ttilāf al-Waṭānī al-‘Irāqī) entro la quale sono confluiti il Supremo Consiglio Islamico ed il movimento di Muqtada al-Sadr. Ben 43 deputati apparterranno alla formazione curda, facente capo ai due partiti storici del Partito Democratico Curdo di al-Barzani e dell’Unione Patriottica del Kurdistan del Presidente della Repubblica, al-Talabani. Infine altre formazioni minori hanno ottenuto un numero esiguo di seggi, compresi quelli obbligatori (in numero non superiore a 5) che la nuova legge elettorale, approvata in dicembre, assegna alle minoranze dei cristiani.

    Lista Numero di Voti Voti in % Seggi
    Movimento Nazionale Iracheno 2,631,388 25,87% 91
    Alleanza dello Stato di Diritto 2,620,042 25.76% 89
    Alleanza Nazionale Irachena 1,976,412 19.43% 70
    Liste Curde 1,553,667 15.27% 43
    Gorran 443,871 4.36% 8
    Alleanza Unitaria Irachena 295,226 2.90% 4
    Unione Islamica del Kurdistan 230,742 2.27% 4
    Gruppo Isamico del Kurdistan 143,790 1.41% 2
    Minoranze - - 8


    I dati riportati nella tabella sovrastante devono essere interpretati in un’ottica comparata con i medesimi risultati delle elezioni del 2005. Innanzitutto in questa occasione si è registrata una leggera flessione della partecipazione, considerando che nelle precedenti elezioni i votanti sono stati 12,396,631 mentre a marzo coloro che si sono recati alle urne sono stati il 62% dei 18 milioni di iracheni aventi diritto di voto attivo (circa 11 milioni). Inoltre la tornata appena conclusasi presentava una novità procedurale rispetto a quella passata, ossia l’introduzione di liste aperte pur mantenendo un sistema proporzionale. In entrambe le occasioni si è presentato un numero elevato di liste candidate, per effetto proprio del sistema proporzionale che cerca di assecondare le tante fratture della società irachena. Ma gli schieramenti attuali sono comunque in numero più limitato, come si evince dallo schema, rispetto alle 15 liste del 2005. La riduzione degli schieramenti può essere indice della ricomposizione di determinati fronti, specie a seguito della forte diminuzione delle violenze settarie e del sostanziale, anche se non definitivo, miglioramento delle condizioni di sicurezza. In altri termini, esaurita la fase (durata più o meno quanto tutta la prima legislatura e la precedente fase interinale) di ascesa e di assestamento di nuove forze politiche, con le ben note conseguenze disastrose, è possibile che i partiti trans-etnici e trans-confessionali (come quello di ‘Allawi) siano riusciti a sanare le divergenze tra i partiti più piccoli che infatti sono stati assorbiti dalle piattaforme principali. Se questa ipotesi fosse confermata, si potrebbe concludere che già di per sé l’esito di questa tornata elettorale rappresenti un progresso non indifferente lungo il processo di democratizzazione. In concreto però è accaduto che se le forze politiche più deboli hanno ingrossato le fila dei bacini più grossi, il sistema partitico iracheno si sta sedimentando attorno a quattro poli dominanti, quello del Consiglio Islamico Supremo (filo-iraniano e portatore di un programma islamico), quello dei Curdi (dominato dalle forze tradizionali ai quali si è aggiunta la “terza via” di Gorran), il partito del capolista ‘Allawi e “l’eresia” shi’ita di al-Maliki. In buona sostanza, alle scorse elezioni i 275 seggi erano meglio diluiti fra gli schieramenti al punto che l’Alleanza Unitaria Irachena, espressione soprattutto della minoranza sunnita, era riuscita ad ottenere ben 44 seggi mentre alle elezioni appena trascorse se ne è accaparrata solo 4. Paradossalmente la causa principale di ciò è da ricercare proprio nelle politiche tendenti a trascendere le differenze etniche e religiose attuate da molte liste. Se da un lato questo processo è auspicabile, bisognerà vedere quale reale rappresentanza dei propri interessi riceverà la popolazione sunnita, considerando che i rappresentanti hanno scelto di non concorrere in autonomia ma entro i blocchi “trasversali” maggioritari.

    La seconda differenza macroscopica tra i dati delle due votazioni è la scomposizione del fronte shi’ita, già annunciata in fase di campagna elettorale. Nel 2005 si piazzò al primo posto l’Alleanza Nazionale Irachena che in quell’occasione raccoglieva ben 22 partiti tra i quali i principali erano senza dubbio sia il Supremo Consiglio Islamico che il Partito Da’wa di al-Maliki che l’Organizzazione Badr. Tale schieramento accumulò 128 seggi su 275, possedendo quindi una maggioranza netta sulla seconda lista più votata, che era formata dai partiti curdi. Costoro in quell’occasione ebbero 53 seggi. Al terzo posto, come anticipato, era finita la lista sunnita dell’Alleanza Unitaria Irachena ed infine la lista di ‘Allawi che totalizzò 25 seggi mentre il Fronte Iracheno per il Dialogo Nazionale, altra lista sunnita guidata da al-Mutlaq, si qualificò con soli 11 seggi.

    Ovviamente i nuovi risultati discendono dalla diversa composizione dei blocchi rispetto al 2005, allorquando v’era un più acceso clima di tensione tra gli stessi iracheni. La comunità shi’ita si era coalizzata tutta quanta attorno all’Alleanza Unitaria, indipendentemente dal fatto che vi fossero al suo interno personalità più eminentemente islamiche ed anche un’anima, rappresentata da al-Maliki, di moderato compromesso laicizzante, atto soprattutto ad affrancare l’Iraq dall’influsso iraniano. Proprio i rapporti con Tehran sono stati alla base della fuoriuscita di Da’wa dal “listone” shi’ita. Il Premier uscente ha anch’egli abbracciato una politica mirante a superare le divisioni razziali e religiose e in quest’ottica si era alleato con le forze sunnite della provincia di al-Anbār, ossia la più estesa di tutto l’Iraq, dove oltretutto l’affluenza alle urne è stata fra le più alte con un 62% dei residenti che hanno votato. Nonostante questo espediente, ad Anbār ha finito per prevalere ‘Allawi che ha ottenuto ben 11 dei 14 seggi previsti in quella circoscrizione, mentre al-Maliki non ne ha conquistato nemmeno uno. Dato che secondo il nuovo sistema elettorale un singolo parlamentare deve corrispondere agli interessi di 100.000 iracheni, è pacifico che il numero maggiore di rappresentanti corrisponderà alle zone più popolose e non a quelle più estese per superficie. Infatti la vera provincia cardine è stata quella di Baghdad per la quale sono previsti ben 68 seggi, 27 dei quali sono stati conquistati da al-Maliki e 24 da ‘Allawi. Quindi in un’area centrale del paese, il Premier uscente ha faticato ad ottenere il successo, nonostante nella sua lista fosse compreso il Movimento Arabo Indipendente dell’ex Primo Ministro del governo di transizione, al-Ğabburi, molto stimato nel Triangolo Sunnita del quale Baghdad è parte.

    Il Primo Ministro uscente non ha totalizzato nessun rappresentante nemmeno nella provincia di Nīnawā, nel nord del paese. ‘Allawi qui si è accaparrato 20 dei 31 seggi disponibili, grazie all’ingresso nella propria lista di Usama al-Nuğayfi e del suo partito al-Ḥadbā’. Oltretutto questa provincia è di estrema importanza dato il suo carattere multietnico e la ricchezza di petrolio nel suo sottosuolo. Piuttosto una provincia in cui al-Maliki è riuscito a trionfare è stata quella di Bassora, ottenendo 14 seggi su 24, mentre la lista di ‘Allawi non ha avuto nemmeno un seggio. La vittoria si spiega alla luce del fatto che Bassora è la seconda città più grande del paese ed è quasi totalmente abitata da shi’iti. In più il raggruppamento del nuovo Primo Ministro comprende diverse personalità legate al partito Ba’th che sono malviste perché considerate dai cittadini di fede shi’ita come troppo compromesse con il vecchio regime. Non a caso anche ad al-Muṯannā, la coalizione di al-Maliki ha preso 4 seggi su 7 mentre ‘Allawi ne ha presi zero, come ad al-Maysān e a Nağaf, dove il primo ha conquistato rispettivamente 4 seggi su 10 e 7 seggi su 12.

    Guardando alla carta della suddivisione amministrativa irachena, si potrà notare che il Movimento Nazionale Iracheno è stato sonoramente sconfitto in tutta la cintura meridionale, da ovest ad est. Laddove il gruppo di ‘Allawi ha ottenuto pochi consensi è anche nella zona curda settentrionale delle due province di Arbīl (0 seggi su 14) e Dahūk (0 seggi su 10). Qui ovviamente ha trionfato il blocco curdo che si è diviso con ‘Allawi anche la rappresentanza di Kirkūk, con 6 deputati su 12 per parte. Lungo il settore centrale, Bābil che dispone di 16 rappresentanti, è stata suddivisa nella maniera seguente: al-Maliki 8 seggi, ‘Allawi 5 e l’Alleanza Nazionale Irachena ha preso i restanti 3. Lo stesso raggruppamento ha avuto un discreto seguito a Baghdad con 16 preferenze e a Karbalā’ con 3 deputati, che appaiono però come poca cosa rispetto ai 6 ottenuti dalla Alleanza dello Stato di Diritto. Il fatto è decisamente sorprendente, considerato che questa città è un luogo importante per gli shi’iti e si prospettava un successo schiacciante del movimento di al-Sadr e del Consiglio Islamico, grazie alla presenza di personalità come Ibrahim al-Ğa’fari entro quel blocco. Infine la provincia di al-Qādisiyya è stata divisa tra tutte e tre le forze, con 5 deputati eletti tra le fila dell’Alleanza Nazionale Irachena, 4 tra il movimento di al-Maliki e 2 tra quello di ‘Allawi.

    Come si può desumere da questi dati, la reale e più importante differenza con le elezioni del 2005 consiste nella frammentazione del fronte shi’ita, che lungi dal rappresentare una forma di pluralismo democratico, non è altro che un probabile ostacolo alla governabilità del paese. Nella passata legislatura le forze di maggioranza disponevano di un numero di seggi tale da poter governare in tutta tranquillità. Infatti le decisioni venivano assunte più secondo un principio di mantenimento del balance of power, ossia facendo in modo che la componente shi’ita e quella curda non si trovassero mai a doversi scontrare tra di loro. La componente sunnita di solito era lasciata al margine, come dimostra la questione dell’approvazione della carta Costituzionale nel 2005. In più questioni, come quella circa lo status di Kirkūk o la lunga discussione sull’adozione di una legge sul petrolio, sono esempi della trascorsa prassi di governo: in mancanza di coesione e nell’impossibilità di giungere ad un accordo, i dibattiti venivano solo procrastinati.

    Il nuovo governo avrà la difficoltà ulteriore di possedere una maggioranza risicata e a meno di trovare un accordo con al-Maliki per un governo consociativo, è del tutto improbabile che possa funzionare e durare per tutta la legislatura. Secondo le norme costituzionali irachene, i nuovi deputati dovranno scegliere un presidente del Parlamento e successivamente saranno chiamati a nominare il nuovo presidente della Repubblica Federale. Costui a sua volta darà l’incarico di formare il nuovo governo al capolista del blocco maggioritario, ossia ad ‘Allawi. Da quel momento, il primo ministro designato avrà un mese di tempo per formare il Consiglio dei Ministri, che dovrà essere approvato dal presidente. Costui avrà due opportunità: scegliere di rischiare e governare con il sostegno del gruppo parlamentare che si ritrova, cercando di contrastare due opposizioni che potrebbero anche decidere di fare fronte comune (qualora ad esempio al-Maliki rientrasse nel blocco shi’ita, ipotesi comunque molto improbabile) ovvero cercare di negoziare l’allargamento della propria maggioranza, cosa che al momento dalla parte del dirigente di Da’wa sembra improbabile, considerando le accuse di brogli da lui sollevate e la richiesta di un conteggio manuale delle schede. Secondo al-Maliki infatti i dati forniti dalla Commissione Elettorale sarebbero parziali e non definitivi, poiché soggetti a manomissione. Ne consegue che l’ex Capo del Governo non accetterà, almeno sulle prime, un invito a governare.

    Né tanto meno va sottostimata la prestazione del gruppo terzo qualificatosi, l’Alleanza Nazionale Irachena. All’interno di questa lista il Movimento Sadrista è decisamente il più influente ed è anche quello che ha sempre manifestato segni di irriducibilità nei confronti di al-Maliki. Di conseguenza, sia nel caso in cui i sadristi dovessero essere invitati a partecipare al nuovo governo, sia nel caso in cui fossero relegati al ruolo di opposizione, comunque non potrebbero essere ignorati entro il nuovo Parlamento. Se si esclude la possibilità di una ricomposizione del fronte shi’ita (data l’incompatibilità tra al-Maliki e al-Sadr) il nuovo primo ministro potrà cercare di far leva proprio su questo movimento, sia per possedere una più ampia coalizione, sia per poterla sfruttare contro al-Maliki.

    Le prime dichiarazioni di ‘Allawi sembrano favorevoli al consociativismo e si basano su tre punti: riconciliazione, partecipazione e creazione delle Istituzioni dello Stato. In questa chiave si può attendere un invito formale ad al-Sadr ad entrare nel nuovo governo, cosa che faciliterebbe l’elezione del gabinetto ma esporrebbe ai ricatti del partito, secondo un copione non dissimile da quello accaduto in Libano con la formazione del governo di unità nazionale di Sa’ad Hariri e la partecipazione di Hezbollah. Inoltre la vena di anti-americanismo espressa dal movimento sarà sfruttata a proprio vantaggio qualora il ritiro delle truppe USA dovesse essere compiuto secondo i tempi programmati. In questo modo i sadristi potrebbero essere osannati come liberatori della patria e qualora al-Sadr, come annunciato, dovesse raggiungere il grado di ayatollah, completando gli studi in tempo breve, la sua autorità si accrescerebbe notevolmente.

    In conclusione si deve ammettere che lo scenario profilatosi sulla sola base dei risultati elettorali non sembra dimostrare una sostanziale evoluzione della politica irachena. Se da un lato è vero che il sistema partitico risulta meno frammentato e che le forze dominanti promettono atteggiamenti rivolti al superamento delle barriere confessionali e etniche, dall’altro i dati rivelano una immobilità di fondo: il sud shi’ita ha votato in blocco per al-Maliki ed il nord curdo per le liste tradizionali. Dal canto suo ‘Allawi è stato certamente abile nel ricercare alleati in tutte le singole provincie. Tuttavia il suo vantaggio è fin troppo limitato e a meno di riuscire a trovare i giusti espedienti, il nuovo governo potrà rivelarsi inefficace fin dall’inizio.

    * Pietro Longo è dottorando in Studi Mediorientali (Università l’Orientale di Napoli). Collabora con la rivista “Eurasia”



    Le elezioni parlamentari irachene ovvero “molto rumore per nulla†| eurasia-rivista.org

 

 
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