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    Arrow Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Violenza e divisioni settarie
    sono solo una parte della realtà
    La vera novità è l’interesse
    degli investitori internazionali
    LUCIA ANNUNZIATA
    BAGHDAD
    Quanto vale l’Iraq? Quanti investimenti, quante società, quante banche può attrarre oggi? E quanti finanziamenti pubblici e privati, proprio oggi, alla vigilia delle sue seconde elezioni dopo l’invasione anglo americana del 2003? Per capire l’appuntamento elettorale iracheno di domani, rispondere a questa domanda è forse più utile che parlare della violenza - pur rilevantissima - che ancora una volta accompagna le elezioni.

    Se guardiamo infatti solo al giorno per giorno dell’attesa dell’apertura delle urne, molto poco sembra cambiato nel panorama iracheno. Nel 2005, alle prime elezioni dopo la guerra, ci si trovò di fronte a un paese spezzato in tre parti in cui la componente sunnita, penalizzata dalla sconfitta da parte americana di Saddam Hussein, dichiarò il boicottaggio del voto, con conseguente minaccia contro chi vi avrebbe partecipato. La partecipazione del 58 per cento della popolazione alle elezioni, nonostante il clima di violenza diffuso, sancì l’appoggio di una maggioranza alla guerra contro Saddam, e la definizione, anche parlamentare, della divisione del paese secondo le linee etnico-religiose, con sciiti e curdi da un lato, e sunniti dall’altro. Linee approssimative, perché in Iraq gli sciiti non sono una unica forza, anzi; e i sunniti non possono tutti essere considerati nostalgici di Saddam. Approssimative anche in termini religiosi: la componente curda non rientrerebbe infatti in queste linee, così come non vi sarebbero inclusi né i cristiani, nè i pur rilevanti laici.

    Alla vigilia elettorale di questo 2010, queste interpretazioni vengono riproposte, in maniera piuttosto acritica: il valore del prossimo voto ci viene spiegato infatti ancora come un test delle relazioni religiose-etniche in Iraq. E le violenze che già si sono scatenate nei seggi, il richiamo dell’esercito Usa a protezione dei votanti, sembrano confermare questo quadro.

    Tuttavia, sotto il panorama di sempre, ci sono molte novità. Per capirle, occorre, come si diceva all’inizio, distogliere l’attenzione per un momento dalle urne, e consultare i dati economici. Il più grande cambiamento finora avvenuto nell’ex paese di Saddam, è infatti descritto nel rapporto del 25 gennaio 2010 di fDi Markets, un servizio di monitoraggio degli investimenti del Financial Times, che ha dedicato la sua copertina per la prima volta all’Iraq definendolo fortemente attraente per gli investitori: nel 2009 vi sono affluiti 2.52 miliardi di dollari. «Il paese rimane ad alto rischio» scrive fDi Markets, «ma la tendenza è quella di un generale miglioramento». Rilevante di questa cifra è che non riguarda il settore petrolio, che ha già attratto investimenti talmente ingenti da costituire capitolo a parte. Interessante è che anche al netto del petrolio l’Iraq ha cominciato a generare un impressionante flusso di denaro.

    A indicare il nuovo clima è stato un summit sugli investimenti, avvenuto a Washington, in ottobre, dove si è presentato il primo ministro Nouri al Maliki, accompagnato da quasi tutti i membri del suo gabinetto e dai capi delle commissioni investimento di tutte le province irachena. Gli iracheni hanno portato a Washington 750 progetti in 12 settori, e li hanno ascoltati almeno un migliaio di potenziali investitori, fra cui società come BAE Systems, Boeing, Honeywell e Motorola.

    Questo incontro, come altri, è ampiamente sostenuto dall’attivismo della Recostruction Task force del Dipartimento di Stato che regolarmente pubblica rapporti sullo sviluppo iracheno. Nel febbraio del 2009, sotto il titolo «Investment Climate Statement - Iraq», il rapporto conferma 2 miliardi di dollari di investimenti nel 2008, specificando una seconda cifra che serve bene a capire un quadro più ampio: nello stesso 2008 l’investimento totale nella regione è stato di 15 miliardi di dollari.

    Lo stesso quadro legislativo iracheno si sta adeguando: ad esempio, di recente è stata approvata la liberalizzazione del titolo alla terra. Cioe, investitori stranieri con interessi nel «real estate» e costruzioni possono comprare direttamente terreni, laddove finora avevano sempre bisogno di un partner iracheno. In un paese in cui la titolarità del territorio è una questione politicamente molto scottante, questa liberalizzazione non è di poco conto.

    Bisogna infine citare che il Fondo monetario ha appena dato via libera a un superprestito all’Iraq di 3,6 miliardi di dollari. Sostegno destinato alle infrastrutture.

    Il paese esce da tre decenni di guerre - la prima è infatti quella degli anni ottanta con l’Iran. È un paese che nella sua estrema distruzione equivale a una Bengodi della ricostruzione. È vero che fino ad oggi la Banca Mondiale colloca l’Iraq al 152esimo posto su 181 nazioni per capacità produttive e industriali: ma il dato negativo è anche la misura di quanto vertiginosa può essere la sua scalata alla ricchezza.

    Insomma, l’Iraq si trova oggi un po’ nelle stesse condizioni del dopoguerra europeo davanti al piano Marshall. E come allora in Europa, niente come un forte afflusso di denaro può dar forma alla politica. Quella irachena, mostra infatti già i segni di aver ben capito cosa sta maneggiando. Dietro il permanere di bombe e atti di violenza, una sorta di classe dirigente sta emergendo, la capacità di programmare un percorso si sta affermando - nonostante il permanere di divisioni.

    Se si guarda alle elezioni con queste diverse lenti, si vedranno così emergere alcune novità rispetto al 2005. La prima è che i sunniti che nel 2005 boicottarono il voto, oggi partecipano all’appuntamento elettorale, e con convinzione. Il sunnita Allawi è uno dei grandi protagonisti di questa competizione, e il principale sfidante del primo ministro Al Maliki, sciita. La determinazione dei sunniti a partecipare è ben raccontata da uno dei più rilevanti incidenti politici di queste settimane: richiamandosi alla legge voluta dagli Usa dopo la guerra che chiede la de-baathizzazione del paese, Al Maliki ha escluso dalle liste molti sunniti. Il colpo di mano ha suscitato grande tensione, ma i sunniti non si sono ripiegati sul boicottaggio.

    Altra grande novità elettorale, è che le liste principali sono «miste», aperte cioè a tutte le componenti religiose ed etniche, con cristiani, sunniti, sciiti e laici insieme. Una evidente indicazione che l’establishment guarda a un superamento delle divisioni al di là degli accordi elettorali fra gruppi.

    Vedremo. Domani andranno alle urne 19 milioni di iracheni, su una popolazione di 30 milioni di abitanti. Voteranno in 10mila seggi, per scegliere, su 6200 candidati, 325 parlamentari. Fra loro ci sono moltissimi estremisti, teste calde, fanatici religiosi. Ma segni di evoluzioni del paese, sono innegabili.


    Baghdad, dietro le urne un'onda di dollari e affari - LASTAMPA.it

  2. #2
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    09-03-10
    IRAQ: ELEZIONI, PREMIER USCENTE MALIKI IN VANTAGGIO

    (ASCA-AFP) - Baghdad, 9 mar - Il Premier uscente Nuri al-Maliki, leader sciita, sarebbe il favorito alle elezioni parlamentari irachene ma potrebbe affrontare un dura 'battaglia' per ottenere il potere.

    La Comunita' internazionale, intanto, continua a lodare il Paese per la grande affluenza alle urne nonostante la minaccia di attentati da parte di Al-Qaeda. Maliki sembra essere in testa alle preferenze degli elettori che hanno votato per la seconda volta dalla caduta di Saddam Hussein.

    Il presidente americano Barack Obama, che ha promesso di ritirare tutte le truppe Usa dall'Iraq entro la fine del prossimo anno, ha reso omaggio al ''coraggio e alla resistenza del popolo iracheno che, ancora una volta, ha sfidato le minacce per far progredire la propria democrazia''.

    In una nota il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si e' congratulato con il popolo iracheno per aver ''dimostrato il loro impegno a favore di un processo politico democratico e pacifico''.

    Anche il vicino Iran, in una nota del ministero degli Esteri, ha commentato le elezioni affermando che ''ancora una volta, nonostante i complotti dei nemici, e' il popolo che decide il proprio destino''.

    Le stime della regione di Baghdad, che potrebbe oscillare, non sono ancora disponibili ma alcune fonti hanno fatto sapere che il blocco politico di Maliki sta conducendo le elezioni in nove delle 18 province dell'Iraq.

    L'Alleanza per lo Stato di Diritto di Maliki sarebbe in testa nelle regioni sciite mentre Iyad Allawi, ex-premier a capo della lista Iraqiya, avrebbe riscosso maggior consensi, come previsto, nelle zone sunnite, hanno spiegato alcune fonti ufficiali all'Afp.

    I risultati ufficiali e definitivi probabilmente non saranno pronti prima della fine del mese e inoltre potrebbero volerci mesi per la formazione del nuovo governo. A causa dell'elevata frammentazione della politica irachena, al momento non sembra possibile che un singolo partito possa riuscire a conquistare i seggi necessari (ne servono 163) per formare il governo. Dunque, l'ipotesi piu' accreditata e' che, al di la' del risultato, alla fine il nuovo Esecutivo avra' la forma di un governo di coalizione.

    ghi/mcc/lv

    IRAQ ELEZIONI PREMIER USCENTE MALIKI IN VANTAGGIO - Agenzia di stampa Asca

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Che giudizio date del voto iracheno? Per me una nazione ancora sotto occupazione non dovrebbe indire elezioni...

  4. #4
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Bagdad«Se sarò nominato premier affronterò prima di tutto il problema della sicurezza perché senza di quella un Paese non sopravvive. Subito dopo cercherò di aumentare il potere d’acquisto delle famiglie perché quando nelle case non c’è da mangiare garantire la legalità è ancor più difficile». Sei anni fa era l’uomo forte di Bagdad, oggi è pronto a tornare ad occupare la vecchia poltrona di primo ministro, ma anche a diventare il simbolo della riconciliazione nazionale. Lui si chiama Iyad Allawi e nei suoi 65 anni di vita è sopravvissuto prima ai killer di Saddam Hussein e poi a quelli di Al Qaida. Figlio di uno dei protagonisti della lotta per l’indipendenza, Allawi è anche il simbolo della complessità e delle contraddizioni di questo Paese. Nato da una famiglia sciita, ha iniziato la sua carriera come membro del partito Baath per trasformarsi poi in uno dei più strenui oppositori del raìs e lavorare a stretto contatto con la Cia.
    Al pari del defunto dittatore è considerato un uomo privo di scrupoli, capace di imporre il proprio volere con il pugno di ferro. Non a caso voci e leggende sul suo breve mandato da primo ministro si sprecano. La più truce vuole che durante una visita ad un carcere abbia ucciso di persona due detenuti di Al Qaida per dimostrare ai suoi generali la necessità di una lotta al terrore senza compromessi. Sei anni dopo, Allawi si presenta come il simbolo della riconciliazione e dell’unità nazionale. La sua coalizione - battezzata Iraqiya - raccoglie sia ex esponenti del partito Baath, sia militanti sciiti poco inclini al fanatismo religioso. Questo doppio legame ne fa uno dei candidati favoriti per la vittoria finale.
    «Le differenze etniche, culturali, religiose - spiega Allawi in questa intervista a Il Giornale - sono una delle ricchezze di questo Paese, per questo noi vogliamo mettere fine al settarismo, eliminare le discriminazioni e avviare una nuova stagione di solidarietà e unità nazionale. Io sono stato perseguitato da Saddam Hussein per trent’anni, ma non cerco né vendetta né riscatto, voglio solo la riconciliazione e il benessere della nazione».
    L’accusano di fare il gioco degli ex di Saddam.
    «Chi ha commesso dei crimini deve vedersela con i giudici, chi non ha fatto nulla di male ha, invece, il diritto di venir reintegrato nel processo politico».
    Durante il suo primo mandato ha scontentato tutti. Che errori non rifarebbe?
    «Cambiare un Paese in pochi mesi non è facile. Il mio programma non è cambiato, mi batterò anche stavolta per costruire delle istituzioni efficienti. La mia vittoria regalerà stabilità all’Irak e a tutta la regione».
    Se vince lei perdono gli alleati di Teheran. L’Iran la lascerà lavorare?
    «Con l’Iran voglio rapporti buoni, ma chiari. Voglio chiudere le questioni rimaste aperte dagli anni della guerra e aprire un capitolo nuovo basato su riconoscimento e rispetto reciproco».
    L’Italia sta diventando uno dei principali partner dell’Irak in campo petrolifero. Come vede i rapporti con il nostro Paese?
    «I rapporti con l’Italia sono tradizionalmente buoni e con me si continuerà su questa linea. Gli italiani e gli europei hanno bisogno del petrolio iracheno, noi iracheni abbiamo bisogno d’infrastrutture, tecnologie e investimenti che solo voi potete darci. Il bisogno è quindi reciproco».
    L’attuale premier Nuri Kamal al Maliki vuole chiedere agli americani di restare. È della stessa idea?
    «Gli americani non sono la soluzione ai nostri problemi. Non possiamo dipendere da loro. Non possiamo tenerceli qui per sempre. Per me devono partire quanto prima. Solo la riconciliazione e una politica di sovranità nazionale pienamente condivisa garantirà la fine della violenza. Senza questi elementi neppure l’esercito più potente del mondo garantirà la nostra tranquillità».
    Ma l’esercito iracheno è in grado di garantire la sicurezza?
    «Questo esercito non si basa sulle competenze e sulla professionalità dei suoi componenti, ma sulla loro appartenenza ad alcuni gruppi di potere. Per questo bisogna ristrutturarlo e riformarlo trasformandolo in una forza fedele al governo, libera da condizionamenti esterni e da legami con i partiti. Inoltre vanno messe fuori legge tutte le milizie private o di partito».
    Tra le vittime del settarismo ci sono i cristiani. Cosa farà per mettere fine alle persecuzioni?
    «Da giovane studiavo dai gesuiti e i miei migliori amici erano cristiani. So bene che quella comunità ha contribuito alla crescita del Paese. Perdere i cristiani significa rinunciare a una parte della nostra identità. Da primo ministro sono stato il primo a cercare di garantire la loro sicurezza e a mettere a disposizione dei fondi per far ricostruire le chiese distrutte. Se verrò rieletto farò di tutto per garantire il ritorno di chi è fuggito all’estero e assicurare a quella comunità il ruolo che aveva in passato».


    http://www.ilgiornale.it/esteri/gli_...e=1-comments=1

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Citazione Originariamente Scritto da Unghern Kahn Visualizza Messaggio
    Che giudizio date del voto iracheno? Per me una nazione ancora sotto occupazione non dovrebbe indire elezioni...
    Per quanto mi riguarda anche l'Italia è sotto occupazione straniera

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Citazione Originariamente Scritto da Combat Visualizza Messaggio
    Per quanto mi riguarda anche l'Italia è sotto occupazione straniera
    Per me nessuna nazione dovrebbe indire elezioni.
    Ma se proprio devono essere, auspico la vittoria di un candidato filo-iraniano (in Iraq come in Italia)

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Citazione Originariamente Scritto da Combat Visualizza Messaggio
    Per quanto mi riguarda anche l'Italia è sotto occupazione straniera
    Effettivamente! :giagia: Abbiamo anche il suolo patrio occupato da decine di basi americane ...ncav:

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    Per me nessuna nazione dovrebbe indire elezioni.
    Ma se proprio devono essere, auspico la vittoria di un candidato filo-iraniano (in Iraq come in Italia)
    Oltremodo poco democratico, mi piace! E' una prospettiva molto chiara: ferrea dittatura e pugno di ferro...:gluglu:

    A proposito del candidato filo-iraniano non saprei onestamente dove trovarne mezzo però un nome ce l'avrei (...chiederò a DHB se è disposto a rientrare prima dal Libano e candidarsi autorevolmente alle amministrative quì in calabria con una lista civica...scommetto che si presenterebbe come "Hezbollah Italia" repapelle: ...una lista indipendente e assolutamente poco politically-correct...:sofico: iaociao.

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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Tornando a cose serie c'è stata anche l'accusa di Allawi di brogli elettorali...


    A quattro giorni dalle elezioni legislative per il secondo Parlamento iracheno del dopo Saddam, a Baghdad sono stati diffusi i primi risultati del voto, anche se relativi solo ad alcune delle 18 province del paese e non al totale, come preannunciato. E subito dopo, sono arrivate anche le prime denunce pubbliche di «massicce frodi».

    Nelle province di Babilonia e Najaf, nel sud sciita dell'Iraq, secondo i primi dati diffusi dalla Commissione elettorale indipendente è nettamente in testa la lista "secolare" Stato di diritto, guidata dal premier uscente (sciita) Nouri al-Maliki. Al secondo posto si piazza l'Alleanza nazionale irachena, che ha un carattere più marcatamente religioso, e di cui fanno parte esponenti della corrente che fa riferimento al leader radicale sciita Muqtada al-Sadr. Al terzo posto, ma nettamente staccata, arriva Iraqya, la formazione laica e trasversale guidata dall'ex premier sciita Iyad Allawi e di cui fa parte anche il vice presidente sunnita Tareq al Hashimi. Proprio un importante esponente della lista di Allawi, Adnan al-Janabi, in una conferenza stampa a Baghdad, ha denunciato brogli pesanti.

    «Abbiamo registrato decine di violazioni. Ci sono interferenze da parte di molti dirigenti», ha detto, aggiungendo che alcune schede sono state persino trovate nella spazzatura. La sua lista si è invece affermata in due province a maggioranza sunnita, Diyala e Salaheddin, secondo i dati relativi al 17% dei voti. Come previsto, per il Blocco curdo si va profilando una netta affermazione nel Kurdistan iracheno: è avanti nella provincia di Arbil. Su base nazionale si profila un testa a testa tra Maliki e Allawi.

    Fin qui, dunque, tutto come da copione. A partire dalla lentezza dello spoglio. Per i risultati definitivi, secondo le previsioni sarà necessario attendere fino alla fine del mese. In questa atmosfera, è immaginabile che sia azzeccata anche la diffusa e facile previsione di un lungo braccio di ferro sul risultato.

    12 Marzo 2010


    Allawi accusa: gravi brogli alle elezioni - Il Sole 24 ORE

  10. #10
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    Predefinito Rif: Irak: dietro le elezioni un'onda di dollari e affari

    Lista premier Al Maliki dato in vantaggio a Bassora
    Baghdad, 14 mar. (Apcom) - Prosegue il testa a testa fra l'Alleanza per lo Stato di Diritto (Aed, sciita) del premier iracheno uscente Nouri al Maliki e il Blocco Iracheno (laico e che comprende anche personalità sunnite) dello sfidante Ayad Allawi: gli ultimi risultati parziali resi noti dalla Commissione elettorale danno Allawi in testa nella provincia di Kirkuk, una delle circoscrizioni più importanti. Con il 61% del voto scrutinato il Blocco Iracheno avrebbe ottenuto 123mila voti contro i 120mila della Kurdistania, la coalizione curda formata dai due principali partiti storici (Pdk e Adk), data inizialmente per favorita. La presenza nel panorama elettorale di Kirkuk rappresenta infatti una novità rispetto al 2005: la provincia viene considerata una bomba a orologeria data l'importanza petrolifera della zona, "arabizzata" per questo da Saddam e oggetto ora di un ritorno massiccio della popolazione curda, che la considera parte della propria regione autonoma: qualunque sia l'esito delle elezioni, non appare probabile che quelle delle varie comunità - arabe sciite e sunnite, curde e turcomanne - che risultino sconfitte accettino il verdetto delle urne senza proteste. In base agli altri risultati parziali diffusi oggi dalla Commissione l'Aed sarebbe in testa nella provincia di Bassora (la terza per importanza nel Paese) mentre il Bi si sarebbe imposto nella provincia sunnita di Al Anbar. Al Maliki può però contare sul fatto di essere in vantaggio nella capitale Baghdad, che da sola fornisce 70 dei 325 deputati in lizza; nelle tre provincie autonome del Kurdistan iracheno è netto il vantaggio di Kurdistania. Al momento, Al Maliki viene dato vincitore in sei provincie, contro le quattro conquistate da Allawi. Secondo gli analisti, la maggioranza ottenuta da Al Maliki non appare tuttavia sufficiente per garantirgli di riconquistare la poltrona di Primo ministro, dato che troverà difficile forgiare delle alleanze in Parlamento: le sue relazioni con i curdi non sono cordiali, i sunniti lo accusano di aver rilanciato la politica di de-baathificazione rivolta contro di loro e i rivali sciiti dell'Alleanza Nazionale Irachena lo accusano di aver voluto praticare un potere di tipo personalistico; la carica di premier dovrebbe andare dunque o a un altro dirigente dell'Aed o ad Allawi. Stando a fonti delle Nazioni Unite i risultati definitivi non saranno noti prima della fine marzo e la formazione del nuovo esecutivo potrebbe rivelarsi un processo di mesi, nonostante la legislatura termini il 16 marzo e da allora l'esecutivo uscente non potrà che dedicarsi al disbrigo degli affari correnti.



    APCom - Iraq/ Elezioni, il Blocco Iracheno di Allawi in testa a Kirkuk

 

 
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