Lo specchio impietoso di una classe dirigente
di Ferruccio de Bortoli
Alcune considerazioni in margine alla vicenda intercettazioni e verbali e al
rapporto fra mondo politico ed economia e finanza nel nostro Paese. Lo
spettacolo è deprimente: il ventilatore è sempre acceso e il liquido
organico schizza a destra e a sinistra. Non risparmia nessuno. Ma se le
rivelazioni riguardano gli intrecci, certo imbarazzanti anche se penalmente
di nessun rilievo, fra Unipol e Ds, ecco levarsi lo sdegno di D'Alema e di
Fassino e la denuncia di un complotto teso a disarticolare il partito
democratico da parte di un non precisato schieramento dell'antipolitica. Se,
al contrario, i colloqui intercettati o le deposizioni ai magistrati, come
quelle di Ricucci, hanno come argomento l'interesse, anche qui tutto da
dimostrare, di Berlusconi alla scalata Rcs, ecco che subito il Cavaliere e i
suoi reagiscono denunciando la convergenza maligna fra certa stampa e
settori della magistratura.
Primo punto: l'informazione, sospettata di prestarsi a manovre oscure. Si
può discutere sugli spazi dedicati alle inchieste. Sul modo attraverso il
quale certe rivelazioni vengono pubblicate. Sulla mancanza di sobrietà ed
equilibrio nel dare conto di una storia o dell'altra. Non ci si può
entusiasmare, per esempio, se le rivelazioni vere o presunte colpiscono
l'avversario politico e minimizzare se imbarazzano l'alleato o un azionista
dell'editore, quando non lo stesso editore. Noi saremmo per usare lo stesso
metro (minore e rispettoso delle persone che non c'entrano) e per una
maggiore sobrietà. Con un'avvertenza: le affermazioni sono di parte e vanno
prese con cautela. Nessuna verità cristallina, nessuna sentenza passata in
giudicato. La misura è in molti casi mancata? Certamente. Ma detto questo, i
giornali hanno fatto bene a pubblicare tutto quello che i loro cronisti
(complimenti) hanno saputo trovare, compreso i particolari del caso
Visco-Speciale. I giornalisti non hanno commesso reati (a differenza di
alcuni dei protagonisti dei vari affaire) e le intercettazioni, piaccia o
no, sono possibili in virtù della normativa comunitaria sul market abuse. Le
intercettazioni illegali sono altra cosa e già severamente punite. Le
deposizioni sono a disposizione delle parti.
Dunque, non sono più segrete. E sarebbero comunque emerse durante i
processi, ammesso che in Italia se ne voglia celebrare ancora qualcuno fra
indulti, amnistie mascherate, prescrizioni e cronica inefficienza di
Tribunali e Corti.
Secondo punto: la sostanza delle inchieste, di cui nessuno più parla. Come
questo giornale per primo denunciò il 15 aprile del 2005 ("Il mercato e il
teatro delle ombre") alcuni immobiliaristi e faccendieri, con la complicità
di banchieri e, persino, l'occhio indulgente del governatore della Banca
d'Italia, avevano operato, nell'assoluto spregio delle norme di mercato, dei
diritti di risparmiatori e correntisti, con l'obiettivo di impadronirsi di
due banche (Bnl e Antonveneta) e del principale gruppo editoriale del Paese,
la Rcs-Corriere della Sera. Alcuni di loro, Ricucci per esempio,oggi
accusato fra l'altro di aggiotaggio e falso in bilancio, avevano più credito
bancario (1,4 miliardi nel momento migliore) che credito personale. Zero
trasparenza. Lo vogliamo ricordare ai tanti imprenditori, professionisti,
commercianti per bene che sono passati ai raggi x ogni volta che chiedono un
fido e in questi giorni si dannano l'anima per gli studi di settore, la
deducibilità dell'auto, il diverso regime degli ammortamenti, o no? La
maggioranza silenziosa del mondo dell'impresa e dell'economia aveva l'incubo
di Basilea 2 mentre Ricucci e gli altri nouveaux entrepreneurs, abituati a
scambiarsi palazzi come figurine, pensavano che la nuova normativa sul
credito bancario fosse un quartiere residenziale della città svizzera
costruito da un loro collega.
E che cosa succedeva nel mondo della politica, a destra come a sinistra,
mentre questi personaggi ordivano il loro progetto di potere e di denaro e
c'era chi manipolava i conti correnti, persino dei defunti? Prudenza, dubbi,
sospetti? Macché. Fassino e D'Alema li consideravano astri nascenti del
capitalismo, Berlusconi li guardava con simpatia. E dalle telefonate e dalle
deposizioni sappiamo che erano molto ascoltati, ricercati da banchieri
influenti con libero accesso alle stanze del Cavaliere o all'entourage di
Prodi, vezzeggiati da questo e da quello. E poi ci meravigliamo se cresce
nel Paese un distacco per la politica o c'è sfiducia e delusione verso il
Palazzo? Consorte e Sacchetti, accusati di aggiotaggio nel caso Unipol e di
aver creato, con altri affari, provviste personali, parlano con i vertici
del loro partito con assoluta familiarità. D'Alema continua a difendere
Consorte e fa bene. È coerente. Ma come la mette con tutto il mondo delle
cooperative, del lavoro e dei pensionati, con tutti quelli che fanno fino in
fondo il loro mestiere e non se ne approfittano nemmeno un po'? Conta di
più, caro ministro, il cooperante silenzioso e onesto, che va magari alle
feste dell'Unità, o il manager disinvolto che però finanzia il partito? E
poi si meravigliano se tutta questa vicenda pesa, e terribilmente, sul
nascente e sofferente partito democratico.
Sia a destra sia a sinistra si difendono addossando le colpe ai "poteri
forti" e ai giornali. Complotti, manovre. Sarà. I cosiddetti poteri forti
badano già male (leggi Telecom) ai loro affari che stentiamo a credere che
abbiano la capacità, e soprattutto l'intelligenza, di escogitare piani e
strategie. Si guardino dalla concorrenza estera (francese soprattutto) e
siano meno provinciali, piuttosto. La realtà (amara) è che fanno parte anche
loro del desolante acquitrino della nostra classe dirigente, nel quale i
personaggi al centro delle inchieste sugli scandali finanziari del 2005
hanno avuto la possibilità di imporsi e di essere, per poco fortunatamente,
ammirati, invitati e persino cooptati nei consigli d'amministrazione, perché
non si sa mai. Se il disegno avventuroso dell'estate dei "furbetti del
quartierino" non ha avuto successo è merito dei giornali, della magistratura
e della Consob. Se i giornali non avessero scritto nulla, questo gruppo,
degno del miglior Balzac (César Birotteau) o di una pellicola di Monicelli,
avrebbe conquistato ben più del proprio agognato bottino. Lascio ai lettori
e ai risparmiatori giudicare se ciò sarebbe stato meglio per il Paese. E ai
politici, così vicini al compagno Consorte o al banchiere Fiorani (quello in
attesa davanti alla villa del cavaliere in Sardegna con il suo cactus in
braccio) l'onere di riflettere sul perché la classe politica italiana abbia
nell'insieme così scarse capacità di separare in economia il grano dal
loglio e sia permeabile al fascino di ogni avventuriero, anche l'ultimo
arrivato.
La fortuna del Paese è quella di avere tante, tantissime, imprese,
professionisti, lavoratori dipendenti e autonomi che con questo mondo di
comparse, figuri e figuranti, nulla hanno da spartire. Lavorano e basta,
competono sui mercati internazionali. Con successo. Guardano lo spettacolo e
si sentono un po' meno italiani. Questo, a pensarci bene, è il danno reale,
di tutta questa squallida vicenda dell'Italia della seconda Repubblica.
P.S. Ieri anche Gianni Letta è entrato nell'advisory board di Goldman Sachs.
Ne siamo felici per lui e per la banca americana che ha avuto tra i suoi
collaboratori da Prodi a Draghi, da Costamagna a Monti. È curioso che in un
Paese in cui nessuno riesce a mettere intorno a un tavolo le intelligenze, e
sono molte, di vario orientamento politico ci riesca una banca d'affari.
Curioso e amaro. Scherzando, potremmo dire che un governo delle larghe
intese lo potrebbe fare solo la Goldman Sachs... a patto che le commissioni
non siano troppo elevate.