Originariamente Scritto da
Lavrentij
Contro la "cosa rossa" che archivia la nostra storia e identità. Per l'unità di classe
Diciamo no a una via socialdemocratica
Rilanciamo la rifondazione comunista
Fosco Giannini*
Angelo Scutellà, da venti giorni, con altri 95 lavoratori e lavoratrici, occupa la sala consiliare del comune di Vibo Valentia. E' un precario, senza salario da più di un anno e lotta per riconquistare un posto di lavoro che, se verrà, sarà di 400 euro al mese. Il Ministro del Lavoro ne è a conoscenza ma non trova una soluzione e la sfiducia di Angelo e degli altri 95 verso il governo Prodi avanza. A Vicenza i "No Dal Molin", dopo le dichiarazioni dell'ambasciatore Usa, sull'avallo già dato per scritto dal governo sul raddoppio della base, sfondano le reti dell'aeroporto, manifestando la loro sacrosanta rabbia contro Prodi e chiedendo al Prc di non essere più complice di un governo subordinato agli ordini di Bush. Angelo Scutellà e i giovani di Vicenza rappresentano un intero popolo deluso dal governo che ci sta volgendo le spalle e può decretare lo svuotamento della sinistra italiana e la crisi di Rifondazione. Il centrosinistra è in rotta e il Prc ha dimezzato il proprio consenso. Piazza del Popolo, senza popolo, è stata presidiata dalle forze di sinistra e dai dirigenti del Prc, sino a ieri alfieri del rapporto con il movimento. Lo stesso vuoto si allarga nei Circoli del Partito in crisi di identità, senza più voglia di militanza, senza passione, senza progetto.
E' tempo di un bilancio strutturale. La fase che stiamo attraversando è definibile, più che con la categoria un po' confusa della mondializzazione, con quella più scientifica della competizione globale. Le forze capitalistiche mondiali vivono un durissimo scontro per la conquista dei mercati dove l'abbattimento del costo delle merci si ottiene solo abbattendo salari, diritti e stato sociale. Contraddizioni interimperialistiche, cui seguono politiche antioperaie ed antisociali, senza alcun compromesso tra capitale e lavoro, senza vie neokeynesiane e socialdemocratiche. Una politica riformista, oggi, non è un frutto spontaneo da cogliere dall'albero sociale. Casomai, sarebbe da conquistare attraverso politiche in netta controtendenza. Non è questo,e non sarà questo il governo Prodi che risponde ai dettami di Maastricht, agli interessi di Confindustria e alla sudditanza agli Usa e alla Nato.
L'assunto dalemiano, oggi di tutto il Pd, per cui si vince spostandosi al centro, su posizioni moderate e di liberismo temperato, è la linea del governo Prodi e significa l'accettazione del dominio del capitale sul lavoro. Come ha risposto, sinora, il Prc? Accettando il moderatismo di governo come ineluttabile; rinunciando a spostare a sinistra l'asse governativo con le lotte sociali e di movimento (ma l'assunto bertinottiano non era il condizionamento del governo con l'aiuto dei movimenti?); proponendo di uscire dalla propria crisi con l'abbandono del progetto di rifondazione comunista per un nuovo progetto di stampo essenzialmente socialdemocratico.
E' paradossale che il Prc, nato nella fase più difficile della storia del movimento comunista (quella dell'89) possa morire nella fase di ripresa delle grandi lotte antimperialiste e di nuovi tentativi di transizione al socialismo, nel Venezuela di Chavez e in altri paesi latinoamericani. Ed è paradossale che si voglia seppellirlo nella fase in cui il capitalismo della competizione globale sviluppa in Europa il più determinato attacco di classe contro il movimento operaio. E' proprio questo, invece, il tempo dei comunisti, della loro risposta di classe, della riproposizione del loro progetto di superamento del capitalismo.
Proponendo il superamento del Prc nella nuova "cosa Rossa", Bertinotti ha detto con forza: «Fatela! Se no si rischia di sparire!». Non ha specificato come, con quali obiettivi e il perché si rischi di sparire. Tuttavia, appare chiaro che la "cosa Rossa" nasce all'interno della dinamica governativa, dallo stesso governo per cui soffrono i lavoratori di Vibo e i vicentini, e attraverso una nostra mutazione genetica, adeguando cioé la cultura e la politica dei comunisti a quella dei socialdemocratici di Mussi. E se è così, si capisce perché Bertinotti non sappia dirci perché si rischia, ora, di sparire: in verità si corre questo rischio perché i comunisti e la sinistra italiana vanno rompendo con la propria storia, il proprio ruolo, il proprio blocco sociale di riferimento. Il recupero non è possibile con operazioni politicistiche e piattaforme neosocialdemocratiche volte a un nuovo governismo, rinunciando al cambiamento e spianando la strada al ritorno delle destre. L'unità a sinistra è giusta e necessaria, ma se il prezzo da pagare è la scomparsa della componente più radicalmente anticapitalista, quella comunista, non siamo più all'unità, ma alla vittoria strategica della parte storicamente moderata del movimento operaio, quella socialdemocratica.
Ciò che serve, oggi, al movimento operaio italiano come a quello per la pace è un partito comunista culturalmente ed organizzativamente autonomo, segnato da una profonda innovazione politica e culturale volta alla messa in campo di una forza rivoluzionaria, legata a doppio filo al movimento operaio e ai movimenti, in grado di far convergere l'intera sinistra di alternativa su posizioni ed obiettivi di trasformazione sociale. Se non esistesse il Prc, la sua massa critica e il suo ruolo trainante, si potrebbe parlare di unità a sinistra? E' la presenza stessa dei comunisti, è il loro peso specifico la prima condizione di tale unità. Allora perché non riapriamo il nostro di cantiere, quello di tutti i comunisti, che tanto ci aveva appassionato ed unito e per cui era rinata una speranza? Perché, invece di una "nuova bolognina", non riapriamo il cantiere della Rifondazione Comunista?
Senatore Prc-Se. Direttore de L'Ernesto
21/06/2007 Liberazione