Sanzionato era stato, fin dalla sua comparsa, il nomadismo degli zingari. Anche per via semantica. Risalente probabilmente al greco medievale Athinganoi, nome di una setta gnostico-manichea diffusasi a partire dall'VIII secolo nell'Anatolia occidentale e forse proveniente dall'India, il lessotipo "zingaro" (turco tchinghiané, bulgaro cigan, sebo-croato ciganin, russo cykan, ungherese czigani, tedesco zigeuner, francese tsigane, portoghese cigano, ecc.) si trova nelle lingue europee fin dal XII secolo, a fianco di altri etnonimi che riflettono dubbi e credenze circa le misteriose origini della setta: gitanos, gypsies, gitani (per una presunta provenienza dall'Egitto), tatare ("tartari", usato in Scandinavia), bohemiens (della Boemia). Se si eccettua il Romanticismo, la cui rottura passava anche attraverso la riscoperta e l'idealizzazione - per mezzo della rielaborazione di alcuni topoi letterari - di figure "altre" e di gruppi discriminati (Djuric 1993), le voci sono state associate nel tempo ad una messe impressionante di significati negativi o spregiativi, consolidatisi di pari passo alla diffidenza ed all'odio popolari verso gli "zingari" ed alle politiche discriminatorie attuate nei secoli nei loro confronti. Nel XIX secolo, mentre una certa antropologia positivista (Simson 1865, Colocci 1880) guardava con curiosità a modi e stili di vita così diversi, i dizionari raccoglievano impietosamente secoli di stereotipi e pregiudizi: gli zingari sono "gente vagabonda, senza patria, senza religione, che vive gabbando la gente, lavorando caldaie, vasi di rame, dorme e vive sotto le tende, […]", ruba bambini (Broglio 1897: s.v.), "va facendo stregonerie e di paese in paese vivendo sotto baracche" (Petrocchi 1892: s.v.). Nei dialetti i significati quasi si moltiplicano: se a Milano singher vale "razza vagabonda, senza patria, senza domicilio, senza religione, che vive di furti e inganna il credulo volgo con far la buona ventura e con i suoi oroscopi", in Valsesia singra si dice di persone brutta o cattiva e zingan nel Comasco è appellativo per il monello; il mantovano singar - al pari del parmigiano zengher - sta per "sfacciato, insolente" -mentre a Bologna zéinghen è l'ingordo, l'avido (Prati 1936: s.v.). Quasi ovunque lo "zingaro" è una persona di cui non fidarsi (ed esser leal come una zingana era già in uso nel Seicento, Torriano 1666: s.v.), un abbindolatore, un ladro - da cui i verbi del tipo "zingariare" per "ammaliare, frodare, imbrogliare" (ad esempio Reho 1988: s.v.) - uno straccione, trasandato nel vestire e nella pulizia. L'associazione tra zingari e sporcizia e quindi malattia era talmente radicata nella Romagna dell'Ottocento che il colera veniva chiamato "lo zingaro" (Petrocchi 1892: s.v.) e se all'inizio del Novecento si potevano trovare circolari del Ministero dell'Interno che ordinavano ai prefetti di sottoporre a disinfezione tutti gli zingari del Regno, ancora in anni recenti, oltre alla persistenza di non pochi modi di dire legati allo stereotipo (ad esempio, il veronese onto come un tsingalo, "sporco come uno zingaro"), si sono registrate ordinanze in materia di Igiene Pubblica a danno degli zingari (Piasere 1989), e dichiarazioni pubbliche, da parte di amministratori locali con ansie elettorali, che hanno associato gli zingari tanto al pericolo di epidemie ed infezioni (cfr. ad esempio "Il manifesto", 23 marzo 1995),